The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Dioniso il Rigenerativo

 

Dioniso il Rigenerativo


Tra tutte le divinità del culto greco Dioniso è, forse, la più complessa e articolata oltre che ricca di significati e di sfaccettature. La profondità del suo mito ci impedisce di riportare qualsiasi cosa lo riguardi per esigenze di spazio, ma cercherò di rendere il più completo possibile questo articolo sulla base delle mie possibilità, rimettendomi poi ad eventuali rettifiche e aggiunte a posteriori.
Dioniso, come abbiamo spiegato nell'articolo che spiega il concetto della divinità Rigenerativa, è un tipo di dio che sta al di fuori dello schema generale tracciato e usato finora per definire i diversi aspetti. Egli, sopra ogni altra cosa, è noto come il "Due Volte Nato". Questo epiteto gli è valso per il mito che riguarda la sua nascita e che lo rende particolare sopra ogni altra divinità, in quanto è l'unico degli Olimpi figlio di una mortale, come vedremo.
Dioniso è un dio tracio, quindi proveniente dallo stesso luogo da cui giunsero Ares, Attis, Cibele e l'eroe Orfeo e secondo alcuni di origine cretese. Non è in effetti uno dei dodici olimpi originali, ma prese il posto di Estia quando il suo culto fiorì nella penisola. Dobbiamo infatti ricordare che la Grecia prima era soggetta ad un culto matriarcale e ad una società culturale matrilineare. Furono gli Elleni, conquistatori, a portare il patriarcato nelle due invasioni note come eolica e ionica dell'Asia Minore e della Grecia, all'inizio del secondo millennio prima di Cristo, che non sono note nemmeno per essere state così schiaccianti come quelle doriche e achee che seguirono nel dodicesimo secolo avanti Cristo. Quando le culture stanziali e quelle invasori si amalgamarono, con parecchie difficoltà, fu istituito un sistema religioso che comprendeva una sorta di coincilio che dava una possibilità di coesione tra le tradizioni ellenica patriarcale e pre-ellenica matriarcale, pertanto venne dato posto a sei dei e a sei dee, dove Zeus ed Era erano i supremi "genitori". Ma dopo quella che nel mito è narrata come la ribellione di Era a Zeus, per cui venne punita severamente, finendo appesa alla volta celeste con incudini legate ai piedi, ecco che la dea madre, prima guerriera, fu sottomessa al marito; Atena divenne emanazione completa del padre, quindi nata per partenogenesi dal suo cranio, ed Estia, la divinità più vicina al vecchio femminile, fu estromessa per lasciare posto a Dioniso, così che tra gli olimpi ci fosse un predominio numerico delle divinità maschili su quelle femminili. Nonostante il suo ruolo di "spodestatore", questo dio ha una storia avvincente e molto legata alle donne, come vedremo.
La prima parte misteriosa del mito di Dioniso è la maternità. Nonostante sia certo che il padre sia Zeus, sulla madre ci sono molte interpretazioni. Secondo Diodoro Siculo si trattava di Demetra o di Io. Secondo Pindaro era invece figlio di Dione, mentre nel Simposio, Plutarco lo dà come figlio di Lete. Ma c'è un frammento orfico che lo dà come figlio di Persefone, avuto per violenza di Zeus sotto forma di serpente mentre lei stava filando in una grotta, nascosta da Demetra, a conoscenza della passione che il padre provava per lei. C'è però una versione più nota e che vede Dioniso, come dicevamo, figlio di una mortale: Semele, a sua volta figlia di Cadmo e Armonia, regnanti sulla città di Tebe. Questo mito, narrato da Apollonio Rodio e da Apollodoro, racconta di come Zeus coltivasse in segreto questo amore con una mortale, senza però rivelarle la sua vera identità, affinché la sua amante potesse essere protetta dalle ire della gelosa e vendicativa Era, dato che Semele era già gravida di sei mesi. Nonostante queste premure, però, la dea del matrimonio, sotto le sembianze di una vecchia nutrice, insinuò nella puerpera il dubbio che l'uomo che la visitava di notte potesse essere un mostro e che fosse appunto il figlio di un mostro che ella portava in grembo. Era, inoltre, istigò anche le tre sorelle di Semele: Agave, Autonoe ed Ino, a beffarsi di lei per il fatto di essere gravida senza che il padre si fosse mostrato. Spinta quindi dalle insistenze delle sorelle e dalle insinuazioni della finta nutrice, affidandosi così ai suggerimenti dell'anziana, non sospettando si trattasse in realtà di Era, Semele chiese a Zeus, che le aveva promesso di accondiscendere a qualsiasi cosa gli avesse chiesto, di mostrarsi nella sua vera natura, affinché potesse credere alle sue parole. Il dio, comprendendo subito che cosa avrebbe implicato, rifiutò e cercò di convincerla in ogni modo del pericolo che correva ma Semele, sedotta dalle insinuazioni di Era, gli negò il suo corpo, facendolo così infuriare e inducendolo a mostrarsi nella sua vera natura. Purtroppo, come previsto, il piano ordito da Era si realizzò: la visione del dio privo di maschere fu troppo per una mortale e lei ne rimase incenerita. Come ci spiega anche Apollonio Rodio nelle Argonautiche riferendosi ad Apollo: nessun uomo o donna che debba morire può vedere un dio nella sua forma reale senza rimanerne distrutto. Questo gesto seguì il disegno di Era, ma non in modo completo; il bambino che portava in grembo, infatti, fu raccolto da Ermes, il quale lo cucì nella coscia di Zeus, così che potesse continuare la gestazione per i restanti tre mesi.
Secondo Robert Graves, nel suo I Miti Greci: "Dioniso fu in origine, probabilmente, il divino paredro che la dea uccideva ritualmente con la folgore il settimo mese dopo il solstizio d'inverno e che le sue sacerdotesse divoravano. Ciò spiega perché gli venissero attribuite tante madri: Dione la dea della quercia; Io e Demetra, dee del grano e Persefone, dea della morte. Plutarco, quando parla di lui come di «Dioniso, figlio di Lete» («oblio»), allude alla sua più tarda personificazione del dio della Vite."
Inoltre, sempre secondo Graves, "la vicenda di Semele, figlia di Cadmo, pare ricordi i metodi sbrigativi adottati dagli Elleni in Beozia per porre fine al tradizionale sacrificio del re sacro: Zeus olimpio afferma il suo potere, prende il re sacro sotto la sua protezione e annienta la dea con la folgore. Dioniso diventa così immortale, dopo essere rinato da un padre immortale. Semele era onorata ad Atene durante le Lenee, cioè la Festa delle Donne Invasate, quando un giovane toro, che rappresentava Dioniso, era tagliato in nove pezzi e sacrificato alla dea; un pezzo veniva bruciato e il resto divorato dai fedeli. Semele viene di solito interpretata come una variante di Selene («luna»), e nove era il numero tradizionale delle orgiastiche sacerdotesse della Luna che prendevano parte a tali feste: nove sacerdotesse danzano attorno al re in una pittura rupestre nella grotta di Cogul, e ancora nove sono gli accoliti di San Sansone di Dol uccisi e divorati in epoca medievale."
Quando Dioniso era un bambino, secondo più autori greci, possedeva aspetti animali, come le corna sulla testa e i serpenti al posto dei capelli. Questi due animali, il serpente e il toro, sono simboli che richiamano alcuni aspetti determinanti nel mito e nel culto di Dioniso. Zeus, che aveva decretato che un giorno Dioniso avrebbe preso il suo posto, dovendosi assentare momentaneamente gli cedette il trono. Era, intravedendo una possibilità, forse, di prendere il predominio e di trovare una vendetta, istigò i titani ad ucciderlo. Questi si pittarono il volto di gesso per mascherare la loro vera natura e poi lo attrassero con diversi oggetti. Dioniso, nonostante fosse un bambino, mostrò un coraggio tutto divino: si tramutò in molti animali differenti, ma questi lo afferrarono, lo smembrarono, ne bollirono e poi ne arrostirono i resti in un paiolo. Nel luogo dove il suo corpo fu fatto a pezzi, lordo di sangue, crebbe un albero di melograno (un richiamo forse suo aspetto infero e al suo legame con Persefone). Fu Rea a giungere in suo aiuto questa volta. Raccolti i resti del suo corpo li riformò e soffiò nuovamente in loro la vita.
Zeus, per proteggerlo dalla furia della moglie, chiese alla figlia Persefone di prendersi cura del piccolo "rinato", e la regina degli inferi lo affidò ad Atamante e Ino, figlia di Cadmo e Armonia e sorella di Semele, regnanti su Orcomeno, antica città dell'Arcadia. Per permettere una maggior copertura delle tracce e per sviare la gelosa Era dal prendersi una nuova vendetta ai danni di Dioniso, il piccolo venne allevato come una bambina e tenuto assieme alle donne. Questo stratagemma però non ingannò Era, che scatenò sulla coppia una follia omicida: indusse il re Atamante a credere di vedere nella moglie Ino e nei figli Learco e Melicerte una leonessa con i piccoli (o una cerva con due cerbiatti. L'uomo, convinto di ciò, prese ad inseguirli per ucciderli. Riuscendo a mettere le mani su Learco lo scagliò da una scogliera, uccidendolo contro gli scogli e poi gettò Melicerte in mare. Ino, cercando di salvare la vita al figlio, si gettò tra i flutti, ma annegarono entrambi.
Assistendo alla svolgersi della tragedia, e comprendendo che la sicurezza del figlio era nuovamente compromessa, Zeus chiese ad Ermes di mutare Dioniso in una capra per portarlo sotto la protezione di alcune ninfe boschive che abitavano sul monte Nisa, in Arabia: Bacche, Erato, Macride, Bromie e la stessa Nisa, le quali lo allevarono nutrendolo con miele mentre lo tenevano al sicuro in una grotta. Suo tutore fu Sileno, una divinità minore arborea dagli attributi animaleschi, rivisto come satiro figlio di Pan, il quale, una volta accompagnato il dio nei suoi anni, si abbandonò all'alcol e lo si vedeva spesso partecipare ai banchetti dionisiaci a cavallo di un'asina.
Fu proprio nella sua giovinezza che Dioniso inventò il vino, di cui divenne poi dio patrono, legato agli eccessi e allo stato alterato di coscienza. Questa fama attirò l'attenzione di Era, che lo riconobbe nonostante fosse molto effeminato per via del fatto che era stato cresciuto come una fanciulla. Per cercare quindi vendetta fece impazzire anche lui, così come aveva fatto con Atamante. Il dio inizio così un pellegrinaggio con alcune delle sue Menadi, sacerdotesse note per essere frenetiche e incontrollabili, e alcuni satiri tra cui anche lo stesso Sileno, che fu suo tutore nei primi anni di vita. Le Menadi, note anche come Baccanti, di cui ci parla Euripide nella sua tragedia omonima, che tratteremo dopo, erano armate di un bastone di pino su cui era avvolta dell'edera e sulla cui punta era sistemata una pigna. Questo bastone, famoso per essere strettamente collegato a Dioniso, è noto come tirso e, insieme alle foglie di vite, al toro, al serpente, al leone e alla capra è simbolo di questo dio.
Vagabondando, Dioniso con il suo seguito giunse in Egitto, dove favorì il re Proteo contro i Titani che avevano defraudato il dio Ammon del suo regno. Questo dio è chiaramente associato a Zeus, in quanto, non solo nella Biblioteca di Diodoro Siculo si fa riferimento a lui come se fosse il padre stesso di Dioniso, ma durante la titanomachia, quando Gea scagliò Tifone contro gli Olimpi, questi fuggirono in Egitto prendendo forma animale e Zeus si tramutò in un ariete, simbolo di Ammon. Pertanto, associando questo dio a Zeus, troviamo come abbia più senso parlare di Titani che abbiano rubato lo scettro del padre e di come lui decise di sconfiggerli. Infatti leggiamo nella Biblioteca: "La notizia del suo valore e della sua fama si sarebbe diffusa; e si dice che allora Rea, adirata con Ammone, concepì il desiderio di prendere prigioniero Dioniso; ma non riuscendo a portare a termine il suo tentativo, avrebbe lasciato Ammone, e recatasi dai suoi fratelli Titani sarebbe andata a vivere con il fratello Crono; e questo, convinto da Rea, avrebbe fatto con i Titani una spedizione contro Ammone; ci sarebbe stata una battaglia, e Crono avrebbe conseguito il successo, mentre Ammone, pressato dalla carenza di vettovaglie, si sarebbe rifugiato a Creta, dove avrebbe sposato Creta, la figlia di uno dei Cureti che allora vi regnavano, avrebbe regnato su quei luoghi e avrebbe dato all'isola, che prima si chiamava Idea, il nome di Creta, prendendolo dalla moglie".
Qui Dioniso troverebbe il ruolo di Osiride, in quanto signore arboreo legato agli inferi e all'agricoltura. Una visione che lo vedrebbe quindi più vicino alla produzione della birra che di quella del vino. Dopotutto tutto il concetto stesso del viaggio di Dioniso rispecchia chiaramente la diffusione della coltivazione della vite e della produzione del vino che attraversò l'Europa, l'Asia e il Nord Africa ma giunto dalle piante selvatiche che nascevano spontanee sulle rive del Mar Nero e la cui coltivazione si sparse nel Medioriente per arrivare infine a Creta, da cui venne importato in Grecia. Come ci fa notare Robert Graves: "le orge di vino in Asia Minore e in Palestina (la festa cananea dei Tabernacoli era, in origine, un baccanale) ebbero il medesimo carattere frenetico delle orge di birra Tracia e in Frigia. Il trionfo di Dioniso consistette nell _ affermarsi della superiorità del vino su ogni altra bevanda inebriante."
Per la lotta contro i Titani Dioniso si avvalse dell'aiuto delle Amazzoni, come ci narra sempre Diodoro Siculo: "inoltre avrebbe preso con sé, tra i vicini, i Libici e le Amazzoni, di cui abbiamo detto che hanno fama di essere state di singolare valore, e prima avrebbero inviato una spedizione oltre i confini, e avrebbero sottomesso con le armi buona parte della terra. In particolare, dicono che esse riuscirono a far entrare nell'alleanza Atena, grazie all'eguale zelo nel perseguire la propria scelta di vita, in quanto le Amazzoni ci tengono molto al coraggio e alla verginità. L'esercito sarebbe stato diviso: gli uomini li avrebbe comandati Dioniso, sulle donne avrebbe avuto il comando Atena; e piombati con l'esercito addosso ai Titani avrebbero attaccato battaglia". Nel conflitto, sanguinoso, ebbero la meglio sui Titani, riuscendo a sconfiggerli e a ferire Crono, inducendolo a fuggire e, a conferma di quanto sottolineato da Graves, Diodoro Siculo afferma: "Dioniso dunque si dice che insegnasse agli Egizi la coltivazione della vite, l'utilizzazione e la conservazione del vino, dei frutti e degli altri prodotti della terra. Dappertutto si sarebbe diffusa una buona fama su di lui: e nessuno quindi gli sarebbe andato incontro come contro un nemico, ma tutti gli si sarebbero sottomessi volontariamente, onorandolo con elogi e sacrifici come un dio. Allo stesso modo dicono che egli invase il mondo, civilizzando la terra con le coltivazioni, e beneficando i popoli con grandi onori e favori che sarebbero durati in eterno. Pertanto, tutti gli uomini, che per quanto riguarda gli onori da tributare agli altri dèi non hanno la stessa disposizione gli uni rispetto agli altri, quasi solo nei confronti di Dioniso mostrerebbero una concorde testimonianza in favore della sua immortalità: che nessuno, né tra i Greci né tra i barbari, sarebbe stato privo di tale dono e favore, ma anche coloro che avevano una terra selvaggia o del tutto avversa alla coltivazione della vite, avrebbero appreso l'uso della bevanda che si estrae dall'orzo, di profumo poco inferiore a quello del vino".
A quel punto Dioniso con il suo seguito fece rotta verso est e giunse in Mesopotamia dove incontrò lo sfavore del re siriano di Damasco, figlio di Ermes e Alimèa, e che dava il nome alla città che governava. Egli si oppose, o quanto meno ci provò, all'introduzione e alla diffusione della coltivazione della vite sulle rive dell'Eufrate. Ma la sua opposizione non ebbe molta presa perché le Menadi urlanti lo scorticarono vivo e Dioniso proseguì creando un ponte con dei rami d'edera e di vite che gli consentì di oltrepassare il Tigri e giungere in India, dove diffuse il suo culto e la viticoltura in tutta la regione.
Quando decise di tornare, le Amazzoni gli si opposero e lui le sterminò. Alcune cercarono salvezza nel tempio della dea Artemide mentre altre trovarono la morte sull'isola egea di Samo, poco lontano dalle coste dell'attuale Turchia. Giunto di nuovo in Europa, si fermò in Frigia dove Rea lo purificò per i misfatti da lui compiuti sotto l'influenza della follia causatagli da Era e decise di iniziarlo ai Misteri. Qui c'è un punto oscuro in quanto la tracia Cibele, il corrispettivo di Rea, nonostante liberò Dioniso dallo stato di alienazione cui era sottoposto, non può averlo iniziato ai misteri dionisiaci in quanto questi sono originali e non rivisti. A quali Misteri iniziò Dioniso? Si suppone a quelli legati alla stessa Cibele. Interessante punto di coesione tra Cibele e Dioniso è infatti il ruolo che ebbe nel mito di Attis. Questo dio nacque in modo particolare. Durante una tentata violenza da parte di Zeus su Cibele, il suo seme cadde sulla terra, fecondandola e dando vita ad una divinità bisessuale, violenta e malvagia di nome Agdistis. Sull'Olimpo riuscì a farsi odiare da chiunque e proprio Dioniso, stufo di tutte le traversie che faceva passare agli dei, lo fece ubriacare e poi lo lego per il fallo ad un albero, prendendolo a scuoterlo violentemente ed evirandolo. Il sangue macchiò il tronco dell'albero, secondo alcuni un mandorlo, secondo altri un melograno. Una ninfa sangaride, mangiando uno dei frutti di quell'albero rimase gravida e partorì Attis. Quest'ultimo divenne amico di Agdistis e insieme divennero compagni di caccia; Cibele invce lo prese come paredro, affinché guidasse la sua sacra biga trainata da leoni. Quando fu mandata in sposa al re Mida Agdistis, geloso, fece impazzire entrambi gli sposi e Attis si evirò sotto un pino, mentre la sposa si strappò i seni prima che entrambi si gettassero da una rupe. Nel mito pelasgico fu invece Cibele, che costringeva sempre il dio frigio a continui amplessi, a far impazzire Attis perché aveva giaciuto con una mortale sotto le fronde di un pino, cercando di nascondersi da lei.
Non solo quindi Dioniso ebbe una parte attiva nella nascita di Attis, ma ne rispecchia anche alcuni aspetti. Come abbiamo visto, secondo Graves era in principio il paredro della Dea e solo in seguito ne divenne il figlio/amante. L'associazione che molti, come sostiene lo stesso Clemente Alessandrino, fanno tra Attis e Dioniso è dovuta anche al principio cardine dell'evirazione e della follia: "Per questo motivo alcuni vorrebbero assimilare Dioniso ad Attis, e non impropriamente, perché anche questi venne privato del suo organo riproduttivo". Attis impazziva e poi moriva evirato facendo crescere un mandorlo dal suo sangue. Dioniso veniva smembrato dai titani, bollito e poi arrostito per essere poi divorato e in seguito, impazziva anche lui. Il punto in comune è la follia e il sacrificio di sé per essere cannibalizzato. Nel mito e nel culto erano le stesse Menadi, le sacerdotesse della dea, ad estrarre a sorte uno dei propri figli a turno per smembrarlo e divorarlo ritualmente ricreando così la morte e rinascita rituale di Dioniso/Zagreo. Lo stesso Karl Kerényi, nel suo Dioniso sostiene che "la trovata di una nascita dalla coscia aveva in Grecia la sua funzione: quella di occultare lo sperpero del proprio corpo compiuto dal dio. Il mito metteva crudelmente in rilievo l'eterno, necessario sacrificio di sé, tributato dalla forza vitale maschile al sesso femminile: un sacrifico che valeva per l'umanità tutta. Una concreta estrinsecazione missionaria della religione dionisiaca - nella sua forma più maschile, i misteri dei Cabiri - è rappresentata per noi dal fatto che gli assassini del dio trasportarono il suo membro virile in un cesto dalla Grecia settentrionale all'Italia. (...) La condizione di evirato era altrettanto caratteristica per Dioniso che per Attis". Inoltre, non dimentichiamo il simbolismo del pino, albero sotto il quale Attis copulò e si evirò e il tirso, il bastone dello stesso legno con la pigna sulla cima, l'arma che le baccanti utilizzavano nei loro rituali.
Ma andiamo avanti. Quando Dioniso invase la Tracia si verificò uno degli eventi del suo mito che si ritiene essere tra i più noti. Giunto sulla foce del fiume Strimone, Licurgo, re degli Edoni, sconfisse l'esercito invasore mettendo in fuga il dio del vino che trovò rifugio nella grotta di Teti, sul fondo del mare. A salvare il dio giunse ancora una volta la nonna, Rea, che fece impazzire Licurgo, il quale, armato di una scure, mutilò il figlio Driade, scambiandolo per una pianta di vite. Questo delitto terribile fece isterilire l'intera provincia Tracia e Dioniso, riemergendo dai flutti, dichiarò che questa carestia sarebbe rimasta tale fintanto che Licurgo non fosse stato giustiziato. Fu così che gli Edoni lo portarono a forza sul monte Pangeo dove gli legarono braccia e gambe a quattro cavalli selvaggi che, gettandosi in direzioni diverse, lo smembrarono.
Istiutito quindi il proprio culto anche in quella regione, Dioniso poté spostarsi in Beozia dove, giunto alla corte del re beota Penteo, istigò le donne ad unirsi ai suoi festini notturni tenuti sul monte Citerone. Questo mito è narrato nella meravigliosa tragedia di Euripide: Le Baccanti. In questo mito Penteo sparse la voce che Dioniso non fosse in realtà di origine divina. Per dimostrare questa verità il dio indusse nelle donne tebane la necessità di lasciare la casa e riunirsi nelle foreste a gozzovigliare, vestirsi di pelli e indossando corone e corna di quercia o edera, rendendole Baccanti, ossia seguaci del culto di Dioniso. Sia Cadmo, nonno di Penteo e padre di sua madre Agave, che Tiresia, il celebre indovino figlio di Evereo e della ninfa Cariclo e padre di Manto, fondatrice della città di Mantova, cercarono di convincere Penteo, senza successo, a tornare sulla sua decisione. Lo stesso Tiresia non a caso appare in questa tragedia. Come narratoci dalle Metamorfosi di Ovidio, l'indovino incontrò un serpente femmina e uno maschio che copulavano; uccise la femmina, diventando una donna per sette anni e sperimentando questa esperienza finché non si trovò in una situazione analoga e decise di uccidere il serpente maschio, tornando così uomo. In seguito, durante una disputa tra dei su chi provasse più piacere durante un amplesso, se l'uomo o la donna, Zeus lo coinvolse ritenendo che fosse l'unico in grado di dare una risposta e lui decretò che il piacere sessuale si divide in dieci parti, delle quali l'uomo ne conosce solo una, mentre la donna nove. Per aver svelato questo segreto fu privato della vista da un'adirata Era ed ottenne invece da Zeus la capacità di vedere il futuro. Tiresia rappresenta quindi un conoscitore del potere femminile e maschile, paritario ad un Dioniso che visse come donna e come uomo.
Ma torniamo alla tragedia. Mentre sul monte le Menadi facevano sgorgare vino dalle rocce, smembravano vive mucche a mani nude divorandone le carni crude e devastavano villaggi, Penteo decise di arrestare Dioniso, che si lasciò catturare, e dopo averlo imprigionato si lasciò convincere da questo a travestirsi da donna e seguirlo nelle foreste per spiare le baccanti restando eclissati tra le fronde di un albero su cui si erano arrampicati per avere una visione migliore degli eventi. Ma quando le Menadi furono in vista, Dioniso gliele aizzò contro e, con Agave in prima linea, le Baccanti prima sradicarono la pianta su cui Penteo era nascosto e poi lo fecero a pezzi a mani nude e la madre, per prima, gli strappò un braccio e infilzò la testa sul suo tirso, portandola come trofeo fino a Tebe, convinta, nel suo delirio, che si trattasse di un cervo. Una sorte analoga toccò anche ad Alcitoe, Leucippe e Arsippe, le tre figlie di Minia di Orcomeno, che rifiutarono di partecipare ai festini, nonostante fossero state invitate da Dioniso in persona; questi le fece impazzire e le indusse ad estrarre a sorte quale dei loro figli dovesse essere offerto in sacrificio. Toccò a Leucippe, che prese il figlio Ippaso e lo smembrò vivo insieme alle due sorelle per poi divorarlo. Dopo l'orrendo pasto si diedero alla macchia sulle montagne dove, in seguito, vennero tramutate in pipistrelli dallo stesso dio.
Una volta che ebbe imposto il proprio culto in tutta la Beozia, Dioniso si aggirò per le isola dell'Egeo e sull'isola di Icaria si imbarcò su una nave di pirati che, non conoscendo la sua natura divina, decisero di venderlo come schiavo. Ma il dio due volte nato trasformò i remi in serpenti, bloccò il sartiame e l'albero maestro facendo crescere vite ed edera e poi si tramutò in un leone, terrorizzando così i marinai che si gettarono in mare. Giunto a quel punto a Nasso, il mito si congiunge con quello di Teseo e del minotauro. Su quell'isola, senza una spiegazione valida, l'eroe ateniese aveva abbandonato Arianna, figlia di Minosse e di Pasifae. Non appena il dio la vide decise di sposarla immediatamente, dopodiché si recò ad Argo per raddrizzare un torto che Perseo gli aveva fatto: egli aveva infatti ucciso molti dei suoi seguaci, pertanto Dioniso fece di nuovo impazzire le donne argive che presero a smembrare e divorare i propri figli. Perseo, saggiamente, per placare l'ira del dio, eresse un tempio in suo onore ed ammise la sua colpa.
Una volta, quindi, che ebbe diffuso la viticoltura ovunque, Dioniso assurse al suo posto tra gli Olimpi. Come abbiamo visto prima Estia, finalmente libera dalle discussioni e i sotterfugi che interessavano gli dei, cedette il suo posto con piacere. O quanto meno questo è il messaggio mitologico delle gesta che li interessarono. Una volta che ebbe il suo ruolo come dodicesimo, Dioniso discese negli inferi e si ingraziò la sorella Persefone con un ramo di mirto, riuscendo così ad intercedere nella liberazione della madre Semele dalle ombre di quel regno, la quale lo seguì con nome diverso per tutela dalla gelosia degli altri defunti. Con nome Tione, Dioniso la presentò agli Olimpi e trovò il suo posto tra gli immortali, di fronte ad una impettita Era che, a discapito di tutti i suoi tentativi di vendetta, dovette rimanere in un frustrato silenzio.
Nel mito di Dioniso c'è un altro punto da vedere perché ha un'importanza determinante nella sua comprensione, nella scoperta del suo nome e nei suoi epiteti. Nella versione orfica del mito, Dioniso viene chiamato Zagreo. Questo mito, di origine cretese, potrebbe non avere reali collegamenti con quello del dio del vino, se non fosse che è incredibilmente simile. Secondo Graves questa confusione è dovuta al fatto che il primo vino giunse in Grecia proprio in giare provenienti da Creta e che per questo le due divinità, per similarità, vennero scambiate. In ogni caso la prima comparsa di questo nome ci giunge da un poema epico risalente al quarto secolo, parte del Ciclo Tebano: il perduto Alcmeonide. Non ci sono giunti che pochi frammenti di questo testo e l'autore è ignoto. In questo poema leggiamo Potnia veneranda e Zagreo, tu che stai sopra tutti gli dei. Nel mito orfico rivediamo l'aspetto di Zagreo figlio di Persefone e Zeus, avuto per stupro sotto forma di serpente, nonostante la madre, Demetra, per difendere la figlia dalle malie del padre, l'avesse nascosta a filare in una grotta. Questa teoria cretese è ripresa da Diodoro Siculo che riteneva che Dioniso fosse considerato figlio Zeus e Persefone e che pertanto fosse anche noto come Cretogeno e Ctonio, ossia appartenente al mondo infero.
Come anche nell'altra versione il Padre degli Dei aveva designato Zagreo come successore, affidandolo alle cure dei Cureti nella grotta Idea. I soldati figli di Rea, che già un tempo avevano protetto gli stessi vagiti di Zeus picchiando le spade contro gli scudi per causare rumore mentre, da bambino, era appeso ai rami di un albero per sfuggire alla vista del padre Crono, protessero il piccolo Zagreo nella sua culla. Ma mentre questi dormivano, a notte fonda, i Titani, istigati da Era, pittati di bianco per non farsi riconoscere, si introdussero nella grotta e adescarono il piccolo invitandolo ad uscire e a seguirli mostrandogli alcuni giochi: un cono, un rombo, un astragalo, un batuffolo di lana, delle mele d'oro e uno specchio, come ci viene narrato dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli. Perché questi doni? Secondo Graves "i balocchi offerti dai Titani erano oggetti usati dai filosofi orfici, che continuarono la tradizione del sacrificio, ma sostituirono il fanciullo con un vitello. Il rombo era un sasso forato o un vaso, che roteando legato all'estremità di una corda produceva un suono simile a quello del vento che s'alza; il batuffolo di lana serviva probabilmente a imbrattare con gesso i volti dei Cureti (costoro erano giovani che si erano recisi i capelli offrendoli alla dea Car). Venivano chiamati anche Coribanti o danzatori crestati. Gli altri doni servivano a spiegare la natura della cerimonia grazie alla quale i partecipanti si identificavano con il dio: il cono era un antico emblema della dea, cui i Titani sacrificarono Zagreo; lo specchio rappresentava l _ alter ego l _ ombra dell'iniziato; le mele d'oro, il suo passaporto per i Campi Elisi dopo la finta morte; l'astragalo, i suoi poteri divinatori". Questi balocchi, legati al mito, richiamano, come abbiamo visto, un aspetto fortemente iniziatico, in particolare lo specchio: un invito a scoprire la propria realtà di dio incompleto. Nel momento in cui ti guardi nello specchio vedi te stesso, quello che sei. E Zagreo doveva ancora morire per rinascere.
I Titani saltarono così addosso al piccolo che immediatamente cominciò a trasformarsi in varie cose per confonderli e riuscire a sfuggire all'agguato, tutte cariche di simbolismo. Prima divenne Zeus avvolto in pelle di capra, Crono celeste che indusse la pioggia, un leone, una capra, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre ed un toro. A quel punto i Titani, afferratolo per le corna, lo smembrarono e lo divorarono vivo, mangiandone le carni crude. Atena giunse in suo soccorso e salvò il cuore di Zagreo, portandolo a Zeus che, secondo una parte del mito, lo ingoiò e poi si accoppiò con Semele, o lo fece mangiare direttamente alla mortale, che rimase gravida di Dioniso. I resti dell'orrendo banchetto furono recuperati da Apollo, che li seppellì sul monte Parnaso.
Questo mito richiama un simbolismo cretese legato alle stagioni e al sacrificio annuale che veniva compiuto. Minosse, re di Creta, era ritenuto "il Minotauro", in quanto il toro era sacro e proprio a Creta avevano luogo le famose danze tra i tori. Un re-toro, che regnava per un singolo giorno, prendeva il posto del re e, dopo aver svolto una peculiare danza legata alle stagioni cretesi, veniva smembrato e divorato. Queste stagioni erano cinque ed erano rappresentate da altrettanti animali, per l'appunto leone, capra, cavallo serpente e toro. Ed infatti, come ci fa notare Graves, "le epifanie di Dioniso furono il Leone, il Toro ed il Serpente, poiché tali erano gli emblemi dell'anno diviso in tre parti. Egli era nato in inverno come serpente (ecco il perché della corona di serpi), divenne leone in primavera e fu ucciso e divorato a mezza estate sotto l'aspetto di toro, capro o cervo. Si trasformò nei suddetti animali quando i Titani lo attaccarono. A Orcomeno pare che una pantera avesse preso il posto del serpente. I misteri di Dioniso somigliavano a quelli di Osiride: ecco il perché della sua visita in Egitto". Ed inoltre: "la presenza non canonica della tigre come ultima metamorfosi di Zagreo è spiegabile in quanto Zagreo si identifica con Dioniso: la leggenda della morte e della resurrezione di Dioniso infatti è identica alla leggenda della morte e della resurrezione di Zagreo, benché la sua carne sia divorata cotta anziché cruda, e si trovi citato il nome di Rea anziché quello di Artemide. Anche Dioniso era un serpente cornuto (aveva corna e riccioli di serpente alla nascita) e i suoi seguaci orfici mangiavano la carne del dio sotto forma di tori. Zagreo divenne «Zeus avvolto in pelle di capra» poiché Zeus o il suo fanciullo di sostituzione, era asceso al cielo avvolto nella pelle della capra Amaltea. «Crono che fa scendere la pioggia» è un'allusione all'uso dei rombi nelle cerimonie propiziatorie di pioggia. In queste circostanze i Titani erano i Tifami «uomini bianchi come la calce», cioè i Cureti stessi travestiti in modo che lo spettro della vittima non potesse riconoscerli. Quando i sacrifici umani caddero in disuso, Zeus fu rappresentato nell'atto di scagliare la folgore contro i cannibali; e i Titanes, «signori della settimana di sette giorni», furono confusi con i Titani, «gli uomini bianchi come la calce», a causa della loro ostilità a Zeus. Nessun orfico che avesse mangiato la carne del suo dio toccava più carne di alcun genere."
Quindi Dioniso non conserva l'aspetto di un dio morto e rinato, bensì di "due volte nato", ossia Iacchos, termine con cui era noto perché in qualche modo una parte di sé era sopravvissuta alla morte per incenerimento quando ancora era un feto, nascendo quindi poi una seconda volta dalla coscia di Zeus. Se ci aggiungiamo quindi l'influsso orfico, che prese in considerazione il principio della reincarnazione che arrivava dal culto indiano vista da un punto di vista divino, ossia Zagreo (il gran cacciatore) che viene divorato dai Titani istigati da Era e salvato da Atena, ecco che abbiamo la terza nascita, per madre Semele (nel caso del cuore mangiato) o Persefone.
Come ci arriva dal mito orfico Dioniso come dio del vino è solo una trasposizione tarda. In realtà Dioniso nasce come dio dell'idromele. È Ovidio nei Fasti ad affermare senza ombra di dubbio che sia stato Dioniso a "scoprire" il miele. E lo stesso Euripide sostiene che le menadi stesse danzassero sul terreno inondato di latte, vino e nettare di api e che dai loro tirsi colasse il miele. Nonché troviamo come Apollonio Rodio, nelle Argonautiche affermi come, appena nato, prima di venire nutrito con il latte, a Dioniso venisse dato del miele sulle labbra.
Esiste una leggenda che venne trascritta nel Origine degli Uccelli in un racconto intitolato "Ladri". In questo passo si narra di quattro temerari furfanti che si introdussero nella grotta dove la stessa Rea aveva partorito Zeus. Questa grotta, secondo il mito, conteneva un alverare immenso con api gigantesche a protezione di quel luogo sacro. Non si poteva entrare non solo perché era tassativamente vietato vedere ciò che vi conteneva, ma anche perché ad una precisa data dell'anno si diceva che una luce incredibile traboccasse, letteralmente, fuoriuscendo e facendo colar fuori schiuma e un liquido dorato, lo stesso che, secondo Omero, scorreva nelle vene degli dei. Indossando spesse armature di bronzo e infrangendo i dogmi di quel luogo sacro, i ladri si intromisero nel santuario, ruppero il favo e rubarono il miele, riuscendo anche a scorgere, a terra, le fasce in cui il piccolo Zeus era stato avvolto non appena era stato partorito. Per punirli di questo affronto, il dio del cielo fece cadere a pezzi le loro armature, esponendo così i loro corpi nudi all'assalto delle mostruose api inferocite. Se non fosse stato per l'intervento delle tre dee del destino e per Temi, la dea delle leggi naturali, i quattro sarebbero finiti uccisi. Quel luogo non doveva venir macchiato da un crimine. Fu così che Zeus li tramutò in uccelli.
Secondo Ipparco, astronomo greco, la stella Sirio, ossia Alfa Canis Majoris, la stella più brillante della costellazione del cane, nel primo secolo sorgeva, all'altezza di Rodi, all'incirca un mese dopo il solstizio, ossia intorno al nostro attuale 29 luglio. Era in quel periodo che, in Grecia, veniva prodotto l'idromele, che pare essere una bevanda originaria cretese, anche precedente al vino. Da notare infatti che i lemmi greci originari per "essere ubriaco" e "ubriacare" sono rispettivamente methyein e methyskein. Invece, per riferirsi al vino si usa la parola oinoun, dal termine oinos, che significa appunto "vino". Per loro c'era quindi una netta distinzione tra le possibili ubriacature e nessuna località, a parte Creta stessa, poteva vantarsi di saper preparare un hydròmeli così buono.
Il miele, come abbiamo visto, veniva prodotto in coincidenza con il sorgere di Sirio. Secondo il calendario dell'epoca il solstizio coincideva con il primo giorno dell'anno, in quanto era l'inzio dell'improvviso calare della luce. Questo avveniva perché in epoca pre-minoica tutta la Grecia aveva assidui contatti con l'Egitto, tanti da adottare il loro stesso calendario. Sirio era, secondo il mito, il cane di Orione, il cacciatore e unico amante (platonico) di Artemide, con la quale era solito cacciare, finché il contrariato Apollo, per gelosia si dice, la sfidò a colpire con una freccia un lontanissimo oggetto che appariva tra le onde. Artemide accettò la sfida e colpì nel segno, scoprendo in seguito che si trattava della testa del suo amato che spuntava dalle onde durante il suo bagno mattutino. La costellazione in cui Orione fu trasformato era la più onorata dagli antichi egizi e la sua cintura di tre stelle è stata richiamata nella posizione delle tre piramidi di Giza. Secondo gli astronomi greci, Orione inseguiva un toro armato con la clava e vestito di pelle di leone, in quanto, secondo il mito, lui stesso nacque da una pelle di toro su cui Zeus, Poseidone ed Ermes avevano orinato. E un toro è ancora una volta il simbolo di Dioniso sbranato.
Secondo Virgilio, nelle Gerogiche, Aristeo sacrificò quattro tori e quattro vacche, constatando, dopo aver lasciato all'aperto le carogne per nove giorni, come le api sciamassero dalle viscere. Questo portò i greci a credere che le api potessero nascere dalle viscere del tori. Scolastico, nella Geoponica a lui attribuita, spiega con precisione come si potessero ottenere delle api proprio grazie all'uso di un bovino. Sosteneva infatti che fosse necessario costruire una casa cubica con i lati esposti nelle quattro direzioni e con tre finestre su ogni lato più un ingresso. Al suo interno bisognava uccidere un manzo di trenta mesi con un singolo colpo di clava facendo sì che non fosse versata nemmeno una goccia di sangue e tappando ogni buco e orifizio per non consentire a nessuno dei suoi fluidi di fuoriuscire. L'animale veniva in questo modo trasformato in un otre di cuoio e lasciato lì per un preciso periodo di quattro settimane più altri dieci giorni. Al termine di questo lasso di tempo le api avrebbero dovuto riempire completamente l'edificio lasciando solamente pelle, ossa e corna del manzo. Secondo Frazer questo mito e quello descritto anche da Virgilio è da ricondurre alle Eristalis tenax, un insetto dell'ordine dei Dipteri che somiglia molto all'ape domestica ma che spesso deposita le uova nelle feci, quindi a volte anche all'interno dell'ano degli animali.
Nella ricostruzione del mito di Dioniso c'è da prendere in considerazione un aspetto trasformativo di altre divinità, che erano sia incarnate nello stesso dio, sia collegate a lui. In primo luogo abbiamo il particolare punto di vista secondo il quale, secondo il mito orfico, Dionsio non fosse altro che Zeus nell'ottica del bambino divino cretese, che prese il posto di Crono e di cui il vino e la vite furono solo gli ultimi dei suoi doni. Sotto questo punto di vista vediamo come Dioniso e Zeus abbiano molte cose in comune: Zeus nacque in una grotta dalla madre Rea, nascosto al padre e fu nutrito dalle tre ninfe Io, Europa ed Amaltea. La ninfa Melissa, sotto forma di ape, gli portava il nettare sacro con cui il piccolo Zeus si nutriva. E la grotta è la stessa di cui si parla nella leggenda chiamata Origine degli Uccelli citata prima. Sulla nascita molte sono le discordanze. Come si cita nel primo Inno Omerico dedicato a Dioniso, si dice:
che a Dracano Semele ti concepì e ti partorì a Zeus
signore del fulmine, altri a Icaro battuta dai venti,
altri a Nasso, altri lungo il fiume Afeo dai gorghi profondi;
altri affermano che tu sei nato a Tebe, signore.
Mentono tutti: il padre degli uomini e degli dèi ti generò
lontano dalla gente, nascondendoti a Era dalle bianche braccia.
C'è un altissimo monte chiamato Nisa, fiorente di boschi,
al di là della Fenicia, vicino alle correnti dell'Egitto
.
Mentre nel ventiseiesimo inno si cita:
Per volontà del padre, crebbe
in un antro fragrante, per far parte degli immortali.

La stessa Arianna, salvata da Dioniso dopo l'ignobile abbandono da parte dell'eroe Teseo, aveva un ruolo determinante nel suo stesso mito, che lega ancora questo dio a sua madre Semele e ai due simboli dionisiaci tipici: il toro, il serpente, la tigre in cui Zagreo si trasformò quando venne smembrato dai titani aizzati da Era e la capra. Arianna, come sappiamo, era figlia di Minosse, re di Creta e reputato "il Minotauro". Anticamente però era anche una divinità lunare, esattamente come Semele, una trasformazione dell'antica Selene. In quanto Signora del Labirinto, Arianna era nota anche come Potnia Theron, la Potnia dei Serpenti, ossia la divinità che ancora adesso viene rappresentata con i seni esposti e le mani alzate mentre stringe due serpi all'altezza della testa. Pasifae, per vendetta di Poseidone, accoppiatasi con un toro bianco, mise al mondo il Minotauro, un orrendo mostro semidivino che, per ordine del re Minosse, venne rinchiuso all'interno del famoso labirinto di Cnosso, ideato dall'architetto ateniese Dedalo. Arianna era l'unica in possesso della capacità di entrare ed uscire dal labirinto illesa e fu proprio grazie a questa sua attitudine che suggerì all'eroe ateniese Teseo come poter superare la prova che si accingeva ad affrontare e che non consisteva solo nell'uccisione del minotauro (per il quale aveva l'aiuto di Atena), ma anche nell'uscire vivo dalle segrete dove era stato imprigionato.
In quanto, quindi, Arianna divinità lunare, Dioniso la prese in sposa dopo che fu abbandonata sull'isola di Nasso. Si tratta di un parallelismo chiaro che richiama l'evento che interessò sua madre, quando Dioniso scese negli inferi per riportarla in vita, dopo che era morta a causa di Era, e la condusse sull'Olimpo, dove Efesto le regalò una casa personale. Inoltre, sia Arianna che Semele morirono di parto (nonostante Dioniso ebbe da lei alcuni figli: Enopione, Toante, Statilo, Latromide, Evante e Tauropolo), diventando così due aspetti delle stessa divinità e trovando un completamento con il parallelismo che si crea tra Dioniso e Ade e come ci viene suggerito dallo stesso Eraclito nel frammento 15 Sulla Natura: "Se la processione che fanno e il canto del fallo che intonano non fosse in onore di Dioniso, ciò che essi compiono sarebbe indecente; la medesima cosa sono Ade e Dioniso, per cui impazzano e si sfrenano". Per quanto è da considerare comunque un frammento, discutibile forse se ci fosse giunta l'opera completa. Ma un altro forte aspetto di coesione lo si trova nel fatto che, in una parte del mito, Arianna tradì Dioniso con Teseo e che il dio invocò la vendetta di Artemide che la uccise. Esattamente ciò che accadde con Apollo, che invocò l'intervento della gemella per giustiziare Coronide, che si era macchiata di tradimento e dal cui falò Ermes salvò il figlio Asclepio. Secondo Kerényi nel suo Dioniso "Omero condivideva il larga misura il punto di vista degli Ateniesi riguardo alla necessità di tenere nettamente separata questa sfera. Secondo i versi che l'Odissea dedica ad Arianna nella rassegna delle eroine defunte, essa fu una sposa infedele del dio. Tali versi possono essere giustamente interpretati così: Il dio deve aver goduto di un diritto su Arianna; infatti il racconto corrisponde esattamente alla storia della morte di Coronide, che venne anch'essa saettata da Artemide, su invito di Apollo, perché aveva tradito il dio con un amante mortale (...). Coronide muore ancora prima di avere partorito Asclepio, ma di Arianna, la leggenda del suo culto cipriota racconta che sia morta di parto. Il parallelo può essere spinto ancora più innanzi. Coronide, benché stando al suo nome fosse una vergine-cornacchia di colore scuro, aveva pure un altro aspetto, si chiamava Egle, come quella figlia di Panopeo - colui che vede tutto, un secondo Orione, la quale fu amata da teseo così appassionatamente che questi per lei abbandonò Arianna.
Non soltanto sulla base di questo parallelo possiamo presumere che Arianna - considerata sotto un particolare aspetto del suo essere - fosse anch'essa una dea tenebrosa. "Oltremodo pura" fra tutte le dee era per i greci soprattutto Persefone, la regina del mondo sotterraneo, mentre l'epiteto hagné era proprio anche di altre dee."
Ma possiamo andare oltre. In alcune opere sepolcrali, Dioniso viene rappresentato a fianco di alcune dee come Persefone o la madre Demetra. Considerando che Eraclito, nei pochi frammenti che ci sono giunti, critica ferocemente le iniziazioni e lo stesso Esiodo, possiamo supporre, certo, che si tratti del solo pensiero di un singolo filosofo il cui filone di pensiero era creare un sincretismo tra gli opposti per ottenere la vera natura di dio. Ciò non toglie che i punti in comune sono molti e a mio modesto parere, con questi nuovi sviluppi, in un principio teologico dove Zeus era il sommo dio che aveva diverse manifestazioni, nel tempo suddivise in dei differenti, ecco che Apollo, Dioniso e Ade prendono l'aspetto di una triade composta da Cielo, Terra, Inferi, ripercorribile nelle divisioni psicologiche freudiane di SuperIo, Io ed Es. Dioniso, nel mezzo, era colui che condivideva il potere dei serpenti e della trasformazione del dio solare, sposato con una divinità lunare, mentre Apollo ne era fratello, oltre che lo stesso tempio delfico per sei mesi all'anno. Con il dio infero condivideva invece il suo momento di discesa e fertilità. Non per nulla nelle monete cretesi si rappresentava il labirinto da una faccia e la testa di Arianna coronata di spighe dall'altra. è da notare infatti che Ade veniva sempre rappresentato con la consorte mentre teneva tra le mani delle spighe di grano e veniva chiamato "il Munifico" proprio per il suo legame con i poteri ctonii della fertilità. Non a caso, quindi, nel mito greco e omerico Dioniso è figlio di Zeus e Persefone, la signora degli inferi, la stessa divinità con cui ebbe nozze infere quando Trittolemo fallì nella ricerca della figlia di Demetra come da sua richiesta durante il periodo in cui si fermò alla corte del padre Peleo. E, come abbiamo visto nel mito legato ad Ade, quando Demetra si trovava alla corte del re di Eleusi cordialmente rifiutò il boccale di vino che le fu offerto chiedendo invece birra aromatizzata dalla menta. Perché lo fece? Me lo sono domandato spesso e ho trovato molte spiegazioni, come quella di Graves ne I Miti Greci, che sosteneva celasse un richiamo al lato iniziatico. Ma io sono propenso a credere che in questo gesto si celasse un richiamo ad parallelismo simbolico molto più antico, quando si riconoscevano Ade e Dioniso come la stessa divinità. Sono propenso a credere che Demetra fosse a conoscenza di chi avesse rapito la figlia e che non solo si fosse allontanata di sua iniziativa proprio per consentire il ratto, ma che rifiutò il vino perché riconobbe l'emanazione del rapitore di Kore, il vino, e che chiese quindi che le venisse offerta invece una bevanda ottenuta con la fermentazione del simbolo della sua emanazione: la birra, ottenuta con l'orzo.
Come abbiamo visto, un aspetto determinante di questa divinità era il culto stesso che vi stava attorno: Dioniso era il dio maschile più adorato dalle donne. Le sue sacerdotesse, le menadi, erano descritte come capaci di rimanere talmente invasate dal lato frenetico del dio da rendersi capaci di smembrare a mani nude una capra, ennesimo simbolo sacrificale di Dioniso. E questo animale, secondo Virgilio, era ritenuto nemico di Dioniso perché si nutriva dei germogli della pianta di vite, ma il sacrificio del capretto in realtà era il richiamo della morte per smembramento del fanciullo divino per mano dei Titani.
Ma perché le Baccanti abbandonavano le case per andare nei boschi, in solitudine, a celebrare riti orgiastici e sacrificali in onore a Dioniso? Ricordiamo che l'Olimpo, il luogo dove gli dei dimoravano, era un luogo aureo e distaccato, dal punto di vista intellettuale e ordinato della cultura ellenica, achea e dorica. In quel luogo la libertà degli dei era espressa nell'equilibrio delle leggi stabilite e decretate dai loro abitanti e fatte rispettare da Zeus supremo. Nella spartizione che i tre fratelli si fecero a sorte dopo la caduta di Crono, estraendo tessere dall'elmo di Ade, la terra rimase patrocinio di chiunque, una sorta di terra franca. Se il concetto ellenico che richiama la visione dello stoicismo, quindi, vedeva di buon occhio l'affermarsi di sé attraverso il sacrificio senza trasgredire le supreme leggi universali, l'insegnamento di Dioniso stravolge questo punto di vista così rigido. Lui invita invece il mondo ad esprimersi attraverso l'eccesso e la manifestazione delle proprie passioni e il liberarsi dei propri istinti, per potersene così affrancare. Così sopra come sotto, il punto di vista greco, dopo le invasioni elleniche, achee e doriche, quindi in seguito all'elevazione di Dioniso a dio olimpico in sostituzione di Estia, rispecchia chiaramente il concetto patriarcale e militare, ordinato e disciplinato. Le donne, bloccate a casa e private della loro potenzialità creativa e generativa, trovano nel culto di Dioniso la loro possibilità di redenzione e liberazione. È per questo motivo che le baccanti si ritrovano a seguire il dio, come invasate, assieme ai satiri, nella notte. Liberate da ogni costrizione mentale oltre che sociale, indossavano pelli di animali, portavano con loro il tirso e danzavano al suono di cembali, flauti, crotali e timpani e sacrificavano capretti e cerbiatti, identificati con il dio mediante smembramento e omofagia.
Dioniso è quindi il rigenerativo, a rappresentare chiaramente la zōé, il principio della vita infinita che si esprime e si espande ed esplode e che è ben diversa da bнos. Suoi sono i simboli arborei della vite e dell'edera, che si dissimulano e si assomigliano, sia in quanto rampicanti, come ci esprime Walter Friedrich Otto nel suo Dioniso, Mito e Culto: "La vite e l'ederea sono sorelle, che pur essendosi sviluppate in diezioni opposte non possono celare la loro parentela. Entrambe portano a termine una meravigliosa metamorfosi. Nella stagione fredda la vita giace come morta e nella sua rigidità somiglia a un inutile tronco, fino a quando sotto il rinnovato calore del sole sprigiona un rigoglioso verdeggiare e un incomparabile succo infuocato. Non meno sorprendente è quanto accade all'edera: la sua crescita mostra un dualismo che può benissimo ricordare la doppia natura di Dioniso. Dapprima essa produce i cosiddetti germogli ombrosi, i tralci rampicanti con le ben note foglie lobate. Più tardi però appaiono i germogli luminosi che crescono dritti, le cui foglie hanno una forma affatto diversa, e a questo punto la pianta produce anche fiori e frutti. Si potrebbe definirla, al pari di Dioniso, la "nata due volte". Il suo fiorire e il suo ricoprirsi di frutti stanno peraltro in un singolare rapporto di corrispondenza e di opposizione rispetto alla vite. L'edera fiorisce infatti in autunno, quando per la vite è tempo di vendemmia, e produce frutti in primavera. Tra i suoi fiori e i suoi frutti sta il tempo dell'epifania dionisiaca nei mesi invernali. Così, in certo qual modo l'edera rende omaggio al dio delle inebrianti feste invernali, dopo che i suoi germogli si sono spinti in alto nell'aria, come se fosse trasformata da una nuova primavera. Ma anche senza tale trasformazione essa è un ornamento dell'inverno. Mentre la vite dionisiaca necessita il più possibile della luce e del calore solare, l'edera dionisiaca ha un bisogno sorprendentemente limitato di luce e di calore, e fa germogliare la sua freschissima verzura anche all'ombra e al freddo. Nel bel mezzo dell'inverno, quando si celebrano strepitanti feste, essa si allarga baldanzosa con le sue foglie frastagliate sul terreno dei boschi, o si arrampica sui tronchi quasi volesse, al pari delle Menadi, salutare il dio e circondarlo nella danza. La si è paragonata al serpente, e nella natura fredda attribuita a entrambi si è trovato il motivo per cui essi appartengono a Dioniso. E il movimento dell'edera, con cui essa striscia sul terreno o si avviticchia agli alberi, può veramente ricordare i serpenti che le selvagge accompagnatrici di Dioniso intrecciano nei capelli o tengono nelle mani".
Dioniso è quindi la suprema manifestazione della zōé, la rigenerazione continua di ciò che vive e che muore, che torna, nel ciclo senza fine della vita stessa che lui rappresenta e che la vite e l'edera, con i loro viticci e tralci, rappresentano nella doppia spirale. Rappresenta il dio fanciullo, paredro sacrificale che viene smembrato e divorato per preservare la continuazione del ciclo agreste e vitale del mondo. Questo stesso concetto, come è costume nel culto greco, è soggetto a rituali iniziatici e misterici, i misteri dionisiaci, strettamente legati a quelli orfici, che hanno un sicretismo con la visione stessa del mito di Zagreo ucciso dai titani e sopravvissuto nel cuore, cucito nella coscia di Zeus e pertanto rinato. Orfeo, eroe tracio, dopo la sua catabasi amorosa che lo portò, sconfitto, a rinunciare alla sessualità e all'amore eterosessuale, su indicazione del dio stesso, dopo aver rifiutato le offerte sessuali delle menadi, venne smembrato esattamente come Dioniso e come le sacerdotesse facevano durante il sacrificio cruento degli animali. La testa, separata dal busto, si dice che continuò a pronunciare profezie e canti: il fulcro del culto misterico orfico era appunto legato al concetto della sopravvivenza dell'anima al di là della morte. Un punto decisamente in comune con il mito dionisiaco.
In contrasto quindi con l'aspetto apollineo della disciplina e della giusta misura che il divino conduttore del carro solare predicava, Dioniso recitava la favella dello spaccare lo schema. Fu appunto l'unico, secondo il mito, che riuscì a convincere Efesto a tornare sull'Olimpo a liberare una Era prigioniera del magico trono che il dio fabbro le aveva regalato. Lo fece ubriacare e poi lo riportò tra gli dei a cavallo di un asino. Uno stretto legame Dioniso lo ebbe anche con Priapo e con Pan. Il primo si dice che fosse nato in seguito ad un rapporto che ebbe con Afrodite, mentre il secondo, nel mito che lo vede come figlio di Hermes e della ninfa Diope, e abbandonato da questa per la sua bruttezza, venne portato dal padre sull'Olimpo per compiacere e divertire gli dei, dove fece particolare amicizia con il dio vagabondo del vino, con cui viene spesso rappresentato.
Nella sua rappresentazione romana divenne Bacco, il dio del vino e dell'ebbrezza. Il suo culto fu uno degli ultimi ad essere soppressi dalla persecuzione romana dell'imperatore Teodosio. Nonostante fosse stata messa fuori legge l'adorazione delle effigi pagane, nei giardini e nei cortili interni delle case nobili le statue di Bacco, con tanto di pene priapico, erano ancora diffuse ed è possibile trovarle ancora adesso, nelle zone più vecchie della capitale.
Un sicretismo con divinità di altri pantheon è difficile, in quanto nel suo genere Dioniso è pressoché unico, ma ci è possibile trovare dei parallelismi con Osiride. Come lui anche il dio egizio era un dio arboreo, figlio di Nut e Geb, il cielo e la terra, e fratello/sposo di Iside, divinità lunisolare che gli diede come figlio Horus, che prese poi il suo posto. Come Dioniso, anche Osiride è considerabile un "due volte nato", in quanto venne smembrato per vendetta dal fratello Seth e sparso per l'Alto e il Basso Egitto, ricomposto dalla sorella Iside che lo cercò in lungo e in largo, e quindi legato all'aspetto infero, divenendo infine signore dei defunti.
Il mito che interessa questo dio è stato trattato da Plutarco, nel suo famoso Iside e Osiride. Come dicevamo Osiride era figlio di divinità antiche e rappresentanti il cielo e la terra: Nut e Geb. Al contrario della mitologia greca, in cui Urano e Gea rappresentavano questa dualità, tra gli egizi il cielo era visto come femminile e la terra come maschile. Nut infatti era rappresentata come una donna posizionata ad arco e il cui corpo era disseminato di stelle. Geb invece era rappresentato come un uomo disteso al di sotto. Queste due divinità ebbero quattro figli: Seth e Nefti, di cui abbiamo già parlato, e Iside e Osiride. Come capitava anche nella mitologia greca, le due coppie di fratelli si sposarono tra loro.
Osiride era ritenuto un dio incredibilmente benevolo. Nel lunghissimo tempo che caratterizzò la crescita e la metamorfosi del mito egizio, Osiride divenne da dio solare a dio infero, mantenendo sempre un ruolo determinante nell'aspetto cultuale della religione dei popoli della valle del Nilo. Osiride fa parte della Grande Enneade eliopolitana, ossia il gruppo di nove divinità della cosmogonia egizia più onorate, composta da quattro coppie per tre generazioni più il sommo Atum. La prima generazione è composta da Shu e Tefnut, rispettivamente aria e umidità, che generarono Geb e Nut, terra e cielo, che generarono appunto i quattro fratelli Iside, Osiride, Nefti e Seth. Esiste poi anche una Piccola Enneade, composta da quattro divinità: Horus, Thot, Maat e Anubi.
Il culto di Osiride, antichissimo, nacque nella città di Busiris, in sostituzione a quella di un dio pastorale di cui ereditò le peculiarità. Nonostante il suo mito sia ora ben noto grazie all'opera ellenica di Plutarco, che riuscì ad unire, sembra, parti molto antiche con alcune più recenti, il punto di riferimento più antico su cui ci si basa sono i Testi delle Piramidi, dove si racconta che Seth, con l'aiuto di Thot, lo uccise per usurpare il potere che il padre gli aveva lasciato in eredità, e di come le due sorelle Iside e Nefti recuperarono il cadavere riportandolo in vita. Nell'epoca più tarda del Medio Regno venne inserito il particolare della sua imbalsamazione ad opera di Anubis, ma si tratta comunque di informazioni frammentarie. Per questo motivo, sulla base delle mie possibilità e conoscenze, decido sempre di basarmi sul testo di Plutarco.
Nel testo greco, quindi, troviamo come Osiride sia un re giusto e positivo e dio della vegetazione, e come insieme alla sorella e sposa Iside succede al trono ereditando il posto di Geb, portando l'umanità ad un'elevazione culturale di complessità religiosa e diffonendo l'agricoltura. Seth però, geloso del fatto che il regno del fratello sembrava perfetto, escogitò una macchinazione per ucciderlo. Con l'aiuto di sessantadue congiurati fece costruire un sarcofago ornato d'oro delle esatte dimensioni di Osiride, poi organizzò un grande banchetto in onore del suo insediamento come sovrano, promettendo il sarcofago in dono a chiunque si adattasse perfettamente al suo interno. Uno ad uno gli invitati si sdraiarono al suo interno, non trovandolo adatto, finché non arrivò il turno di un lusingato e bramoso Osiride. Quando il dio si stese al suo interno scoprì che il sarcofago era esattamente della sua misura, ma non fece tempo ad uscire perché immediatamente i congiurati di Seth lo sigillarono dentro e lo gettarono nella Bocca Tanitica del Nilo, una delle stette bocche che compongono il delta del fiume. Osiride così morì affogato mentre il sarcofago venne trascinato dalla corrente fino alle sponde della città fenicia di Byblos. Questo simbolismo ricreerebbe le periodiche inondazioni del Nilo che favorivano la fertilità dei campi sulle sue sponde mediante il deposito del limo. Bloccato in un canneto, il sarcofago venne inglobato in un albero di tamarindo che fiorì e il re di Byblos, vedendolo, lo fece tagliare per farne una colonna del suo palazzo. Iside, nel frattempo, sotto forma di rondine continuò a cercare il marito scomparso finché non giunse proprio nella città in questione. Per giorni volò intorno alla colonna lanciando grida strazianti finché la regina si accorse di questo piccolo uccello. Iside si offrì quindi come nutrice per il principe, cercando il modo di impossessarsi del cofano, ma non lo ottenne finché non si rivelò come dea. Solo allora, prostrante, la regina fece immediatamente aprire la colonna, dentro cui fu trovato il sarcofago contenente il corpo esanime di Osiride. La dea se lo fece dare in dono e si recò nelle paludi di Chemnis, dove cercò, con la sua magia, di soffiare di nuovo la vita nel corpo del marito morto, rimanendo così gravida di Horus.
Seth, venuto a conoscenza di ciò che era accaduto, approfittando di una momentanea lontananza di Iside aprì il cofano e smembrò Osiride in quattordici pezzi, spargendoli lungo l'Alto e Basso Egitto. Ancora una volta Iside si mise alla ricerca del marito. In ogni punto in cui trovava un pezzo faceva costruire un santuario in suo onore. L'unica parte che non si riuscì mai a recuperare fu il fallo, che si dice fu ingoiato dall'ossorinico, un pesce del Nilo che è anche l'animale che rappresenta lo stesso Seth. Qui la storia si divide in due diverse tradizioni: nella prima Osiride rimane morto e diviene così il giudice dei defunti, mentre nella seconda, con l'aiuto di Anubis, viene ricomposto e mummificato, con un fallo in legno in sostituzione a quello perduto, e ottiene così l'immortalità.
Il simbolismo di questa storia richiama due aspetti. Il primo è il lato cultuale legato alla natura che nasce, che muore e che torna in vita, nel ciclo di vita-morte-rinascita che interessa tutte le divinità agresti. È da notare però che le feste in onore di Osiride e coincidenti con le inondazioni del Nilo non avevano, in principio, un aspetto strettamente agreste, bensì erano ideate ad onorare il suo ciclo di rinascita. Solo in seguito le due visioni vennero collegate. Una cosa che vediamo anche con il siriano Adone, Tammuz, Dumuzi e Baal Hadad, nonché con lo stesso Attis. Il secondo aspetto è il punto di vista regale legato all'istituzione egizia. Osiride non indossa la corona bianca dell'Alto Egitto, ma questo non lo esime mai dall'essere considerato senza riserve il sommo sovrano di entrambi i regni, perché è il re che muore e che rinasce come divinità immortale.
Al contrario di Dioniso, Osiride era un dio estremamente benefico e non fu mai soggetto a follia, massacri o guerre, indotte o volute. Il suo ruolo, anzi, a dirla tutta fu quasi passivo nella sua morte e rinascita. Questo, se vogliamo, richiama un concetto ben distinto di "bene" e "male" che non troviamo nella cultualità greca, dal momento che ogni divinità della penisola balcanica, olimpica o meno, a parte forse Estia, in qualche modo si è macchiata di atti che sarebbero considerati esecrabili. Osiride invece portò con sé la civiltà e segnò l'inizio di un potere che giungeva a mettere ordine nel caos. E questa cosa lo distingue totalmente da Dioniso, che invece nell'aspetto caotico cercava la sua redenzione, e lo allinea di più ad un aspetto apollineo. Ma nello stesso tempo troviamo come Osiride lasciò il proprio trono alla sorella Iside, non solo, in tal guisa, finendo letteralmente nelle fauci dell'ambizioso Seth che ordì la sua congiura per ucciderlo e spodestarlo, ma mostrando anche un rispetto per il proprio aspetto femminile che appare quasi sconosciuto nella mitologia olimpica prima di Dioniso stesso, che affrontò una catabasi per amore di sua madre, rendendole così l'onore e il prestigio che secondo lui meritava, e una particolare cura nei confronti dell'abbandonata e rifiutata Arianna. E fu lei a tradirlo infatti, non il contrario, come ci si sarebbe aspettati da una divinità. Tra tutte le divinità greche non vergini, possiamo forse azzardare che sia l'unico (tenendo conto dell'exploit di Efesto nei confronti di Atena) che riesce a conservare un'integrità morale e una fedeltà a dir poco sconosciute prima. Segno forse che il suo "prendere il posto del padre" lo segna come il reale successore di Zeus, sia prescelto che in qualche modo meritato. Come ci fa notare Jean S. Bolen nel suo Gli Dei dentro l'Uomo: Dioniso può rappresentare quell'archetipo mancante che eredita il potere patriarcale di Zeus ma che riesce, con il suo duplice aspetto, a redimerlo. Forse, per un curioso gioco del destino, non c'è stato il tempo materiale perché nel tessuto del culto greco si creasse un nuovo mito e che si instaurasse una definitiva sesta generazione di divinità, partendo da Caos e finendo con Dioniso. Forse sta a noi, pagani di nuova generazione, raccogliere questa stupenda eredità e creare un nuovo mito, un nuovo punto di vista più adatto al nostro sentire, e magari, in questo modo, porre fine a millenni di sopprusi, ingiustizie e desiderio di dominio sull'altro sesso.