The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Apollo il Prediletto

Apollo il Prediletto
 

Nella mitologia che interessa gli dei Olimpici il perfetto esempio del figlio prediletto è rappresentato dalla divinità Apollo, figlio di Zeus e secondo solo al padre. Ma chi è Apollo? Egli, come abbiamo detto, è figlio di Zeus e della dea Leto, a sua volta figlia dei titani Feto e Ceo. Leto era la dea della tecnologia e delle invenzioni e diede a Zeus due gemelli, Artemide e Apollo, il più giovane dei due. Leggendo Esiodo si capisce subito che la relazione avuta con questa dea non era assolutamente lecita in quanto quando Leto era gravida l'ira della collerica Hera fu funesta. Ella proibì alla dea del parto, Ilizia, di aiutare Leto a mettere al mondo i figli e proibì alla puerpera di partorire su qualsiasi terra, bagnata che fosse o no dal mare. Per giungere in soccorso dell'amata, Zeus fece così sorgere dalle profondità dell'oceano un'isola che in seguito venne chiamata Delo, la quale, non essendo ancorata al suolo ma galleggiante sulle superfici del mar Egeo, era un artificio funzionale ad aggirare la terribile maledizione della gelosa consorte. Dominata dagli spasmi, Leto, dopo nove giorni di terribile travaglio, partorì con dolore Artemide, e in seguito, in una notte di plenilunio, grazie anche all'aiuto della figlia, il fratello Apollo. Secondo un'altra versione del mito Hera inviò il terribile drago serpente ctonio, Pitone, per inseguire la gravida Leto e per far sì che nessuno la ospitasse per paura del mostro. Fu Poseidone ad aiutarla, lasciando che si rifugiasse negli oceani dove diede alla luce i gemelli.

Apollo è un dio solare, rappresentato come bellissimo, biondo e con i capelli ricci. Si dice che appena nato, il settimo giorno del mese delle Palme (per cui il sette divenne suo numero sacro), per quanto prematuro, essendo settimino, dato che il travaglio fu lungo e difficile la madre rifiutò di nutrirlo e Teti gli diede ambrosia e nettare. A soli quattro giorni chiese arco e frecce per andare al monte Parnaso a cercare e uccidere il drago-serpente Pitone e dopodiché viaggiò verso il misterioso regno degli Iperborei, fermandosi in quel luogo per oltre un anno prima di ritornare. La caratteristica del viaggio verso questa terra mitica è qualcosa che lo ha sempre contraddistinto, dal momento che sembra fosse l'unico ad avere questo singolare potere. Ma chi sono gli Iperborei? Si tratta di un popolo mitico situato all'estremo nord del mondo conosciuto (dai greci ovviamente). A parlarne furono alcuni storici, tra cui Ecateo di Mileto, Ecateo di Abdera, Esiodo ed Erodoto e si parla di questa terra come di un luogo dove splende sempre il sole per sei mesi all'anno e dove è sempre primavera. Non è difficile, per noi moderni che abbiamo il vantaggio della conoscenza della geografia planetaria, intuire che è possibile che si parlasse di un luogo situato nel Nord Europa, ma secondo altri si riferiva alle stelle della costellazione delle Pleiadi.

Apollo era dio della musica, dell'arte e della medicina. A lui era sacra anche la profezia, ma da alcuni risvolti si evince che fosse in principio un dio guerriero. Con la gemella Artemide ha in comune la straordinaria capacità del tiro con l'arco. Fu colui che regalò la lira, l'antico strumento a corde, all'eroe tracio Orfeo, il quale ve ne aggiunse due.

Amato e rispettato dal padre, Apollo aveva il compito solenne di guidare il carro solare nel suo arco nel cielo, ed era un compito a cui si atteneva con una solerzia e una professionalità senza pari dal momento che, a parte un unico evento che coinvolse il figlio Fetonte, narrato nelle Metamorfosi di Ovidio, non mancò mai al suo impegno. Come dicevamo era patrono della profezia e della musica e furono proprio queste sue peculiarità a mostrare un fortissimo lato oscuro in questo figlio prediletto dai boccoli d'oro: un'incapacità di perdere che lo rende, sotto un certo punto di vista, un figlio "viziato" dal genitore, padre incontrastato e supremo. Un episodio che esplica questa propensione riguarda una sfida musicale. La storia narra di come Atena inventò l'aulos, un tipo di flauto a due canne della famiglia dell'oboe, ottenuto con ossa di cervo, e di come lo suonasse ai banchetti degli dei. Non spiegandosi come mai Hera e Afrodite ridessero sempre quando si esibiva decise di specchiarsi in uno stagno per suonarlo. Si accorse così di come, nell'usarlo, il suo viso divenisse orrendo, con le gote deformate e il volto paonazzo. Presa dalla rabbia lo gettò via maledicendo chiunque lo avrebbe raccolto. Trovandolo a terra, e aspettando che la dea si fosse allontanata per non subire le sue ire, un satiro devoto a Cibele, Marsia, lo raccolse e magicamente divenne particolarmente ferrato nella pratica dello strumento, tanto che chi lo ascoltava lo prometteva più bravo dello stesso Apollo. La sua arroganza arrivò all'orecchio dello stesso dio della musica il quale gli lanciò una sfida decretando che chi avrebbe mostrato più bravura nell'uso dello strumento avrebbe potuto disporre dell'altro come preferisse. A giudice vennero coinvolte le Muse. Il satiro avrebbe suonato il suo aulos e si sarebbe cimentato in una gara di bravura con Apollo che avrebbe suonato invece la sua lira. Alla fine della gara si ebbe un pareggio, che però, per quanto a Marsia sarebbe potuto bastare, non soddisfece il dio del Sole che si mise a suonare la sua lira al contrario e, dopo aver avuto il plauso incontrastato delle giudici, invitò il satiro a fare lo stesso. Dal momento che, per la natura stessa dello strumento che suonava, non gli era possibile, Marsia si ritenne sconfitto. Apollo, potendo disporre del perdente come desiderava, secondo i patti sanciti all'inizio della gara, lo legò ad un pino e lo scorticò vivo per la sua superbia, come ci narra Ovidio nelle Metamorfosi.

Apollo ebbe molte amanti ma nessuna moglie reale. Per questo motivo forse fu sempre legato al ruolo di "secondo" al padre Zeus. Molti dei suoi amori furono però non corrisposti, come capitò con Cassandra, alla quale come promessa del suo amore offrì il dono della profezia, che gli era caro. Quando però la donna poi rifiutò il suo approccio, lui la maledisse in modo terribile e machiavellico: non le tolse il dono della profezia che le aveva dato, anche perché si dice che non potesse, ma la condannò a non essere mai creduta da nessuno, tanto che quando Cassandra predisse la disfatta di Troia nessuno la prese sul serio.

Il ruolo stesso di patrono della profezia richiama un forte aspetto ctonio di Apollo. Come abbiamo visto, infatti, in gioventù, per vendicare l'avversa sorte di Leto, cercò e uccise il drago-serpente Pitone, figlio di Gea, che Hera aveva scagliato contro la madre costringendola a cercare rifugio sull'isola emersa di Delo. Questo serpente, si dice, era il custode dell'Oracolo, di cui Apollo si impadronì. Per spiegare questo passaggio, che in epoca più tarda si è trasformato in un dono, ma che in realtà è stata una "vittoria per battaglia", torniamo un passo indietro e ricordiamo che Pitone, il custode dell'Oracolo, era un mostruoso figlio di Gea, nato dal fango dopo il diluvio universale. Inizialmente infatti era alla dea della terra, piena rappresentazione dell'aspetto ctonio, che si attribuiva il potere della saggezza e della conoscenza, sia di ciò che è che di ciò che sarà. Non per nulla fu proprio Gea a predire la caduta sia di Urano che di Crono per mano dei rispettivi figli; profezia che portò i due padri a cercare di tenerli prigionieri o di distruggerli. E fu sempre una profezia di Gea a predire come lo stesso destino sarebbe toccato anche a Zeus con il secondo figlio avuto dalla oceanina Metide, il cui nome significa "prudenza", prima amante e forse anche prima moglie del padre degli dei, e colei che lo aiutò ad infiltrarsi come coppiere di suo padre e gli suggerì di usare un emetico miscelato al vino per far sì che Crono potesse rigurgitare i fratelli divorati. Zeus però spezzò questa profezia ingoiando Metide dopo averle chiesto di tramutarsi in una goccia d'acqua dopo aver giaciuto con lei, scongiurando così qualsiasi detronizzazione. Per partenogenesi, in seguito, nacque Atena. Ma di questo ci occuperemo a tempo debito.

Ora torniamo ad Apollo e Pitone. Il drago-serpente venne ferito nella sua tana, sul monte Parnaso, e fuggì nascondendosi presso l'oracolo della madre Gea, a Delfi, nota con questo nome per via della compagna di Pitone: Delfinia. Convinto di essere al sicuro, Pitone venne però inseguito dal dio del Sole fin all'interno del crepaccio, da cui scaturivano i fumi sulfurei, e proprio lì venne ucciso, violando così un luogo sacro. Irata per l'affronto subito, Gea cercò ed ottenne una punizione da Zeus, il quale prima ordinò al figlio di purificarsi a Tempe e poi, in onore del caduto, istituì i giochi pitici. Ma Apollo disobbedì e si recò invece ad Egialia insieme alla sorella, dove ricevette la purificazione. Di ritorno, riuscì a convincere il dio Pan a rivelargli i segreti della divinazione e con quelli prese così possesso dell'oracolo (a volte rappresentato come un tripode, come nella vicenda che interessa la disputa con Eracle) e costrinse la sacerdotessa di Gea a servirlo chiamandola "Pizia", che letteralmente significa "Pitonessa", come Pito era esattamente il nome che si usava per riferirsi all'Oracolo, il cui significato ha radice in pūthō, che in greco significa "marcire" e che è la medesima etimologia di "putrefazione". Gea viene quindi defraudata del serpente, simbolo ctonio di saggezza, trasformazione e profezia; dopotutto i fumi sulfurei che facevano impazzire le pecore e che inducevano la trance grazie a cui la Pizia oracolava giungevano dal centro della terra e avevano un odore di marcio, da cui il nome stesso. Questo evento, chiaramente olimpico, è un altro che segna il potere del patriarcato che spoglia il matriarcato delle sue caratteristiche originarie, per quanto ci sarebbe da dire che il ruolo di Pizia è sempre e solo rimasto legato a sacerdotesse e mai a sacerdoti, per quanto devote ad Apollo.

Appena giunta a conoscenza di questo evento, Leto si recò a Delfi per svolgere dei riti non ben specificati nel bosco di Panopeo. Fu là che Hera cercò una vendetta nei suoi confronti: ispirò un desiderio bruciante per lei in uno dei figli illettimi di Zeus, avuto con Elara, figlia di Orcomeno: il gigante Tizio, il quale cercò di stuprarla. Sentendo le sue urla i figli Apollo ed Artemide giunsero in suo soccorso e riempirono il gigante di frecce, uccidendolo. Dopodiché Zeus, nonostante a morire fosse stato uno dei suoi figli, giudicò l'avvenimento come un atto di giustizia e condannò anzi Tizio a rimanere incatenato nel Tartaro mentre due avvoltoi gli divoravano il fegato.

Questo ulteriore evento ci dimostra come Apollo apparisse come un dio preciso, che amava l'ordine, i genitori e la giustizia e non tollerava la superbia e l'arroganza degli uomini, di fronte alla quale era pronto a punire severamente e senza provare alcun rimorso, come avvenne nel caso di Niobe, regina di Tebe, quando si vantò di aver avuto quattordici figli, di cui sette maschi e sette femmine e che derise invece Leto per averne avuti solamente due. Insieme alla sorella Artemide, per "raddrizzare il torto" perpetrato nei confronti della madre, uccise a sangue freddo dodici dei figli di Niobe, oltre che la madre stessa, lasciando in vita solo un maschio e una femmina. Questo mito, come anche quello che riguarda il satiro Marsia, ci fa notare come la giustizia che Apollo perpetra sia, in qualche modo, soggettiva o quanto meno sommaria.

Apollo fu anche uno degli dei che cospirarono contro Zeus, assieme a Poseidone e su istigazione di Hera, nell'episodio che lo vide incatenato al letto e con le folgori nascoste. A subire la reale ed esemplare punizione, come abbiamo visto nell'articolo su Zeus, fu solo Hera. Ad Apollo e Poseidone fu solo ordinato di costruire le mura di Troia, mentre gli altri vennero perdonati. Questo, assieme a ciò che seguirà, furono gli unici due eventi in cui la collera di Zeus si scatenò sul figlio dai riccoli d'oro, mostrando ancora come egli fu preferito ad altri dal padre degli dei. L'altro evento interessa il figlio di Apollo, Asclepio, patrono della medicina, il quale riportò in vita un uomo dalla morte, strappando dal regno degli inferi un'anima destinata ad Ade, il quale si rivolse al giudizio del fratello per ottenere giustizia. Per punirlo Zeus lo uccise quindi con una folgore. La faida si sarebbe fermata lì se non fosse che Apollo, per vendetta, uccise i ciclopi che avevano forgiato le folgori per suo padre, nonché la guardia del corpo del Padre degli dei. L'ira di Zeus fu tremenda e pareva che fosse deciso a scagliare il figlio nel Tartaro per aver sfidato in questo modo la sua autorità, ma il suo furore fu placato dall'intervento di Leto che intercesse implorando di dargli una seconda possibilità, promettendo che d'ora innanzi sarebbe stato un figlio modello. Forse ammorbidito dalle lacrime di Leto o forse comunque legato ad un rapporto particolare con Apollo, Zeus decretò che la punizione sarebbe stata quella di pascolare per un anno le greggi del re di Pere, Admeto, il quale mostrò nei suoi confronti un grandissimo rispetto, tanto che Apollo decise di fargli un dono incredibile: ogni sua vacca avrebbe avuto solo parti gemellari. Questo evento segna un cambiamento nella tumultuosità dell'animo del dio che si mostrò più equilibrato, forse maturo, ma comunque legato ad una natura più portata al "pensare prima di agire". Tanto che ancora adesso, a Delfi, all'ingresso del tempio a lui dedicato si può trovare la scritta: "gnôthi seautón", ossia "conosci te stesso". La sua placidità gli volse anche l'epiteto di "codardo" da parte della sorella Artemide quando rifiutò di battersi in duello con Poseidone durante la guerra di Troia, una provocazione che non lo indusse comunque a rispondere se non "Se dovessi combattere per degli insignificanti mortali che oggi sbocciano sui rami come foglie e un attimo dopo appassiscono e muoiono sarei privo di misura e di prudenza".

Come dicevamo sopra, Apollo ebbe molte amanti, ma rimase comunque un dio non sposato e non fu quasi mai fortunato nelle sue avventure. Fu anche il primo dio a desiderare qualcuno del suo stesso sesso. Il caso è quello di Giacinto, un giovane principe spartano. Egli era desiderato anche da Tamiri e dal Vento dell'Ovest. Sbarazzarsi del primo rivale in amore non fu troppo difficile; ad Apollo bastò rivelare alle Muse di come egli si vantasse di superarle nel canto e queste lo resero immediatamente cieco, muto e privo di memoria. La difficoltà giunse con l'altro rivale. Durante una gara al discobolo che tenne con il suo amato, proprio quando Apollo gettò il suo disco, il Vento dell'Ovest, geloso, soffiò violento deviandone la direzione e portandolo a schiantarsi violentemente contro la fronte di Giacinto, che rimase ucciso sul colpo.

Oltre all'episodio che coinvolse la troiana Cassandra, a cui lui donò la seconda vista ma che, in seguito al suo rifiuto, condannò a non essere creduta da nessuno, Apollo si trovò rifiutato anche da Marpessa, moglie di Ida, che quando le fu chiesto da Zeus di scegliere tra suo marito e Apollo decise di rimanere a fianco del mortale, in quanto temeva che Apollo l'avrebbe lasciata quando fosse diventata vecchia e brutta. Da lui rifuggì anche Daphne, la ninfa dei monti devota a Gea, la quale, per salvarla, la portò immediatamente a Creta, dove divenne Pasifae, la regina di Minosse, figlio di Zeus che poi generò il mostruoso Minotauro. Al suo posto fece crescere una pianta di alloro, che divenne sacra ad Apollo e dalla quale si intrecciò una corona che ancora adesso indossano i laureati in letteratura.

Uno dei figli più noti fu Asclepio, che ereditò dal padre il potere della medicina. Lo ebbe da madre Coronide, dopo un rapporto avuto con lei mentre faceva il bagno in un lago. Allontanatosi delegò ad un corvo bianco il compito di tenerla d'occhio e quando lei decise di sposare Ischys, del quale era sempre stata innamorata, vedendoli insieme l'uccello si alzò in volo e comunicò ad Apollo ciò che era successo, ma lui, grazie ai suoi poteri profetici ne era già a conoscenza e rese le piume del corvo nere come punizione per non aver accecato l'uomo, che poi uccise personalmente. La madre invece venne uccisa dalla sorella Artemide ma il semidio che portava in grembo, Asclepio per l'appunto, in quanto figlio di Apollo, venne salvato e dato al centauro Chirone che lo allevò e lo istruì. Atena in seguito gli elargì un enorme dono, consentendogli di poter scambiare il suo sangue con quello di Medusa. Pertanto dalle vene del suo fianco sinistro sgorgava un veleno mortale, mentre dal destro un fluido miracoloso capace di guarire qualsiasi ferita o malattia e di far risorgere i morti. Fu con questo potere che riportò in vita Ippolito e scatenò così l'ira di Zeus che lo fulminò. Ad Asclepio era sacro il serpente, che richiama il potere ctonio di Apollo "rubato" a Gea. Il suo simbolo è infatti un bastone su cui è avvolta una serpe. Secondo alcuni questo deriva da una pratica di guarigione per contrastare l'infezione da un parassita sottocutaneo che viene estratto avvolgendolo su un bastoncino.

Un altro dei figli noti di Apollo è Fetonte, avuto con Climene, il quale appena saputo che era figlio del dio del Sole chiese al padre di poter guidare il carro solare, ma, come ci narra Ovidio nelle Metamorfosi, totalmente privo di pratica, perse il controllo dei cavalli, che non lo riconoscevano , e avendo rischiato di bruciare l'intero pianeta avvicinandosi troppo alla terra venne abbattuto da una folgore di Zeus, trovando la morte.

Dalla ninfa tessalica Cirene invece ebbe Aristeo, che poi divenne il mandriano infero di Ade.

I due simboli di Apollo sono la lira e l'arco, entrambi strumenti a corda. Secondo Walter Otto, autore de Il Volto degli Dei, i greci trovavano una similarità tra i due in quanto se egli avesse toccato la corda dell'arco avrebbe scoccato una freccia infallibile, se invece avesse toccato la corda della lira avrebbe suonato una musica infallibile. Entrambi segnano comunque un forte impatto di distacco: egli colpisce da lontano con l'arco, senza coinvolgersi nella mischia degli uomini comuni, oltre al fatto che la lira stessa è uno strumento intellettuale e meno portato ad un coinvolgimento musicale. Questa peculiarità ci richiama due miti e un'allusione interessante. Come abbiamo detto Apollo è il figlio prediletto di Zeus, ma, curiosamente, non è mai stato mai visto come un "successore" del padre, come in realtà ci si sarebbe aspettato. Questo ruolo, curiosamente, viene dato ad una divinità ad Apollo molto legata: Dioniso. Come vedremo poi nell'articolo a lui riservato, Dioniso è l'unico Olimpo nato da una mortale: Semele. Inoltre è l'ultimo arrivato, avendo preso il posto di Estia, la dea del focolare domestico, in quanto la sua importanza nel culto importato dalla Tracia crebbe enormemente. Là, quindi, dove Apollo è distaccato e informale, Dioniso rappresenta invece il suo aspetto ribelle e distruttivo. Non per niente lo strumento musicale legato a questo dio è il flauto. Uno strumento simile a quello che usava il disgraziato Marsia, un satiro, e simile a quello che usava anche Pan. Questo ci riconduce ad un mito che narra di come, alla corte del re Mida, Apollo intraprese un'altra sfida musicale proprio con il dio dal piede caprino, vincendo anche questa. Chiunque si intenda di mitologia greca saprà bene che Pan è un dio antichissimo e il fatto che la paternità venne in seguito attribuita ad Hermes è una tarda interpretazione, infatti questo dio conserva dentro di sé ancora il simbolismo zoomorfo degli dei più antichi, oltre al fatto che il suo nome, oltre che il ruolo antico che aveva, era quello di "creazione mediante il verbo". Non per niente fu proprio a Pan, come abbiamo visto, che Apollo strappò i segreti della divinazione. E questo dio, il pastore, è un dio fertilitario e selvaggio, privo della componente distaccata e intellettuale che riconosciamo in Apollo. Nel mito che lo vede come figlio di Hermes infatti questi lo porta sull'Olimpo perché possa "divertire gli dei con la sua bruttezza" e Pan lega particolarmente con Dioniso, un altro dio degli eccessi. Il totale opposto di Apollo che invece predicava la moderazione. Non per niente si parla di spirito dionisiaco o spirito apollineo per distinguere questi due opposti. Nonostante ciò, non è ad Apollo che Zeus cede il trono in sua assenza, bensì ad un Dioniso ancora bambino che, tentato dai titani istigati da Hera (dato che rappresentava l'ennesimo tradimento del marito) con svariati giochi, tra i quali scelse lo specchio, venne smembrato a morsi. Rhea lo riportò in vita e Zeus lo affidò a Persefone che lo portò a sua volta alla corte di Atamante e Ino perché venisse cresciuto come una fanciulla. Questo diede a Dioniso un aspetto e un'attitudine androgini.

Apollo e Dioniso hanno anche un altro aspetto comune. Se il primo era fratello di Artemide, dea lunare, il secondo ne era figlio, in quanto Semele era spesso associata con Selene, la dea lunare più antica, a richiamare un aspetto legato al ciclo del vino. Come abbiamo visto anche nell'articolo legato ad Ade, entrambe queste divinità hanno aspetti ctonii pronunciati. Il dettaglio però lo rivedremo con l'articolo legato propriamente a Dioniso.

Una similitudine con Apollo la troviamo con Horus, il dio solare degli Egizi che, in questo caso, segue le orme del padre prendendo realmente il suo posto. Come ben sappiamo infatti, il ruolo di dio solare per il pantheon egizio era legato ad Osiride e prima ancora ad Iside, oltre che ad Atum e Ra. A quanti potrebbe non essere ben chiaro questo concetto mi ritrovo a ricordare che stiamo parlando di civiltà i cui miti viaggiano sull'ordine di seimila anni. Perché quindi Horus? Perché non si parla di rappresentazione del sole, bensì di "figlio del padre".

Come altre divinità egizie, anche Horus possiede ancora l'aspetto zoomorfo. Infatti il suo capo è quello di un falco a richiamare un potere celeste. Il mito che più lo interessa è quello che lo vede in eterna lotta con Set, il fratricida, patrono dei deserti e delle oasi, dal quale deve vincere il trono dell'Egitto su cui sedeva il padre, che dopo la morte è rimasto legato al regno infero e divenuto giudice dei morti. Durante una delle due battaglie più feroci, secondo il mito più arcaico e antico, quindi non quello narrato da Plutarco, Horus perse un occhio, a giustificare secondo alcuni mitografi il fatto che fosse un dio solilunare, perché gli occhi del falco rappresentavano il Sole e la Luna che entrambi seguivano il loro corso nel cielo quando l'uccello si innalzava, sorvolando la terra. La perdita di un occhio fu la giustificazione per la minore luminosità della luna confronto a quella del Sole. Nel secondo scontro fu Set però a perdere un testicolo, a giustificare quindi la desolazione e la mancata fertilità del deserto, di cui era patrono.

In un contesto puramente di ruolo, quello di Horus è un destino segnato, sin dal principio, dalle gesta del padre. A livello strettamente mitologico c'è anche da dire che il braccio di ferro non lo fa con un fratello, bensì con lo zio. Set e Horus si contendono il dominio dell'Egitto alla morte di Osiride e al suo conseguente inscindibile legame con i reami inferi che lo ha reso giudice dei morti. Se, da una parte, possiamo vedere storiograficamente che la spiegazione del mito richiama quella della battaglia avvenuta tra l'Alto e il Basso Egitto (dove regnavano due differenti faraoni) che poi ha conseguito la pacificazione e l'unione dei due regni dove il sovrano diventa incarnazione stessa di Horus in quanto dio solare e regna su tutti e due i regni portando entrambe le corone, quella bianca dell'Alto Egitto, sacra a Osiride, e quella rossa del Basso Egitto, sacra a Neith, e il Giunco e l'Ape, i due scettri che vediamo in mano ai faraoni, dall'altra il mito parla anche di una lotta tra divinità maschili dettata dal predominio del potere esecutivo, dove, per quanto ci è stato passato, Horus era il favorito, sin dalla prima dinastia.

Horus è un dio distaccato, aureo. La sua ipostasi è rappresentata da un uccello: un falco, che nel deserto sorvolava e vigilava dall'alto. L'origine stessa del nome ci riporta ad un contesto celeste, dato che il nome egizio era Hr, che richiama la lettere Heru, che significa "Il Lontano". Trattandosi di una divinità predinastica, quindi risalente a oltre cinquemila anni fa, porta con sé l'aspetto più sciamanico e animista, come altre divinità egizie, pertanto è spesso rappresentato sia in forma zoomorfa come falco (a volte con un copricapo regale), sia in forma antropomorfa come un uomo dalla testa di falco, sempre con posata sul capo la pschent, costituita dalla sovrapposizione delle due differenti corone che rappresentano l'Alto e Basso Egitto, o, a volte, con la corona faraonica speciale, di cuoio blu e rosso che vediamo in capo alla statua dorata di Tutankhamon. Horus, come le altre divinità egizie, è sempre rappresentato con il piede destro in avanti, quindi in movimento. Nella mano sinistra, come molte altre divinità, tiene stretto l'Ank, la magica croce ansata simbolo della vita e del cammino iniziatico, mentre nella destra porta un bastone, simbolo di guida, di comando e potere esecutivo.

Come abbiamo visto il mito che lo interessa particolarmente richiama un ciclo agreste: Set strappa a Horus un occhio e Horus strappa a Set i testicoli, donando poi l'occhio al padre Osiride, risorto così dagli inferi, per completare il ciclo fertilitario preso da testimone al genitore. Il mito lo abbiamo già visto nell'articolo sul Tiranno, dove si parla di Set. Da notare è la differenza che corre tra il mito predinastico narrato nel Libro delle Piramidi (quindi quello strettamente egizio) e quello ellenico di Plutarco, noto come "Iside ed Osiride"; nel primo Iside viene fecondata da un Osiride morto e non ancora risuscitato, grazie ad un fallo di legno, dato che dopo lo smembramento avvenuto il membro era stato mangiato dall'ossirinico, un pesce del Nilo che sarebbe poi il misterioso animale ipostasi dello stesso Set, ma il dio rimane legato alla morte e diventa così giudice dei defunti e divinità arborea in stato vegetativo, mentre nel secondo Osiride viene risorto magicamente da Iside tramutata in rondine ed in seguito viene smembrato da Set e sparso in quattordici pezzi, di cui uno, il fallo, va perduto.

La lotta tra Horus e Set ha un vincitore abbastanza scontato, se vogliamo. È il regno patriarcale e aureo a vincere, strappando al vincitore i testicoli, simbolo di fertilità, e castrando quindi ogni possibilità di eredità. È un simbolismo, questo, che rivediamo nel mito greco di Cronos che evira Urano: Set, che incarna i poteri tellurici, caotici, distruttivi e comunque ctonii legati alla terra, viene distrutto, evirato, ma soprattutto punito per il suo fratricidio dal dio celeste ed aureo. La storia, come sempre, viene scritta dai vincitori, ma a vederla dal giusto punto di vista è comunque una forza intellettuale, legata all'ordine, al discernimento e al distacco che schiaccia, punisce, e priva di ogni potere una forza caotica, incontrollabile e istintuale, proclamandosi poi come sovrano assoluto del cielo e della terra.

Un ulteriore aspetto del figliol prodigo lo troviamo con un'altra divinità di tipo agreste, in questo caso del culto norreno: Baldr. Anche questo mito lo abbiamo trattato in un altro contesto, sempre legato all'aspetto del Tiranno. Egli era figlio di Freyr ed Odino, morì per gelosia (come Osiride) e per mano di una divinità caotica, in questo caso Loki che, in seguito, venne punito in modo esemplare dal potere aureo e celeste di Odino e del figlio Thor. Al contrario, infatti, di come potrebbe sembrare, non è a Thor che spettava il regno del padre, bensì allo stesso Baldr. Fu per questo motivo, forse, che la sua morte fu un terribile colpo per chiunque. Egli era infatti visto come "Il migliore tra gli Asi". In entrambi i casi, sia quello di Baldr che quello di Horus, abbiamo un ruolo determinante da parte della dea madre nel destino della divinità stessa: Freyr e Iside in questo caso prendono due aspetti molto vicini e legati fra loro: entrambe proteggono il figlio o lo crescono con particolare riguardo, mostrando un amore infinito, al punto da quasi tutelarlo più del necessario per le battaglie che, volente o nolente, questo figlio dovrà comunque affrontare nella sua vita. La tutela e l'amore che vengono mostrati per il figlio sfociano, in un certo senso, in una protezione estrema. Per comprendere questo aspetto dobbiamo anche ricordarci che le divinità dell'antichità erano sì immortali, ma che potevano ferirsi e talvolta uccidersi vicendevolmente. Nel mito nordico di Baldr, che richiama ancora una volta il ciclo agreste, è proprio la scoperta della sua possibile morte a spaventare questo figlio accettato e benvoluto, al punto da confessare alla madre i suoi timori e portarla a stappare una promessa a qualsiasi metallo, elemento, pianta, animale, veleno di non ferire mai Baldr. Se non fosse che Freyr trascura questo piccolo particolare: il vischio, giovane e morbido, ossia la pianta che, nonostante così innocua, diventa la causa della morte del dio per il piano astutamente architettato dal geloso Loki, il signore del caos, il quale, travestitosi da ancella, dopo essersi accertato con l'inganno di quale fosse l'unico punto debole del dio invincibile, arma il dio cieco Hodr con un ramo di vischio e lo invita ad imitare gli altri Asi che, per puro divertimento, scagliavano oggetti e armi di ogni tipo addosso a Baldr, il quale, grazie alla promessa ottenuta da Freyr, non poteva venir ferito da nulla. Egli, trafitto a morte di fronte allo sgomento di chiunque, si ritrova nel mondo infero, dove regna la figlia di Loki stesso: Hel. Anche dopo la morte, quando l'intercessione della dea degli inferi era stata ottenuta, l'unico vincolo che questa pose per riportare in vita Baldr non venne soddisfatto. Ella chiese che venisse mostrato l'amore così grande che tutti i regni provavano per Baldr e che fosse dimostrato quindi che egli era così benvoluto, che fosse davvero il migliore tra tutti gli dei, come si diceva. Su richiesta (o editto) del padre Odino, qualunque divinità, uomo o donna, animale, pianta, gigante, elfo, nano, spirito ecc. avrebbe dovuto piangere per lui. E così fu. Solo una gigantessa non versò nemmeno una lacrima e Baldr fu costretto a rimanere legato agli inferi; e il mito dice che si sospettava che quella gigantessa altri non fosse che lo stesso Loki, maestro dei travestimenti.

Baldr, come Apollo e come Horus, è ancora una volta un dio solare. Egli era bellissimo, splendente, i suoi capelli biondissimi e quando appariva splendeva di luce propria. Nonostante l'unico mito che ci è giunto sia quello legato alla sua morte, non è difficile rapportare il suo contesto ad un ciclo agreste, anche se, a differenza di altri miti legati allo stesso contesto, anche se provenienti da altri pantheon e civiltà, come Tammuz, Dumuzi, Eracle, Adone, Osiride o Attis, a tutti gli effetti Baldr muore e non risorge se non al momento del Ragnarok scatenato da Loki, quando, assieme al fratello Hermóðr, sarà padre di una nuova stirpe.

La connessione che possiamo quindi azzardare è quella con Gesù Cristo, a ben vedere, un altro "figlio prediletto sacrificato" e, come osservato da Robert Graves, un dio arboreo, nato, appunto, in una città che porta il nome ebraico di Bayti Laḥmin, ossia: "Casa del Pane". E da chi è stato sacrificato Gesù Cristo, se non dallo stesso padre? è proprio questo il parallelismo che si potrebbe creare con il mito di Baldr, dal momento che Hodr era cieco, ma anche Odino sotto un certo punto di vista lo era, dal momento che aveva sacrificato un occhio durante il suo viaggio iniziatico lungo l'albero Yggdrasil per ottenere la conoscenza costituita dalla rune. Non sarebbe stato strano che Odino richiedesse e ottenesse sacrifici di eroi perché rimanessero al suo fianco. Questo aspetto richiamerebbe ancora di più il mito cristiano per cui il padre del cielo avrebbe mandato suo figlio ad incarnarsi sulla terra sapendo che avrebbe trovato la morte. Ma un aspetto ancora più interessante lo troviamo appunto nell'Edda, dove si dice che, dopo la morte di Baldr, mentre venivano organizzate le esequie del suo corpo mortale, l'altro figlio di Odino, Hermóðr, venne incaricato dal padre di discendere nel regno degli inferi per chiedere a Hel di lasciar andare Baldr, affinché potesse ritornare tra i vivi. Hel ammise di averlo visto passare dal cancello di sola andata Helgrind ma non gli garantì l'accesso. Finché, in groppa al suo destriero, fece un balzo e scavalcò il cancello degli inferi: non attraversandolo non fu costretto così a rimanere legato a quel luogo e poté pertanto tornare indietro. Hel accettò, quindi, che Baldr tornasse nel mondo dei vivi, ma impose il suo precetto che, infine, non venne soddisfatto e questi rimase bloccato nel suo regno.

Gesù Cristo quindi, chiaro dio solare, rappresentato sempre con il capo splendente e nato in comunione con la nascita stessa del Sol Invictus, dopo tre giorni dalla sua morte per crocifissione risorge e spalanca il santo sepolcro, abbagliando il legionario che vi stava a guardia e rendendolo cieco. Nel tempo in cui il suo corpo era ritenuto morto, secondo alcuni passi delle Scritture, Gesù discese negli inferi per portare la buona novella a coloro che lo avevano preceduto, pertanto coloro che erano morti prima di lui e che, secondo il dogma cristiano, non avevano ricevuto lo Spirito Santo nonostante il battesimo. Non si parla di dannati, ma di morti che risiedevano negli inferi, in attesa della sua venuta. Di questo ruolo infero si parla poco e il luogo stesso non è identificabile come l'Inferno stesso, bensì come lo sheol. Ovviamente il testo che porta questo passo è un vangelo apocrifo, ossia Nicodemo: "[In quella] venne Satana, l'erede delle tenebre, e disse all'Ade: "O tu che divori tutto e sei insaziabile, ascolta le mie parole! Per un mio artifizio gli Ebrei hanno messo in croce un certo Gesù della stirpe degli Ebrei; egli chiama se stesso figlio di Dio, ma è un uomo, ed ormai che è finito è pronto per essere qui rinchiuso. .. Nel mondo di sopra, allorché viveva con i mortali, mi ha fatto molto male. Ovunque trovava dei miei servi, li perseguitava. .." L'Ade disse: "È proprio così possente .. ? E se è così, gli puoi tu resistere? A me pare che nessuno potrà resistergli. ..". Satana rispose: "O tu che divori tutto e sei insaziabile, hai tanta paura per quanto hai udito a proposito del comune nostro nemico? .. Preparati dunque ad afferrarlo fortemente allorché verrà". L'Ade rispose: "O erede delle tenebre, figlio della perdizione, diavolo, tu mi hai detto .. che, con la sola parola, egli ha dato la vita a molti che erano ormai pronti per essere sepolti: se ha liberato altri dal sepolcro, come e con quale forza potrà essere egli trattenuto presso di noi? .. Se lo riceviamo qui, metteremo in pericolo anche gli altri. Io ho inghiottito tutti gli uomini fin dall'inizio; ma ecco che sono agitati, ed io ho male alla pancia. .. Quel Lazzaro che mi è stato strappato .. infatti fuggì da me non come morto, ma come un'aquila; la terra lo respinse fuori istantaneamente così. Ti scongiuro, perciò, .. di non condurlo quaggiù. Penso, infatti, che verrà qua per risuscitare tutti i morti. ..".

(...)Mentre Satana e l'Ade parlavano così tra loro, ci fu una voce grande come un tuono, che diceva: "Alzate le vostre porte, o prìncipi, aprite le vostre porte eterne ed entrerà il re della gloria". L'Ade udì e disse a Satana: "Esci e resistigli, se puoi!". Satana dunque venne fuori, e l'Ade disse ai suoi demoni: "Rafforzate bene le porte bronzee, tirate le spranghe di ferro, osservate tutte le chiusure, vigilate tutti i punti. Se egli entra qui, guai a noi!".

(...)Udita questa voce per la seconda volta, l'Ade rispose come se non lo conoscesse, dicendo: "Chi è questo re della gloria?". Gli angeli del padrone gli risposero: "Un Signore forte e potente, un Signore potente in guerra!". A queste parole, le porte bronzee furono subito infrante e ridotte a pezzi, le sbarre di ferro polverizzate, e tutti i morti, legati in catene, furono liberati e noi con essi. Ed entrò, come un uomo, il re della gloria e furono illuminate tutte le tenebre dell'Ade.

(...)L'Ade gli gridò subito: "Siamo stati vinti, guai a noi! Ma chi sei tu che hai una tale autorità e potenza? Chi sei tu che, senza peccato, sei venuto qui? Tu che sembri piccolo e puoi compiere grandi cose, sei umile e alto, servo e padrone, soldato e re, ed eserciti la tua autorità sui morti e sui vivi? .. Sei tu dunque Gesù del quale ci ha parlato l'archisatrapo Satana e che per opera della croce e della morte sei in procinto di ereditare tutto il mondo?".

Poi il re della gloria afferrò per il capo l'archisatrapo Satana e lo consegnò agli angeli, dicendo: "Con catene ferree legategli mani e piedi, collo e bocca! Poi datelo in potere dell'Ade dicendo: "Prendilo e tienlo fino alla mia seconda venuta!"". Preso Satana, l'Ade gli disse: "O Beelzebul, erede del fuoco e del tormento, nemico dei santi, che cos'è che ti ha costretto a determinare la morte in croce del re della gloria sicché venisse qui a spodestarci? Guardati attorno e osserva come a noi non è più rimasto alcun morto e come tutti quanti avevi guadagnato per mezzo del legno della conoscenza, li hai persi tutti per il legno della croce, e tutta la tua gioia s'è mutata in tristezza: mentre volevi dare la morte al re della gloria, hai dato la morte a te stesso. Avendoti ricevuto per tenerti ben sicuro, imparerai per esperienza quali mali addosserò su di te.

Questo vangelo prende in considerazione una sorta di "incontro" tra il figlio Gesù e il sovrano infero Ade, omonimo o comunque il dio del pantheon greco e ricalca molto il mito di Hermóðr che scavalcò i cancelli di Helgrind per riportare in vita Baldr. Non per nulla anche nella Divina Commedia nell'ottavo canto dell'Inferno leggiamo un richiamo a questi "cancelli distrutti": "Questa lor tracotanza non è nova; ché già l'usaro a men segreta porta, la qual sanza serrame ancor si trova." È possibile pertanto supporre che il mito di Baldr e quello di Gesù Cristo si siano avvicinati proprio nel periodo in cui avveniva la cristianizzazione del nord Europa, intorno al decimo secolo, e che quindi la possibilità di vedere un "ritorno" del salvatore per riportare un nuovo regno sia legata al ritorno di Baldr dopo il Ragnarok, che riporta una nuova stirpe umana assieme al fratello.

In ultima analisi, troverei interessante porre di nuovo l'attenzione sul fatto che Apollo, appena nato, viaggiò nella magica terra degli Iperborei. Il nome stesso di questo mitico popolo implica che siano oltre Borea. Allora, come abbiamo visto più sopra, i regni estremamente boreali erano il dominio delle popolazioni nordiche e degli dei norreni. Baldr e Apollo hanno delle similarità quasi imbarazzanti: entrambi sono divinità solari, sono figli prediletti, sono abilissimi guerrieri e hanno un forte lato ctonio, oltre ad avere un aspetto fisico, per quanto è descritto nei miti, decisamente simile: capelli biondi, occhi azzurri, volti sbarbati e bellissimi. Non potrebbe quindi essere che Apollo e Baldr siano la stessa divinità e che il viaggio che il figlio di Zeus ha svolto in quella terra sia terminato con la morte di Baldr, ossia quando egli è sceso negli inferi per mai più ritornare?