The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Litha 2014

Litha 2014

Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ
μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι
κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ - , ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε φράσαις.
... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι.


Ritengo che la filosofia sia la massima espressione del pensiero umano.
Lo so, sono di parte. Ma dopotutto, tra gli esimi vantaggi di avere un sito proprio, il più fico tra tutti è di sicuro la libertà di poter dire quello che mi pare senza che nessuno possa ribattere con status generalizzanti (così che chiunque e nessuno potrebbe sentirsi in qualche modo coinvolto), enigmatici, sibillini e criptici (così che chi è direttamente interessato e con lui tutti quelli che leggono quello status, si sentono immediatamente colpevoli), che lasciano intendere solo la metà di quello che una persona vuole dire, e nel dirlo, lasciar intendere solo la metà di quello che una persona che legge, normalmente, potrebbe capire. Per non parlare di quando nella metà che una persona capirebbe si lascia celare solo la metà di quello che in realtà potrebbe essere riferito ad un qualunque esponente della razza umana.
Non fatevi accaponare la pelle, fa tutto parte della comunicazione attuale. Nel phobbering mondiale ne sento un sacco di cose di questo tipo. È sempre una gara a cercare di dire qualcosa senza dirlo. Al punto che lo stesso Eraclito, che anche Socrate definì oscuro e profondo quanto il punto raggiunto dai tuffatori di Delo, avrebbe potuto gareggiare e rischiare di non essere in testa.
Ad un primo acchito credo che un qualsiasi professore di filosofia si metterebbe a ridere dinanzi a questo... ma estrapolando il concetto filosofico da quello sociologico e il secondo da quello antropologico, è evidente che la comunicazione dell'essere umano stia mutando seguendo linee chiaramente parmenidiane. Un paradosso? Non diverso da quello secondo il quale un gatto infilato in una scatola d'acciaio con un contatore Geiger, una minima porzione di una sostanza radioattiva, un relais, un martello e una fiala di cianuro può essere contemporaneamente vivo e morto. Una cosa molto eraclitea, ancora una volta.
Eppure è tutto vero ed è tutto normale, come la Coca Cola. È vero che aveva ragione Eraclito, ed è vero che aveva ragione Parmenide. Soprattutto perché non si riferivano propriamente alla stessa cosa.
Il bello arriva quando arbitrariamente noi ci ritroviamo ad applicare e perché no, inventare, impalcature mentali per cercare di sostenere la NOSTRA filosofia. Quella secondo la quale dovremmo sentirci in colpa, provare vergogna, essere indignati, offesi, e magari fieri, liberi, superiori, franchi o chissà che altro.
Tra tutte le leggi metasifiche e pseudoscientifiche che potremmo inventarci, o scovare, per incolpare qualche agente esterno degli eventi apparentemente spiacevoli che si verificano nella nostra vita, ce ne sono alcune che hanno senso solo in determinate occasioni. Altre, invece, hanno sempre senso e trovano applicazione in pressoché ogni istante. Quando ce ne accorgiamo, quanto meno. Molto più spesso ci è più comodo inveire contro quella che riteniamo essere malasorte. E perché no? È così facile, comodo, come un Cuba Libre.
Sapete, un tempo giocavo un ruolo molto più da mediano nelle discussioni filosofiche cui prendevo parte, magari giustificando qualche evento dannatamente improbabile, ma nonostante ciò, secondo il postulato fondamentale di Murphy, dannatamente frequente, come semplice azione della probabilità e della statistica e non della "sfortuna". Sostenevo che la fortuna o la sfortuna non esistessero, ma che si trattasse solo di una questione di calcolo approssimativo. Ed è vero che è così. Ma ovviamente queste stesse risposte andavano bene solo se applicate ai cazzi degli altri. Quando capitava a me era sempre e solo sfiga e io mi sentivo e mi sento in dovere, tuttora, di inveire contro di essa con tutte le mie forze, a volte in modo anche oltremodo esotico. Lo so, sono un collezionista di imprecazioni. Ne ho coniate alcune del tutto personali e particolarmente articolate che farebbero impallidire la discussione tra un veneto, un toscano e un laziale. Alcune, devo essere onesto, sono evoluzioni di alcuni suggerimenti avuti proprio da toscani, laziali e veneti. E intendo ricevute di prima mano, mica suggerite per vie traverse. Noi si fa le cose come si deve.
Ricordo che qualche tempo fa... almeno, diciamo, quasi una quindicina d'anni, parlando con una ragazza su ICQ mi ritrovai a sentirmi dire come, paradossalmente, secondo lei l'essere strega apparisse quasi come l'essere in uno stato di sospensione metafisica. Quando espressi la mia sofferenza per una delle (tante) relazioni andate in merda nella mia vita, per il rancore che provavo per qualcosa, mi sentii dire che appariva strano che io provassi queste emozioni. In parte credo sia il concetto di "irraggiungibilità" che miete vittime, dall'altra c'è invece lo schermo dovuto dal fatto che, per molti, chi conosce e usa le arti magiche dovrebbe essere immune a tutta una sfera di situazioni, emozioni, sentimenti; al punto da essere qualcosa di lontano dall'umano. E non mentiamoci, su, nessuno di noi è mai stato esente dall'effetto "plumbea gravità" quando si tratta di persone che, come noi, percorrono un sentiero spirituale e che in qualche modo riteniamo superiori o più avanti (per quanto queste licenze non rispecchino poi per nulla la verità). Conosciamo qualcuno, magari su internet (specchio MAI veritiero dell'anima - per citare Erasmo da Rotterdam), leggiamo ciò che dice, ciò che pensa, e poi dipingiamo un quadro totalmente personale di questa persona, idealizzandola, magari ritenendo che sia talmente al di sopra che non abbia nemmeno funzioni biologiche.
Meno sappiamo di una persona, per ovvie ragioni, più questo gioco funziona e chi ha interesse ad apparire più come un essere divino che come un essere umano preferisce mantenere l'anonimato. Un po' come Adam Kadmon.
Io ricordo che trovai l'uscita di quella ragazza davvero divertente e ancora di più lo fu, anni dopo, quindi circa tipo due anni fa, l'espressione spiritosa che uno dei ragazzi del mio gruppo di studio ebbe quando accidentalmente conobbe mio padre: "Non avevo mai pensato che tu potessi avere un padre".
"Esatto," replicai, "in effetti è comprensibile ed accettabile pensare che io sia nato direttamente da un Frassino per il volere di Odino".
Giuro sul mio ornitorinco che è tutto vero. E comunque ho testimoni. Chiedete a loro se non ci volete credere.
Comunque poi, un bel giorno scopriamo che queste persone non sono prive di difetti, che si incavolano per stupidaggini, che conservano rancore, che piangono, che soffrono, che ridono per le stesse cose che divertono anche noi. Accidenti. Realizziamo che queste persone sono in tutto e per tutto degli esseri umani. In qualche modo tutto questo lo sapevamo anche prima per ovvie ragioni, ma per un motivo non ben precisato eravamo estranei a pensare in questo contesto.
Finché la situazione rimane su questi toni ci si fa una risata e tutto finisce. E io, in quell'occasione, tanti anni fa, trovai comunque divertente che quella ragazza pensasse che in qualche modo noi si fosse immuni ad alcune sofferenze dell'animo. Ma in realtà non è così divertente, a pensarci bene. Nulla di che; pressoché chiunque è libero di credere quello che gli va, anche se magari ci si aspetta che noi si abbia una qualche mutazione alla X-Men che ci porti a non incazzarci mai, a non portare rancore, ad essere sempre ascetici. Per quanto l'ascesi possa apparire allettante per un mero concetto di elevazione spirituale, e per quanto io pensi personalmente che, in particolare nei riguardi del rancore, lasciarlo andare con il passare degli anni sia importante, ritengo comunque che ogni cosa vada fatta con precise tempistiche di crescita. La saggezza che si accumula col tempo mostra come alcune cose che prima ci apparivano enormi macigni e baratri invalicabili, infine divengono ostacoli di poco conto, un po' come tornare in quella casa dove si è andati da bambini e rendersi conto che non è poi così grande come ce la ricordavamo. Inoltre a volte la memoria delle offese subite credo che ci serva anche per rimembrare con chiarezza ciò che non permetteremo più che ci venga fatto. Ci permette così di determinare in che direzione far correre i binari su cui si muove la nostra vita. Come disse John Fitzgerald Kennedy: perdona i tuoi nemici, ma non dimenticarti i loro nomi. Inoltre, più che il ricordo nitido, che ci renda rancorosi credo che sia l'incapacità di perdonare e andare oltre. Poi magari non desideriamo più avere a che fare con alcune persone perché non riconosciamo in loro la capacità di rimediare a ciò che ci ha spinto ad allontanarle e a sentirci offesi, o anche perché semplicemente siamo cambiati noi e non ci va di continuare a condividere con loro qualcosa. Tuttavia sentiamo dentro la profonda delusione. Ma quanto di quella delusione, mi chiedo, è dovuta a ciò che noi abbiamo costruito, disegnato, immaginato di una persona e quanto c'è di reale nelle aspettative che sentiamo tradite? Non è forse un diritto imprescindibile essere se stessi? Forti, invincibili, con il pisello sempre così duro che se lo picchi contro una roccia fa scintille... è tutto molto bello quando le persone ti reputano così. Ma nell'essere noi stessi, non è forse un diritto imprescindibile anche essere fragili, deboli, feriti, addolorati? Sentirci abbandonati magari? Sentirci traditi? Lo è. E non solo per controparte dell'essere forti, in modo che si possa apprezzare la felicità quando si passa dall'infelicità, ma proprio perché siamo esseri umani; quando abbiamo bisogno di qualcuno vicino a volte ci sentiamo soli, quando abbiamo qualcuno vicino a volte desideriamo essere soli. Ma, quanto meno negli anni '80, con lo spettro della povertà che i nostri genitori hanno vissuto e con il terrore, forse, della mancata educazione che poteva "portarti su cattive strade", siamo cresciuti sentendoci in colpa se non vuotavamo il piatto pensando a chi non aveva da mangiare. Siamo cresciuti sentendoci in colpa quando eravamo tristi perché "non ci mancava nulla". Siamo cresciuti senza avere una mappa dei malesseri generali e delle malinconie del vivere, perché eravamo portati a pensare alle emozioni in modo strettamente legato alla materialità, pertanto se avevamo tante cose dovevamo essere felici e se non era così... dovevamo sentirci in colpa per chi quelle cose non le aveva. Figli di questa generazione sono stati gli eroinomani che morivano come mosche lasciandosi dietro quintali di siringhe nei luoghi dove, da bambini, giocavamo. Ma queste stronzate non sono servite a molto e non servono a molto, perché a chiunque, a prescindere dallo status sociale, dal lavoro che fa, dalla spiritualità che segue, capita prima o poi di alzarsi al mattino ed essere incazzato con il mondo senza un motivo, o di sentirsi ferito, tradito, offeso per vari motivi. Ed essere streghe, per quanto possa renderti capace di fare molte cose, cara la mia Serenella, non ti rende immune da tutto questo. E meno male, oserei dire. Inoltre, come ho letto su un foglio appeso in un ufficio: "Siamo nel periodo in cui coloro che sono cresciuti come palme cadono come cocchi".
Una volta mi trovavo con Phyllis Curott e una mia amica giornalista nella hall di un albergo nei pressi di P.za della Repubblica. La mia amica, dovendo intervistare Phyllis, che al tempo, (mi pare fosse il 2002) non aveva ancora cominciato a tenere seminari in Italia (nonostante durante la mattinata ammise che amava il nostro paese), e di contempo, sapendo che a me poteva interessare conoscerla, mi chiese di partecipare. Phyllis mostrò subito un lato estremamente integro. Alla reception ci dissero che stava facendo colazione, ma lei vedendoci, si alzò di corsa e venne da noi con il cappuccino in mano per non farci aspettare e si offrì di ordinarci la colazione. Era vestita in modo professionale, con un abito elegante e sulla giacca aveva appuntato un meraviglioso cammeo di Artemide con l'arco teso i levrieri in corsa. Dopo le prime domande di rito sull'attacco al World Trace Center, cui Phyllis da newyorkese rispose in modo abbastanza circostanziale parlando di ferite interne all'animo mentre sorseggiava il cappuccino soffiando per raffreddarlo, la mia amica le parlò di un sito che aveva visitato in cui una strega (tra l'altro una mia ex, quindi provai un senso di forte deja-vu) elencava cosa significava per lei essere ciò che era, come avrebbe lottato se qualcuno avesse deciso di ferirla ecc. Phyllis non parve colpita in modo particolare da quelle parole, ma la mia amica invece sì e mi ricordo che porse a lei lo stesso dubbio che espose a me prima di entrare in albergo: in qualche modo pensava che la magia giocasse un ruolo talmente cardine nella nostra vita di streghe da renderci immune alle ferite, alle sofferenze, alle offese, ai rancori. Ancora una volta non sapevo se ridere o piangere. Ancora una volta si pensava alle streghe come a qualcosa di diverso da delle persone normali: immuni al dolore, immuni alla rabbia, per sempre ascetiche e concentrate sulla creazione e la costruzione invece che sulla distruzione. Parallelamente pensare a come venivamo considerate in passato mi fa sorridere. Non ricordo cosa rispose Phyllis alla domanda che la mia amica le fece, ma ricordo che parlò di suo marito dipingendolo come un uomo meraviglioso, al punto che la mia amica giornalista, che era single, chiese se fosse possibile riservare un uomo altrettanto eccezionale anche per lei stessa. Prima di andare via regalai a Phyllis il cd della mia band e lei mi chiese di autografarglielo; in onestà fu una cosa che non mi aspettavo, per cui le scrissi in copertina "In perfect love and perfect trust" e lo siglai con la mia firma. Quando, a distanza di molti anni, l'ho incontrata di nuovo, non si ricordava più di quell'evento, e nemmeno di quell'intervista, come è ovvio che sia, ma io l'ho bene chiara in mente. È curioso come tra tutte le cose che ricordo di quel momento: il suo modo quasi maniacale di risistemarsi i capelli legati, il suo cammeo di Artemide, il suo enfatizzato gesticolare, il suo sorriso enorme e allegro, il suo profumo piacevole ma non invadente, io non riesca a ricordare cosa rispose a quella domanda. Come del resto non saprei cosa rispondere io stesso, a distanza di tutti questi anni, se mi ponessero lo stesso quesito. Mi ricorda sempre quella volta in cui un amico mi parlò di Anton LaVey ed espresse il suo disappunto per il fatto che morì di "semplice infarto". E di cosa sarebbe dovuto morire?, mi sono sempre chiesto. Doveva finire crocifisso, bruciato vivo? Era un essere umano come tutti quanti, solo seguiva una via spirituale differente. È morto in un modo del tutto umano, come del resto è capitato anche a Susan Atkins, che per quanto né lui né lei erano streghe, la Atkins di umano aveva ben poco al contrario di LaVey.
Ecco cosa risponderei, ora: essere streghe non significa essere immuni a un bel cazzo di niente. Come essere Jedi non ti rende immortale, come ben ci insegna Qui-Gon Jinn. Ma sono proprio queste le impalcature mentali su cui dobbiamo bilanciare ogni volta il nostro pensiero. E non esistono magie che mi hanno mai reso immune dal dolore della perdita, dalla sofferenza che l'amore, inevitabilmente, porta con sé. Tutto è crescita, anche privarsi del possesso delle cose che riteniamo importanti per renderci conto che alla fine Seneca aveva ragione quando disse: nullius boni iucunda sine socio possessio. Ma forse credere che ci siano persone che, in qualche modo, hanno capacità che vanno oltre le nostre, quindi che non si arrabbiano mai (e personalmente il mio maestro è una di queste persone e non so se mi piacerebbe essere come lui), che non soffrono mai, che sanno sempre cosa fare e come, ci serve per un duplice motivo: abbiamo bisogno di sentirci soli per capire come essere parte di qualche cosa. Abbiamo bisogno di credere di essere separati per anelare all'unione, e dopotutto nasciamo in questo modo e moriamo in questo modo. Abbiamo bisogno di vedere in qualche modo che c'è qualche cosa che desideriamo diventare per migliorare noi stessi. Ma, a volte, capita che dimentichiamo di essere parte di un intero e rimaniamo convinti che la via per la coesione sia sempre distante, come Rhiannon appariva a Pwyll. E proprio come lui, ci pare che per quanto corriamo nella sua direzione lei ci beffi continuando a camminare solitaria e distante, senza però permetterci di raggiungerla mai. La nostra separazione ci fa sentire soli sia nell'affetto che siamo capaci di ricevere sia in quello che siamo capaci di dare. Perché tutto ciò richiede impegno e crescita e per alcuni è preferibile vivere sospesi in una perpetua illusione, desiderando sempre qualcosa che non si è senza però pensare a come imparare a diventare ciò che si desidera essere; o quanto meno avvicinarsi. Prigionieri di questa illusione viviamo in una limitazione enorme, dove è possibile che sia nostro dovere e nostro diritto anche in qualche modo lottare per liberarci. Ed è sia diritto che dovere. Ed è paradossale quanto spesso pensiamo che essere forti sia un dovere, mentre essere deboli non lo sia, mentre essere deboli è anche un diritto a volte, esattamente quanto lo è essere forti. Ed essere deboli a volte è anche un dovere. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri momenti di fragilità che ci reclamano a gran voce, come neonati affamati.
Insomma, Serenella, ti rispondo dopo dodici anni, ma come si dice, meglio tardi che mai: nel profondo di me stesso quel mio lato epico spera davvero che ci siano streghe che non abbiano bisogno delle fragilità, che non sentano a volte dei momenti, nella loro vita, in cui proprio non ce la fanno più e che l'unica cosa che sentono di aver voglia di fare è quello di tirare le coperte sopra la testa e farlo senza per forza pensare di essere state attaccate magicamente da qualcuno. Io però non sono tra queste. Quando vengo o mi sento ferito, sanguino come le persone normali. Esattamente come LaVey è morto di infarto e la Atkins di tumore al cervello. E ci sono giornate in cui avrei voglia davvero di essere come un rondone e decidere, di punto in bianco, che voglio vivere solo l'estate, pertanto migrare e non guardarmi indietro nemmeno una volta, come lui continuare a volare anche se sto dormendo. Ma in qualche modo, dentro, io so come funziono, e so che, linneamente, invece di apus sono strigidae, proprio come Blodeuwedd, e questo perché consapevolizzo il passato, o quanto meno ci provo, per rendere (più) sensato il presente e (più) consistente il futuro. Ma non è mica detto che funzioni sempre. A volte alcune cose mi rimangono incomprensibili anche a distanza di anni. A volte, come diceva Danny DeVito in "The Big Kahuna", "vedi l'assurdità di qualcosa che hai fatto, e desidereresti tornare indietro, cancellarlo, ma sai di non potere, perché è troppo tardi. Quindi quella cosa non puoi che prenderla e portarla con te, perché ti ricordi che la vita va avanti, il mondo girerà anche senza di te. Alla fine tu non conti. È allora che acquisterai il carattere. Perché l'onestà emergerà da dentro di te, e come un tatuaggio ti resterà impressa sulla faccia."
Sopra ogni altra cosa credo che sia un nostro diritto essere felici, tanto quanto lo sia essere infelici, se scegliamo che sia così. Ma importante è esserne consapevoli. Amleto si faceva domande del tutto parmenidiane in un'opera definibile come epicurea. È curioso quanto umano che quel suo "essere o non essere" sia sminuito nel mero concetto del vivere o morire, dormire e sognare e che non sia l'alterazione stessa della definizione di coscienza. La realtà non la sapremo mai, e questo è vero come è un dato di fatto che ho un ombelico, quindi sono un mammifero.
Una verità del cazzo, in verità. Non è che ce ne facciamo granché di sapere come funzionano le cose se non ci domandiamo il perché. Soprattutto se si parla di emozioni e sentimenti. Quando meno dal mio modesto punto di vista. Ecco perché credo che la filosofia sia la massima espressione del pensiero umano. Non pretende mica di avere ragione a prescindere ed essere più filosoficamente eccentrica di altri. Una cosa che, invece, nei percorsi spirituali capita spesso, anche tra chi si dice democratico, tollerante e tra chi, per primo, parte ad attaccare dicendo di sentirsi attaccato. Quando è una persona si sente spirituale, al di fuori della religione, spesso incorre nel dilemma di essere più spirituale di altri e in questo (senza essere coinvolti), prendersi la piena libertà di decretare che cosa è più giusto o meglio per le altre persone, ignorando, in questo modo (magari in modo non del tutto deliberato) che ogni volta in cui non si lascia decidere qualcuno del proprio cammino, nelle piccole come nelle grandi cose, anche quando è implicabile un assunto "bene superiore", si sta violando il libero arbitrio altrui. Ma non è sempre facile vedere le cose in questo modo quando i sentimenti fanno da padrone; a volte lasciamo che siano loro a "comandare". E questo... anche quando si è streghe.