The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Lughnasadh 2013

Lughnasadh 2013

Senza un'aggiunta di follia non si compie nulla di veramente grande

Una volta si parlava di scazzo filosofico e spirituale con una cognizione di causa differente. O forse semplicemente ci trovavamo a discutere in modo differente delle stesse cose, avendo magari meno argomenti, vuoi perché ho sempre creduto che la saggezza non sia accumulo di eventi, espressi in esperienze o conoscenze, ma metabolizzazione di tutte queste cose assieme. Ora mi è capitato che mi facessero due, tre interviste negli ultimi tempi e mi sono ritrovato così a chiacchierare con qualcuno via skype o davanti ad una birra di cosa significa, in qualche modo, essere una strega del 2013. Mi sono reso conto, parlandone, di come spesso sia come avere la possibilità di trovarsi a giocare a Chi Vuole Essere Milionario e non conoscere nemmeno una risposta ma in qualche arcano modo indovinarle tutte senza aiuti e arrivare alla fine; ed è una sensazione allo stesso tempo frustrante e in qualche modo stimolante. Frustrante perché c'è una perpetua fetta di persone che hanno un timore immenso di essere giudicate non all'altezza, proprio per il fatto, forse, di non esserlo, e che quindi si circondano di persone deboli o comunque prive di una oggettiva forza di tipo culturale ed esperienziale in modo da poterle formare senza conceder loro la via del ragionamento, senza quindi dar loro delle chiavi di interpretazione valide come altre, ma fornendo dei dogmi che impediscono loro di crescere realmente e soprattutto autonomamente. Stimolante perché quando riesci a vedere queste debolezze, se sei capace di un esame interno degno di nota, riesci a chiarire con te stesso quali sono i difetti che riscontri in quelle persone perché le riconosci come parte stessa del tuo carattere. Ma se non riesci ad ammettere questa cosa, se non sei capace di vedere, o non vuoi allora è come barare giocando ad un solitario. È così che lo scazzo filosofico e spirituale si frantuma, come un bicchiere di cristallo gettato in un camino.
Alcuni, ad esempio cercano la realizzazione dello scazzo filosofico e spirituale andando a cercare esperienze estatiche forzate. E il peggio non è che le vadano a cercare. Il peggio è che le trovano pure. Io, dopo anni di privazioni, mi sono ritrovato a maggio e di fronte avevo ancora un'altra estate in cui avrei dovuto lavorare, restando fermo, facendo la posta ai week end per inseguire l'ombra di mio figlio giocando a nascondino (e stando sempre sotto perché a confronto con i bambini io mi sento sempre un dodo che fa la gara di corsa con uno struzzo). Ma, come Ninjini, lo Skylander Giants introvabile (che ho trovato finalmente oggi) davanti mi si proponeva la possibilità, creatasi a novembre, di realizzare un sogno che avevo da tantissimi anni: andare in Irlanda per una vacanza spirituale. Corta. Cortissima. Ma spirituale, cazzo. Così spirituale che il Dalai Lama si sarebbe appeso macigni ai testicoli pur di poterla fare anche lui. Ma come si sa, soprattutto perché caporedattore del Reef, le cose devono sempre essere fatte all'ultimo (e ogni riferimento a eventi, luoghi o collaboratori è puramente casuale). Così si arriva a maggio e io ancora non avevo deciso se partecipare o meno anche se in realtà avevo già detto qualcosa del tipo "Sì cazzo, assolutamente sì, col cazzo che me lo perdo, cazzo!", ma finché non vai sul sito Ryanair.com i conti li fai senza l'oste, senza il pilota e anche senza le sexy assistenti di volo. Sapevo, dentro, che se non avessi puntato i piedi e mi fossi imposto di andarci avrei alla fine rinunciato per l'ennesima volta senza un valido motivo. Ero di fronte, quindi, alla possibilità della ricerca. Volevo anche io lo scazzo filosofico. Lo volevo con tutto il cuore. Ma soprattutto non volevo trovarmi ancora a settembre e vedere tutti i miei colleghi e amici e mio figlio che tornavano dalle vacanze tutti belli rilassati e abbronzati e sentirli di nuovo verso gennaio lamentarsi: "Eh, ho bisogno di una pausa". Perché vi garantisco che sono cose che sanno far salire la bile fino alle orecchie. Parola di giovane marmotta.
È stato in un raptus del tutto orfico che ho comprato il biglietto d'aereo e con alcune altre streghe mi sono imbarcato. Non volevo rinunciare, non questa volta. Non per poi avere da incolpare solo me stesso per questa decisione.
Così ho passato la manica e per la prima volta ho visto l'oceano, anche se da molto lontano. Atterrando sull'isola di Irlanda mi sono reso conto che non ero mai stato così lontano da casa prima di questo momento. Ero nella terra del mito, battuta dai venti. E l'erba era davvero molto verde come dicevano. Stando là per quei giorni ho avuto modo di mettere a confronto ciò che mi aspettavo, ciò che ritenevo, ciò che avevo letto e sentito con la realtà di un punto di vista spirituale differente dal nostro, per quanto, comunque europeo.
Ad essere onesti non è un granché come specchio di realtà con cui fare i conti, perché cinque giorni non bastano nemmeno per capire come si fa ad apprezzare il formaggio con le albicocche, ma ci sono concetti con cui qui facciamo a pugni ogni giorno e che si rispecchiano su aspetti più ampi, come se fossero specchi che riflettono specchi. E poi, cazzo, quello che era in programma era quello, mica potevo imporre la mia presenza per un'altra settimana così, per sfizio, magari con la scusa di dover trovare la risposta filosofica del fatto che le pecore là hanno la testa nera e che dovevo accertarmi che Shaun fosse solo allegorica stop-motion.
A prescindere ritengo che ognuno può e debba vedere le cose a proprio modo, farsi la propria opinione e, viversi una propria esperienza, trarre delle conclusioni o lasciare comunque aperte le possibilità. Ancora di più dopo aver vissuto l'esperienza che ho vissuto là, ho capito che ci sono cose che possono davvero essere solo vissute per essere comprese, accettate e, in seguito, in modi alternativi e incompleti, anche passate ad altri. E dovrebbero essere vissute non solo per poterne parlare in modo comprensibile, ma per capire da soli quanto l'essenza stessa dello spirito umano sia lontana dal concetto dell'accumulo di potere, della conoscenza o della riconoscenza da parte di altre persone. L'essenza dello spirito umano sta davvero nelle nuove esperienze e nella meraviglia di ciò che portano con loro, del modo in cui riescono ad alterare il tessuto stesso della nostra percezione del mondo.
Forse quando ci allontaniamo da alcune situazioni conosciute per scoprirne delle altre, per vederne di diverse, tendiamo a dividere ciò che incontriamo in due diverse categorie: quelle che riteniamo essere migliori di quelle cui siamo abituati e quelle che riteniamo essere peggiori. Un qualsiasi neopagano italiano che entra in casa di un irlandese dopo un'ora già sa distinguere queste due categorie nel loro modo di vivere: non hanno bidet, non risciacquano i piatti, non hanno tapparelle o lenzuola, mangiano combinazioni di cibi che riterremmo normalmente, a nostro gusto, improponibili. Ma hanno case meravigliose e ampie, hanno il burro salato, sorridono sempre e prendono le cose con calma, per salutare ti chiedono come stai e hanno il paganesimo nel sangue in un modo che noi, che scaviamo nelle cose piccole e disconosciute della nostra cultura, ricercando il significato antico di alcune situazioni, in realtà possiamo solo sognare, o sperare di averlo un giorno. Queste differenze possono stimolarci a vederli come punti di vista positivi o negativi. O entrambe le cose. Ma in qualche modo è comunque una differenza di punti di vista, di cultura, di crescita.
L'affermazione del potere, vedete, secondo me non è un punto di vista sbagliato, in quanto tale. È la definizione dello stesso sulla base della materialità che diventa un anacronismo indicibile, se legato ad un contesto relativo alla spiritualità. È come essere animalisti e poi mangiare carne. Un antico adagio di una certa signora di ferro britannica sosteneva che avere potere, quindi essere potente sia come essere una signora: se devi ricordare a qualcuno che lo sei allora significa che non è così. Ed è lo stesso concetto di chi, come mi hanno detto, mette nel profilo di facebook, come professione: "Sacerdotessa" o "Sacerdote". Quando l'ho sentito credo di aver riso per almeno un quarto d'ora, non riuscivo a smettere. Eravamo in aeroporto e la gente stava per farmi portare via in ambulanza. Non riuscivo a smettere. Da una parte se proprio dovete scrivere tali emerite stronzate è decisamente più sano ed elegante, oltre che perversamente intelligente, inventarsi citazioni fasulle di personaggi realmente esistenti come Goethe, Lao Tzu, Steiner, Aristotele, Pitagora, Osho, Jung, Hillman e Plutarco e pubblicarle sul proprio profilo come fa una mia amica, godendosi lo spasso di chi le commenta come se fossero realmente tratte da libri e non inventate di sana pianta.
L'affermazione di sé all'esterno è tale sulla base di quanto abbiamo bisogno di assicurare alle persone cha siamo chi speriamo di diventare, ma che sappiamo di non essere ancora. E significa anche che abbiamo necessità di capire chi siamo, senza doverne definire i confini ad altri, e soprattutto mostrandoci così per qualcosa che non siamo. Vanità, diceva il Qoelet. Vanità di vanità. È proprio l'inseguimento di queste assurdità che ci fa perdere di vista ciò che davvero dovrebbe rivestire un ruolo di basilare importanza: ossia che una persona sia o meno un sacerdote o una sacerdotessa, che sia iniziato o iniziata o meno a qualsivoglia tradizione, e chi mi conosce sa come la penso a riguardo, non dovrebbe essere reso un contesto di vanto, di invenzione, o sminuirlo dicendo che è una "professione". In questi termini una persona che è un sacerdote o una sacerdotessa di professione significa che percepisce un compenso economico quantificabile per quello che fa nell'inquadramento sociale e lavorativo che riveste. Nel caso del neopaganesimo sfido chiunque a dimostrare di percepire uno stipendio in quanto sacerdote o sacerdotessa di una divinità, quindi come mero officiante.
Sono anche questi, tra gli altri, i comportamenti che fanno sì che da altri punti di vista spirituali si venga presi poco sul serio, che le lotte per ottenere qualcosa si fanno più dure, che si arrivi a stupidi ed inutili giochi di potere, che si debbano avere sotto gli occhi continuamente divisioni, ricatti, prese di posizioni ed offese personali esterne alla visione spirituale, ripicche, denigrazioni, tradimenti, comportamenti infantili e spregiudicati portati al solo accumulo di potere (presunto soprattutto), incoerenze, supposizioni arbitrarie, anacronismi dentro i quali la nascita di nuove vie spirituali che possono apparirci come dubbie o assurde sono, nel contesto generale, paragonabili ad un papavero in un campo di girasoli o poco più.
E così stacco il telefono, vado in Irlanda. Ma quando torno, come spesso mi capita, mi trovo nella mail un articolo che è stato pubblicato su Facebook. Un amico me l'ha girato per sentire che ne pensassi, perché potessi dirgli la mia a riguardo. Questo articolo parlava di come spesso si confonda la religione con la spiritualità e l'autore si domandava, nell'incipit, se un percorso spirituale individuale potesse basarsi su una religione e di conseguenza, se una religione possa essere assoggettata ad un percorso spirituale.
Dopo averlo letto con attenzione mi sono ritrovato d'accordo con una parte di ciò che era stato scritto, ma non con un'altra. Il che, a mio avviso, rendeva la cosa interessante. Se fossi stato d'accordo a prescindere sarebbe stato come leggere sul muro "Berlusconi Ladro". Dopo un po' passi oltre perché certe asserzioni sono assiomatiche.
Una diversità fondamentale tra spiritualità e religione la riconoscerebbe anche un pinguino, perché c'è a tutti gli effetti. Il fatto è che messa giù per come era messa denotava ancora una volta, nel finale, il cercare di definire qualcosa usando come concetto il conosciuto e il punto di vista proprio come cardine di paragone. Il che non è che sia sbagliato, anzi. Dopotutto noi siamo sia lo specchio che il riflesso. E poi è proprio come abbiamo fatto noi italiani quando siamo entrati in casa di una famiglia irlandese. Ma il proprio punto di vista è realmente adatto per paragonarlo come un assoluto per definire ciò che è spirituale e ciò che è religioso? E soprattutto, siamo davvero capaci di scagliare pietre senza incorrere nel contesto di paragone che sfocia nell'improponibilità, nell'impossibilità di definizione?
Eh. E mo' so' cazzi.
Parlandone con un amico, per fargli capire, gli chiesi di dimostrarmi l'amore che prova per il suo compagno confrontandolo con quello che io provo per la mia compagna e spiegarmi con certezza matematica che lui ami di più il suo uomo di quanto io ami la mia donna. E questo perché la pretesa di definire i confini della spiritualità è come stabilire quali sono i paletti che fanno sì che l'amore sia amore confrontando due sentimenti provati da persone diverse, in contesti diversi e, nel caso della religione, anche in epoche diverse.
Nel contesto della spiritualità, come dico sempre, è meglio stare tutti zitti invece di giudicare perché nessuno è al sicuro. Soprattutto perché siamo neopagani. E dovremmo sempre ricordarci che siamo ben diversi dai pagani, anche se onoriamo le stesse divinità. Sempre che siano le stesse, in termini esoterici. Ma nel contesto del mito, mi domando, chi è che l'ha creato? Andando in Irlanda ho sentito tre persone diverse parlare di uno stesso mito su Chuchulainn. E ho sentito comunque tre versioni diverse. A ben vedere, in contesto sociale, tutte e tre le persone sarebbero considerabili come autorevoli, dato che tre su tre hanno scritto libri sui miti irlandesi o sulla stregoneria e tutte e tre sono originari di quella terra. Eppure conoscevano versioni diverse dello stesso mito e ognuna di loro raccontò la storia dicendo: "Questo è il mito dell'eroe dell'Ulster". Ma quale dei tre è considerabile come il mito giusto, quindi? Di ritorno dall'Irlanda torno a casa e continuo il mio studio su Dioniso, con relativo incontro di boxe, per la stesura dell'articolo che uscirà a Samhain e mi ritrovo con diversi autori: Esiodo, Omero, gli Orfici, Nonno, Plutarco, Aristofane, Pausania, Apollodoro, Euripide, Callimaco e di sicuro me ne dimentico qualcuno, che hanno opinioni divergenti sui natali del dio degli eccessi, e ancora mi ritrovo a chiedermi: quale di questi è il mito giusto, chi ha ragione? Poi, l'altro giorno, alla fermata dell'autobus per un caso fortuito mi ritrovo ad assistere ad una discussione tra un Testimone di Geova ed un Evangelista, i quali a dirla tutta, onorano lo stesso dio, ma che hanno versioni del mito differenti. Mi sono tenuto alla larga dalla discussione per non venire linciato, dato che su questo sarebbero stati d'accordo, in quanto a loro avviso sono un adoratore del demonio, ma ancora mi sono trovato a chiedermi: qual è il mito giusto? Chi di loro ha ragione?
Onestamente potrei continuare per molto, ma non è necessario perché mi sono risposto che forse non importa quale sia il mito giusto, perché se la stregoneria mi ha insegnato qualcosa è che c'è la reale ed oggettiva possibilità che da qui a cinquecento anni anche Padre Pio possa assurgere al grado divino, o come suggeriva un caro amico: che Babbo Natale in termini di potere eggregore è più forte di una delle nostre divinità. E se penso alle divinità che sono state dimenticate, ai culti che sono perduti e all'impossibilità reale che ho e che immagino abbiano anche altri, vivendo nel 2013, di far rivivere quelle realtà come attuali senza modificarle, come del resto ci suggerisce una via anche la critica di Luciano di Samosata nel suo De Sacrificiis, capisco che non posso far rivivere la religione di quattromila anni fa. La risposta è esattamente la stessa che mi darebbe chi dice che l'omosessualità è condannata dalla bibbia, quando io di rimando gli domando come mai non prende a sassate un'adultera per strada nonostante il vecchio testamento dica espressamente che così va fatto: perché siamo nel 2013.
Io onoro delle divinità come posso, come so e come mi sento di farlo. E in termini di spiritualità e di religione credo che l'unico essere che potrebbe dirmi qualcosa senza poter ricevere critiche sia la divinità stessa. Se la divinità cui dirigo le mie preghiere non si sente adeguatamente onorata da me, se crede di meritarsi di più di quello che io gli do, può benissimo non rispondermi, incenerirmi o fare quello che fanno di solito le divinità con noi poveri mortali: trattarmi come tratteremmo noi una singola ape che fa sciopero e che non raccoglie il nettare o produce miele. Il risultato, se non mi incenerisce prima, sarà quello che dopo un po' che non ricevo risposta io mi rivolgerò ad un'altra divinità. E se tutte non mi rispondono me ne inventerò una. Questo è ciò che è capitato da sempre, in tutto il mondo, in tutte le epoche. Quello che fa la differenza, credo, è il modo in cui noi ci rapportiamo con la nostra religione e, di conseguenza, ma purtroppo non sempre, con la nostra via spirituale.
Facendo qualche intervista una delle prime domande che mi viene fatta è: "Che cos'è la wicca?". Ci sono momenti, credetemi, in cui dopo aver ricevuto questa domanda vorrei essere in possesso di una di quelle bombe fumogene che usano i ninja. Mi piacerebbe pronunciare qualche lemma in giapponese maccheronico con un tono minaccioso e antemico alzando la mano a pugno all'altezza del visoe poi gettare la bomba a terra per svanire in una nuvola di fumo. Dopo le prime volte in cui cerchi di definire cos'è, o almeno, per me è stato così, arrivi ad una triade: la wicca è una via spirituale, un cammino magico e una religione, in questo ordine. Io sono wiccan. Per dimostrarmi tale, dato che non sono iscritto a nessun registro, ho dalla mia il fatto che seguo la ruota dell'anno secondo il calendario riconosciuto dalla wicca gardneriana, seguo le regole della magia con un punto di vista vicino alla pratica wiccan, svolgo i miei rituali secondo una metodologia che è del tutto simile, anche se non uguale, a quella della wicca tradizionale, riconosco un principio duplice del divino vicino al concetto wiccan e dentro, come tale, mi sento parte della religione wicca; in forma filosofica e non rituale se vogliamo essere pignoli, dato che non ho mai ricevuto un'iniziazione ad alcuna tradizione. Questo per qualche purista potrebbe fare di me un wiccan inferiore a qualcun altro o anche un non-wiccan. Per qualcuno potrebbe essere così. A me personalmente non importa, ma dal mio punto di vista, il che credo sia la cosa determinante dato che si parla della mia spiritualità, questa cosa fa di me un wiccan eclettico.
La differenza che in quell'articolo si cercava di stilare, e con cui mi sono trovato in linea, era definire i punti in cui differiscono la spiritualità e la religione. Una questione da prendere in considerazione però c'è: scazzo filosofico e spirituale o meno, sia cercato in Irlanda che a Timbuctu, se una religione non è costituita o riconosciuta secondo un concordato o un'intesa, e stiamo parlando di Stato Italiano dove viviamo, allora in termini organizzativi e di adesione stiamo parlando di ecumenismo ateo. O se non vogliamo tirare in mezzo la cacopedia ossimorica quanto meno stiamo vedendo le cose da un punto di vista non spirituale. In fondo dopotutto una religione è tale fintanto che le persone scelgono di seguirla perché fa vibrare le loro corde, o almeno nel migliore dei mondi voltairamente possibili. Inoltre, senza per forza fare il latinista, dato che quello che so di questa lingua morta l'ho imparato da solo, mi pare che l'etimologia della parola religione sia proprio re-lègere, ossia "scegliere con cura". A questo punto una religione può essere vista come l'insieme dei culti e dei dogmi che danno alle persone uno stimolo per lottare ogni giorno contro le difficoltà della vita, in genere una spiegazione del significato stesso della propria vita, una visione del divino e un insieme di regole di condotta più o meno approssimative da seguire per continuare a sentirsi parte attiva, spiritualmente e socialmente, del gruppo religioso cui abbiamo scelto di avvicinarci, ufficiale o meno che sia. Se una persona sente di condividere il punto di vista suggeritogli da una religione, pertanto, la abbraccia oppure no. Sempre riferendosi al migliore dei mondi possibili.
Ciò che macchia questo mondo neopagano (forse il migliore possibile) è il fatto che le persone si preoccupino davvero di fare bella figura prima di onorare una divinità come tale. O peggio, si preoccupano di far sì che ciò che hanno raccontato in giro di loro stessi, spiritualmente ed esperienzialmente apparentemente rispecchi la verità. Apparentemente, ovviamente. Perché su internet, come dico sempre, sono tutti bravi. Per quello che ho potuto vedere e a volte sentire da altri, a volte la forza e l'intento del rituale passa in secondo piano di fronte alla sua soggettiva bellezza, o all'estetica dell'altare o al bisogno di assicurarsi che ci fosse una buona energia (il che poi è da capire cosa intendono con buona e cattiva energia) e che gli astanti l'abbiano percepita, che siano soddisfatti; come fossero clienti che devono tornare. Proprio così. I Sex Pistols dicevano: "che Dio salvi la regina, perché i turisti sono soldi e il nostro 'prestanomÈ non è esattamente ciò che sembra". E avevano ragione. La differenza è che loro stavano dipingendo la Regina Elisabetta come un fenomeno da baraccone che poteva attirare davvero i turisti. Ma se rendiamo il God Save the Queen, un canto dove la regina è la spiritualità nei riti svolti con il solo scopo di cercare di attrarre persone che se ne vadano soddisfatte, allora il paragone, anche se calzante, diventa agghiacciante.
Una delle centinaia di cose che ho imparato praticando è che ci può essere una dozzina di tecniche diverse, valide e funzionali, per tracciare un cerchio, ma che c'è solo un comun denominatore: essere convinti al cento per cento, senza alcun dubbio, di essere in grado di farlo; avere un intento forte, un motivo valido e nessun tentennamento. Se ci preoccupiamo che un rituale sia bello prima che funzionale il risultato è questo: God Save the Queen. Nonostante ciò, anche se posso non trovarmi d'accordo con questo punto di vista, preferisco non togliere la possibilità alle persone di fare quello che desiderino, che si sentano chiamate a fare e farlo nel modo che credono sia giusto e che magari funziona bene per loro. Magari il loro modo di onorare le divinità è diverso dal mio. E se ci penso bene io non onorerei mai un uomo crocifisso e sanguinante e non mi prostrerei al cospetto di un sacerdote come se fosse un dio egli stesso. Ma di contro io non sacrificherei nemmeno mio figlio sotto una quercia ad un dio orbo da un occhio o non sgozzerei degli animali per versarne il sangue a terra. Assunto questo, se una persona preferisce avere un altare che sembra le Ninfee di Monet il modo di onorare le divinità è sbagliato? Beh, non so voi, ma io non me la sento di rispondere no. Perché sarebbe come dire che mangiare il formaggio con le albicocche, anche se a mio palato è immangiabile ma a quello irlandese è ottimo, sia in qualche modo sbagliato. E loro potrebbero dire la stessa cosa del fatto che noi mangiamo i carciofi. Anzi, vi assicuro che lo dicono.
Sarà che l'Irlanda è l'Irlanda, insomma. Sarà che io non c'ero mai stato, sarà che, in qualche modo che non posso spiegare ora, tanti punti diversi, apparentemente lontani l'uno dall'altro, come quei disegni numerati della settimana enigmistica, dopo questo viaggio si sono uniti in uno schema comune, generale, come se avessi completato una parte centrale del mio puzzle; que sera, sera in qualche modo sono tornato cambiato e ho avuto la splendida, incredibile opportunità di poter capire qualcosa di più, e in modo più ampio, a dirla tutta. E non escludo che mi siano sfuggite decine di lezioni che per tutti voi sarebbero parse palesi, ma io ne ho colte alcune di cui faccio tuttora tesoro. Una di queste mi è arrivata ad Oweynagat, la caverna dei gatti, un santuario naturale legato al culto della Morrigan che si trova nel complesso di Rathcroghan nella contea di Roscommon.
Vedete, anche solo la zona di accesso alla caverna e il modo stesso in cui si deve entrare, oltre che la storia stessa che vi gira intorno sono suggestivi e ti mettono in una condizione mentale e psicofisica adatta a ricevere messaggi. In aggiunta a questo c'era il percorso, l'odore, il buio totale e le sacerdotesse stesse che ci hanno accompagnato giù, nonché l'energia stessa che si percepiva, si annusava, ti entrava dentro attraverso la pelle, i polmoni; tutto questo riusciva a farti sentire "tra i mondi" in un modo che nessun cerchio, anche se alcuni di quelli che ho fatto sono stati davvero estatici ed esperienzialmente sopra le righe, mi ha fatto mai sentire.
In quel contesto potevo decidere di vedere quella grotta come una piccolissima escursione speleologica o come un'iniziazione spirituale. Da strega e wiccan quale sono ho deciso di lasciare che il messaggio, qualsiasi fosse, trovasse terreno fertile per attecchire e potessi quindi lasciare che la magia di quel posto cambiasse, ancora una volta, la mia percezione di me, il mio essere più intimo.
Vedete, Lora, la sacerdotessa che ci ha accompagnati giù, prima di scendere ci ha chiesto di non lasciare nulla perché si tratta di un luogo archeologico oltre ad essere un luogo sacro e qualsiasi invasione esterna o moderna altererebbe la possibilità di studio. Quando penso alla ritualità, alla spiritualità e alla religione stessa, ora, penso a quella caverna; penso a me di fronte a quel buco oscuro e basso, a quelle rocce scivolose, a quell'architrave dove in ogham appare la scritta Fraech, figlio di Medb. E penso che infine potrei entrare mille volte dentro quel luogo ed uscire mille e una volta diverso da prima, ma nonostante ciò niente di quello che potrei vivere, sentire o vedere mi renderebbe più o meno spirituale o religiosamente impegnato, più wiccan, druido, sciamano, strega o più di quel cazzo che voglio sentirmi o più di come cazzo voglio definirmi di chiunque altro al mondo. E se applico questo contesto ad una tradizione, ad una religione, ad una via spirituale e ad un cammino magico ottengo lo stesso identico risultato. La religione e la spiritualità sono come entrare in quella caverna: vai fino a dove riesci, stai dentro quanto te la senti, ma soprattutto entri se lo desideri. Nel contesto religioso ciò che è nuovo ora, sarà antico domani, come Gesù era un uomo prima ed è diventato un dio dopo. Come Serapide era un uomo e poi un dio. Come Odino era un re e poi un dio. Come il Buddha era un uomo e poi è diventato un dio. Come Padre Pio è santo ora e sarà dio domani e come, magari fra migliaia di anni si potrà dubitare dell'effettiva esistenza di Hitler, Napoleone, Mao Tse Tung, Che Guevara, Gandhi e Maria Teresa di Calcutta. Può essere davvero l'antichità a fare autenticità? Se fosse così l'unica tradizione religiosa valida sarebbe quella paleolitica e tutto ciò che ne è derivato dopo sarebbe solo figli di figli e come Caino a Abele chi uccide sopravvive e porta avanti il suo punto di vista e chi soccombe scompare e viene dimenticato; basarci su ciò che ci rimane per accertarci di cosa è valido e cosa no significa basarci sulla forza dell'esercito e lo zelo di trascrizione delle diverse popolazioni e, come nel caso dei celti, spesso è grazie allo zelo degli invasori che si ha qualcosa su cui basare un culto. Ma se gli invasori stessi non avessero avuto l'ardire di trascrivere nulla? E se nell'incendio e nella distruzione nella Biblioteca di Alessandria fosse andato perduto un sapere millenario che spiegava di più ancora sull'origine delle tradizioni ma che è svanito per opera dei più forti? E se poter mettere le mani su quel sapere potesse cambiare la consapevolezza del presente, facendo rivedere tutto ciò ci rimane ora e su cui ricostruiamo antichi rituali? E se lo scoprissimo ora, mettendoci di fronte al fatto compiuto: aver svolto rituali antichi magari in latino senza sapere nemmeno come si pronuncia realmente quella lingua, e poi scoprire che è tutto diverso. Cosa faremmo allora? Ci baseremmo sul loro vissuto, trascritto in lingue perdute che dovremmo tradurre di nuovo e cercare di comprenderne il messaggio nel contesto in cui è stato messo per iscritto? E comunque non essere certi di nulla, come ancora adesso si litiga per decidere se Dioniso è cretese o tracio e se ha madre Semele, Demetra, Dione, Lete, Persefone oppure Io. Dioniso è meno dio della zoe, anche se non è certo di chi sia figlio? E in termini sociali, sapere per certo una verità, alla fine dei giorni, mi renderebbe un pagano migliore di chi decide di mettersi di fronte alla propria sacerdotessa, guardarla negli occhi e dirle: "Tu sei la Dea"? Io credo di no. Come credo che continuerò a mangiare carciofi e lascerò il formaggio alle albicocche agli irlandesi.
Lo scazzo filosofico non c'era bisogno di cercarlo in Irlanda, magari. Nel senso, in tutti questi anni da strega italiana ne ho viste di cotte e di crude: a partire da quelli che esprimevano il bisogno di essere wicca a tutti i costi; un fenomeno che si verificava in particolare prima del nuovo millennio, per poi sfociare nel bisogno di essere strega e non wiccan che ci fu fino alla metà del primo decennio del nuovo millennio. Un bisogno che poi mutò quando si affermava di essere neopagani ma non streghe. Ma durò poco perché poi sentii persone definirsi wiccan non neopagani e anche wiccan ma non streghe. O quella che preferisco: streghe wiccan non neopagane. La gara per un certo periodo era far parte di qualcosa. Poi divenne invece quella di inventarsi qualcosa di nuovo di cui essere unico capostipite e partecipante: sacri ordini misterici con nomi di strani animali e tutto il resto. Potremmo giudicare tutto questo una immensa stronzata e nessuno ce lo impedisce, ma vorrei ricordare sempre che sono i numeri che da che mondo e mondo fanno le tradizioni. Che fosse un'enorme stronzata immagino lo pensassero anche i romani del secondo secolo nei riguardi di una certa setta di ebrei riformatori che si facevano chiamare "Cristani" quando li vedevano reclutare fedeli tra la povera gente e tra gli insoddisfatti del paganesimo imperiale. Se ho studiato bene ricordo che giudicandoli sulla base delle continue lotte intestine che li interessavano nessun filosofo sano di mente diede loro più di un decennio di vita come religione. La storia ha forse dato loro ragione? Ed è meglio che non ci mettiamo a guardare il sincretismo del loro mito, del loro culto, perché sappiamo bene dove andiamo a parare. Ma sono milioni di fedeli al mondo. E fanno la differenza. Nessuno può dir loro che il loro mito è sbagliato, perché di fatto per loro va bene. E per loro funziona.
A tal proposito mi domando quindi cosa mi renderebbe un pagano doc, dato che anche se avessi un libro che mi descrive esattamente, per filo e per segno, in ogni minimo particolare, ciò che devo fare per onorare gli dei, io comunque nel 2013 non potrei seguirlo alla lettera senza incorrere in reati contro la persona, gli animali, senza usare sostanze illegali. Se decidessi ad esempio di reistituire i misteri eleusini, di cui di base sappiamo parecchio anche se non tutto, tra le altre cose dovrei gettarmi in mare con un maialino sotto il braccio, dovrei ucciderlo in onore agli dei, dovrei svolgere una processione partendo da Atene con una fiaccola, una spiga, una scatola, un ramo di vischio, un melograno e un porcellino, poi scendere in un tempio sotterraneo che è un sito archeologico semidistrutto e lì ricostruire una rivisitazione della discesa di Persefone negli inferi facendo uso di stostanze psicotrope. Se ciò non è possibile allora significa che il mio modo di onorare gli dei deve cambiare ed è cambiato. Non è necessario che io onori gli dei ogni singolo giorno, come se fosse l'unica ragione della mia vita. E se non lo faccio non significa che sono un pessimo neopagano.
Io so una cosa: io amo gli dei e faccio per loro e per il loro culto tutto ciò che è in mio potere fare, nelle mie possibilità e nei canoni del mio gusto. Quando giungerà il momento, se riterranno che li ho serviti in modo inadeguato mi prenderò le mie responsabilità, ma non credo che la base di ciò che facciamo per gli dei o per noi stessi sia quantificabile sul tempo che dedichiamo al culto, agli onori, ai rituali e al modo in cui lo facciamo, bensì allo spirito che ci mettiamo nel farlo. A capire quanto per me è importante ed agire in coerenza con me stesso e con ciò che pretendo di ricevere dall'onorarli in termini di crescita e saggezza. Se per onorare gli dei fossi costretto a dover passare meno tempo con le persone che amo, ad essere meno presente come padre, come amico e come uomo, a non avere possibilità di vivere la mia vita come sento di voler fare, tra gioie e dolori e crescita solo perché in questo modo ho l'opportunità di confrontarmi con chi, a mio avviso e a mio confronto, fa di meno per gli dei e sentirmi in questo modo più in pace e più neopagano e poterlo così guardare dall'alto al basso, io non la sentirei come una crescita, la sentirei anzi come una perdita; una perdita irreparabile. Certo, forse sarei più coinvolto, più forte spiritualmente e pubblicamente, più rispettato, se vogliamo e se mi interessasse, ma questo mi renderebbe di sicuro meno umano e mi dannatamente più irraggiungibile e di conseguenza più solo di quanto non sia ora, perché tutti gli altri esseri umani vivrebbero la loro vita di tutti i giorni, quella che io considererei un tempo sprecato.
Come diceva una cara amica: Gandhi predicava la non violenza, ma tutta la rabbia repressa se la sorbiva la moglie a casa. E vaglielo a dire a quelli che lo vedono come l'immagine del progresso dell'umanità in senso lato e spirituale. Forse un sacco di gente pensa che essere neopagani sia dover essere coinvolti socialmente e attivamente, dover fare rituali mattina e sera, essere al cento per cento streghe. Dal mio punto di vista è anche questo. Lo è se desideriamo che sia così. Lo è, in parte e sotto un punto di vista accademico, se decidiamo che siamo in grado di insegnare ad altri. Insegnare senza avere delle basi solide su ciò che pensiamo di voler insegnare è un'assurdità. Ma una cosa è certa: non esiste alcun essere umano che può ergersi a giudicare se io sono o non sono un neopagano, un wiccan, o quello che mi sento di essere, o se la mia ritualità è qualcosa di sacro o meno, se il mio modo di onorare gli dei sia giusto o sbagliato e se la mia tradizione, che magari non esiste perché semplicemente ho cambiato nella ritualità ciò che non mi piaceva adattandolo al mio sentire e poi altri hanno seguito ed applicato, è valida o meno ai fini spirituali e religiosi. Anche perché molte tradizioni attuali hanno fatto lo stesso con quelle più antiche. Ebrei e pagani potrebbero incolpare i cristiani di aver preso dal loro culto. Ma anche gli ebrei hanno preso da mesopotami, come anche i mussulmani. E i romani lo hanno fatto con i greci, gli egizi, i fenici, gli etruschi e come loro gli joni, i dori, gli elleni, i traci, i cretesi, i frigi, i beoti, gli achei, gli argivi e chi più ne ha più ne metta hanno portato culti o subito cambiamenti e distorto quelli presenti con le invasioni nella penisola baltica. E il mito, la religione, il modo di onorare gli dei nonché gli dei stessi sono cambiati. Le divinità tra loro si sono smembrate, violentate, incenerite, bandite, divorate, evirate, sventrate, decapitate, esiliate, mutilate, sepolte e tutto questo portava con sé solo il segno di nuovi miti e nuovi dei che travolgevano quelli precedenti, a volte coesistendo, a volte soppiantandosi. A noi arriva solo un nulla di tutto ciò. Il tempo si stratifica e crea nuovi sincretismi e il concetto non è diverso da quello dell'epoca. Quello che rimane sempre saldo, ed è così per qualsiasi seguace di una qualsiasi religione, è la percezione, la vicinanza, il senso di comunanza, il rispetto e la gratitudine che proviamo nell'onorare le nostre divinità.
Se così non fosse sarebbe come dire che solo chi è andato a scuola di ballo può permettersi di ballare nel proprio soggiorno con la persona che ama o solo chi ha studiato canto può permettersi di cantare sotto la doccia o solo chi ha scritto sonetti può sapere cosa sia l'amore.