The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

7. Il Seme Inka




Capitolo 7: Espandere, Evolversi, Germogliare – Il Seme Inka

Molte culture parlano di un seme collocato all’interno dell’essere umano, capace di germogliare e di palesare le sue potenzialità. Il seme è il simbolo universale di ciò che può essere, della vita al primo stadio, dormiente, ma pronta a sbocciare. Altra nota riguardo al seme, è che esso porta con sé nella sua intrinseca struttura l’appartenenza ad una famiglia, ad un genere di pianta; andando dal generale al particolare, il seme racchiude tutte le categorie: albero – albero da frutta – melo – melo selvatico, ad esempio. E potremmo anche andare avanti, ancor più nel dettaglio, esplorandone la varietà. Così come per la pianta il seme è portatore della sua appartenenza a tante famiglie, lo stesso vale per l’essere umano: cerchi concentrici che ci determinano sempre più specificamente, nel corpo e nello spirito. La tradizione andina, alle sue origini, faceva corrispondere la presenza del Seme Inka con l’appartenenza alla propria civiltà, al proprio gruppo etnico, al proprio popolo, alle proprie tribù. Poter sviluppare le potenzialità sciamaniche e le relazioni con gli Apu era strettamente connesso con l’appartenenza alla radice Inka. Ma già loro, nella famosa profezia che arriva fino ai giorni nostri, avevano previsto un cambiamento: avevano predetto che all’alba della nuova era il Seme Inka sarebbe germogliato anche negli appartenenti a popoli lontani e diversi dal loro. Il loro regno è caduto, è andato sepolto sotto le sabbie del tempo, ma il Seme è lungi dall’essere morto: i Q’eros l’hanno portato con loro, lontano dai conquistatori, lontano dal pericolo, l’hanno coltivato sui picchi delle montagne andine, a contatto diretto con gli Apu più antichi e grandi, in attesa che il vento del cambiamento lo portasse con sé, oltre l’oceano, nel cuore di uomini distanti, ma fratelli nello spirito. E’ esattamente nello spirito della profezia globale Inka il superare il mero vincolo di carne e sangue per ascendere a un livello di risonanza più alto, più ampio, che superi le differenze. Se anziché “melo selvatico” diciamo “albero”, abbiamo racchiuso in una parola miliardi di piante diverse. Se diciamo “seme”, unifichiamo addirittura tutto il regno vivente.
Diventare Paqo significa accettare i Teqse Apus come genitori, quindi entrare a far parte di una famiglia più ampia, una fratellanza che elimina le differenze di razza, forma, persino di sostanza (essere figli degli Apu significa superare anche la differenza tra Uomo e Spirito della Natura!). Era più che naturale che la profezia Inka si evolvesse in questo senso; ed oggi, la rete di Paqo connessi tra loro, conta persone in ogni continente, di razze e provenienze più disparate.
Nel Seme Inka sono racchiusi i sette livelli di sviluppo psico-spirituale (che abbiamo già affrontato in dettaglio nel capitolo precedente sui livelli di coscienza personale), in dormienza. Grazie agli strumenti appresi durante l’Hatun Karpay, il Paqo può sfogliarli uno ad uno, in armonica successione; e mentre i primi tre consistono in una sorta di “infanzia e adolescenza spirituale”, il quarto livello, raggiungibile con l’iniziazione sciamanica, porta la coscienza spirituale in una fase adulta.

Ma lungi dall’essere una mera metafora, il Seme Inka è un vero e proprio un nucleo di energia, capace di dare vita attraverso il nutrimento che riceve dalla natura a un vero e proprio “albero energetico”. Anche l’albero è un simbolo presente in molte culture: il ponte tra i Tre Mondi, l’Asse Universale, l’icona della crescita completa e della connessione con il tutto. Attraverso una tecnica che ora vedremo, è possibile “piantare un proprio albero energetico” in ogni luogo che sentiamo vicino, speciale, con cui vogliamo tenere un rapporto; ogni albero è un piccolo centro di energia, che può nutrire ed essere nutrito, ed è in connessione attraverso le radici con tutti gli altri alberi che abbiamo piantato. Disseminando il pianeta di alberi energetici, creiamo una rete di connessioni che si autoalimentano e ci alimentano in ogni momento: si tratta di una pratica che moltiplica il nutrimento per lo spirito, non solo per noi ma per la Terra, le persone che ci vivono, gli animali e le piante, gli Spiriti tutti. Vi capiterà, dopo averne creato uno, di sperimentare la differenza, anche a distanza di giorni o mesi.

Piantare un proprio albero energetico
Per prima cosa si comincia con una Teqse Paqo Meditation (vedere Capitolo sui 7 Occhi per i dettagli): dobbiamo ristabilire le connessioni con gli Apu e Pachamama e riempirci di energia prima di poter agire a pieno regime. Si comincia quindi a scambiare energia dal Siki, con l’acqua, per poi salire al Qosqo con la terra, il Sonqo con il sole, il Kunka con l’aria e infine il Qanchis con il Cosmo, che riequilibra al contempo tutte le energie che abbiamo ricevuto. Quando siamo completamente connessi, cerchiamo un punto al nostro interno che in genere si trova tra Qosqo e Sonqo (circa all’altezza del plesso solare quindi), possiamo sentire anche fisicamente la presenza di un nucleo pulsante, anche lieve, ma compatto, presente. Portiamo quel seme in alto, fino a toccare l’Hanaq Pacha e a raccogliere le energie del Cosmo, di Wiraqocha, poi lasciamo che torni giù, attraverso di noi, e scenda più giù nell’Uju Pacha, in profondità. Lì lentamente il seme mette radici, le fa espandere entrando in comunione con Pachamama e scambiando energia con lei; man mano che le radici si espandono, le potrete vedere che incontrano quelle di altri alberi e con loro entrano in simbiosi (un po’ come i funghi, che condividono una radice comune sotto terra, anche a chilometri di distanza). Mentre le radici proliferano, il seme cerca la superficie buttando un germoglio, che sale finché non sbuca nel punto in cui siamo noi; cresce attraversandoci, nutrendosi allo stesso tempo di tutte le energie degli Apu con cui siamo in connessione grazie alla Teqse Paqo, diviene tronco, si apre in rami e cerca l’Hanaq Pacha, in alto, diventando sempre più grande. Quando infine le sue chiome si uniscono al Cosmo, unendo Cielo e Terra, dovreste vedere sulla sua sommità un fiore sbocciare, aprirsi grazie alla forza di tutte le energie mescolate. L’albero e il fiore sono diversi, cambiano a seconda del momento, delle energie, del luogo: vi colpirà scoprire ogni volta quello che sorge dal vostro seme. Alcune volte particolari, potreste vedere dei colibrì nell’Hanaq Pacha venire a nutrirsi del nettare del vostro fiore: si tratta del momento più bello, è il Cosmo che corona la simbiosi con voi nutrendosi del Sami prodotto dalla vostra pianta. Quando siete soddisfatti, potete richiamare il seme dentro di voi, dove si trovava in principio, lasciando lì l’albero a scambiare energia con il mondo.
Lungi dall’essere un mero esercizio di visualizzazione, si tratta di un vero esercizio sciamanico di creazione energetica: con l’aiuto degli Apu, la nostra volontà crea nel Mondo Spirituale un nuovo essere, un’entità vera e propria, fatta di pura energia. Immaginate se tutti gli esseri umani piantassero il proprio seme nei luoghi in cui si trovano: la Terra si ricoprirebbe di una foresta energetica lussureggiante, un vero e proprio polmone rigenerante per la vita che essa alimenta. Oggi come non mai, è importante che pratiche come questa vengano portate avanti, affinché sempre più coscienze possano avere nutrimento, svegliarsi, e il passaggio alla nuova era possa avvenire al meglio per tutti.
E’ il vostro momento, quindi: coltivate il seme che portate dentro con cura e amore.