The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Mabon 2012

Mabon 2012

Ne abbiamo attraversate di tempeste, e quante prove antiche e dure ed un aiuto chiaro da un'invisibile carezza di un custode. Degna è la vita di colui che è sveglio, ma ancor di più di chi diventa saggio e alla Sua gioia poi si ricongiunge. Sia Lode, Lode all'Inviolato. E quanti personaggi inutili ho indossato io, e la mia persona quanti ne ha subiti. Arido è l'inferno, sterile la sua via. Quanti miracoli, disegni e ispirazioni... E poi la sofferenza che ti rende cieco, nelle cadute c'è il perché della Sua Assenza. Le nuvole non possono annientare il Sole e lo sapeva bene Paganini che il diavolo è mancino e subdolo e suona il violino.

A volte vorrei parlare con te faccia a faccia. Questo evento me lo sono immaginato in mille modi, ma ora lo vedo circa così: un patio che si apre su una vigna, a fine estate, e tutto intorno le viti cariche di grappoli e il sole che scende a gonfiarne gli acini col suo colore ambrato. Mi immagino le lampade schermabili con le fiamme tremolanti dei tealight e il leggero ronzio delle prime zanzare che vengono attratte dalla luce. Dentro me sentirei la concezione della fine dell'estate e con lei la fine di qualcosa che è destino che finisca ma senza provare alcuna paura, solo consapevolezza e accettazione. Vorrei potermi sedere su una sedia comoda, magari di vimini, di quelle dove posso mezzo sdraiarmi senza dover per forza cambiare posizione spesso e vorrei invitare anche te a prendere posto. Tra noi vorrei avere un tavolino tondo, con una bella tovaglietta bianca da lisciare con la mano quando e nel caso l'imbarazzo di non riuscire a guardarsi negli occhi o la visione mentale di alcune cose ci potrebbe cogliere, e al centro del tavolo una bottiglia di vino rosso frizzante fra due calici trasparenti. Sai, magari vorrei anche due o tre fette di pane bianco con della salsa al tarfufo nero, così che si ammorbidisca il sapore del rosso. Vorrei essere il primo a sedermi, così che tu ti possa sentire tranquilla nel fatto che l'invito parte da me. Poi verserei del vino, gentilmente, con dose, senza esagerare. Non ti vorrei ubriaca o disinibita, quanto meno non questa volta, solo sensibilmente attenta. Te lo servirei stando bene attento a che qualche goccia sbarazzina non vada a macchiare quella bella tovaglietta bianca. Mia madre, sai, quando si versava il vino a tavola ne intingeva sempre due dita frettolosamente e se lo metteva dietro i lobi, come se fosse profumo. Si dice che porti denaro. E non è che sia mai funzionato alla grande, ma la ricchezza di altro tipo in casa non è mai mancata, quindi mi cucio la bocca e trattengo il commento. Se dovessi rovesciare dello spirito lo farò anche io e che sia benedetto lo ctonio Signore del vino e delle danze.
Dopo che ti sarai messa comoda potrei decidere se andare subito al punto oppure semplicemente fare un po' un giro per vedere cosa ci possiamo raccontare. Hai mai fatto caso che quando l'estate sta finendo porta con sé sempre quella siringata di malinconia che rende difficile il comprendere delle cose che passano? O forse un tempo credevo che fosse così. In realtà col rilanciare dei giri di ruota ho capito che è il semplice pregustare qualcosa che conosci già e che porta con sé il sapore acre e dolciastro di alcune sensazioni. E alcune cose sono semplicemente così: fanno male perché noi le sentiamo così. Ma non portano con loro il rancore; non più di quanto lo farebbe l'ortica o il cardo se camminando nudi ci finissimo nel mezzo. E per quanto potrebbe sembrare così, in alcuni punti, dentro me c'è solo passione in quello che sto per dirti. Passione per quei tuoi, come mi erano stati dedicati da chi amo, "orizzonti impossibili". Passione nell'incomprensione e nel dolore che porta con sé. Ma non rabbia.
Come amo i tramonti, ti direi. Oh sì che li amo. Ogni volta che vedo un tramonto tutto mi sembra così piccolo, assurdo, senza senso. Il non capirsi soprattutto. Non passiamo forse la nostra intera vita a cercare di non capirci? Come direbbe Rhett Butler a Rossella O'Hara: "Abbiamo fatto di tutto per non capirci". Che piccole pillole di saggezza. E pensare che con tutte le persone, uomini o donne che fossero, con le quali ho parlato nella mia vita, tirando le somme dei loro pensieri sono sempre giunto ad una sola, unica conclusione: da che mondo e mondo desideriamo e amiamo gli stessi semplici eppur così impossibili orizzonti; le stesse identiche cose. Solo le esponiamo in modo diverso. Solo le vediamo, concepiamo, traduciamo, le metabolizziamo in modo diverso. In modo così diverso che talvolta sembra che tutto sia così intraducibile tra noi. Non credi anche tu che la follia reale e la condanna stessa del sentimento e dell'emozione sia la sua individualità? Questa incondivisione di ciò che si sente, se non per via esclusiva dell'espressione attraverso metafore e parole, nel suo renderci unici nel nostro genere, ci rende anche inconsapevoli e soli. Soli nel nostro essere costretti a dover attendere un gesto da qualcuno e far sì che le aspettative di chi si aspetta un gesto da noi non siano deluse e inconsapevoli perché crediamo sempre che ogni singola emozione che proviamo in qualche modo sia per noi unica nel genere umano. E in parte è così.
Ogni donna, da che mondo e mondo, nella traduzione e sintesi delle migliaia di cose che desidera, vuole con tutta se stessa solo due cose: desidera essere amata per ciò che è e desidera essere lasciata libera di scegliere per la propria vita. Ora, anche sapendo questo, la via di comunicazione non è mai scevra di difficoltà oggettive, se non fosse per questa enorme differenza: nella maggioranza dei casi se chiedessi ad una donna quali sono i suoi programmi nella vita, con un certo margine potrebbe essere in grado di esplicare la pianificazione che si è creata nella mente sin da quando era bambina fino a quando morirà e lotta ogni giorno, ogni ora, per realizzarla; in dosi diverse a seconda del suo carattere. Poi la maggior parte della pianificazione stessa non è magari stata applicata consentendo a quella piccola cosa chiamata "imprevisto" di far capolino, o magari non è stata calcolata nemmeno la condizione di instabilità dovuta all'accezione del sentimento che, come marea, quando sale non ha alcuna remora a portare con sé stelle marine, conchiglie, levigare sassi e depositare alghe. Ma in lina di massima, con alcune eccezioni oggettive non dovute al soggetto ma al contesto, una donna sa cosa vuole dalla propria vita, anche solo basandosi su ciò che NON vuole.
Diverso il discorso per quanto riguarda noi uomini. Come diceva Big Kahuna: "Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita. Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno". Peccato che questa cosa poi sfoci in un aspetto terribile che viene fuori quando abbiamo a che fare con voi e che è la paura di diventare grandi, di maturare, di prendersi delle responsabilità. Vorrei potermi davvero giustificare ma, facendo parte anche di me, e riconoscendolo... beh, non riesco proprio. Ok, uno a zero. Toccato, molto onestamente toccato!
Forse sai, mi piacerebbe dirti che so perché sei così arrabbiata. Ed è una rabbia questa che va avanti da generazioni e generazioni. La ritroverei nelle radici stesse di Yggdrasil, fino in fondo, là in quel luoghi impervi e lontani che non potremmo districare nemmeno usando della dinamite. È una rabbia che sa di narciso e di melograno. E io non mentirei dicendoti questo. Non vorrei che suonasse arrogante ma... Io davvero lo conosco il perché. Ma dirtelo sarebbe come se cercassi di nutrire una madre con il sangue dei propri figli. È che talvolta, vedi, mi piacerebbe tanto poter appiattire, smettere di parlare entrambi e ascoltare soltanto. Ma non ci è possibile. Non è concepibile pensare che anche ogni uomo, per quanto in maniera estremamente determinata dall'infantilità che ci contraddistingue, dal modo quindi in cui ci hanno cresciuto, desidera solo due cose: essere amato per ciò che è ed essere lasciato libero di scegliere? E invece è così. Invece è proprio così.
La difficoltà è identica. Se io mi specchio nel tuo stesso specchio non vedrò la stessa cosa. Ma ciò non significa che l'immagine che mi rimandi non mi faccia male. Se io, in determinati momenti della mia crescita non tocco certi rituali, certi punti, certe fasi, un certo vissuto, io non sono un uomo. Ci devo passare, per farne esperienza e capire chi desidero essere, come tu devi passare dal ciclo mestruale. Questa cosa ferisce te come ferisce me. Questa cosa è una parte della mancanza di scelta che abbiamo entrambi. Io devo imparare a fare a pugni, saper sputare più distante di chiunque altro, disprezzare alcune attitudini e non solo provarne disinteresse (o in alcuni momenti far finta che sia così), da bambini prendere parte a giochi che non mi interessano, fare della dimostrazione di forza un costume e cazzo, cercare di essere parte di un gruppo. Lo riconosci? Anche tu ne hai bisogno, anche se in modo diverso; hai bisogno di essere accettata, di sentirti apprezzata, di avere delle possibilità. Se odio alcune cose e se non cerco di far parte di quel gruppo o se trovo stupido farlo la pena è l'ostracismo, l'esilio. Si cresce così. E dopo i primi occhi neri la lezione la impari subito. Io non ho scelta perché devo avere a che fare con queste cose sin da subito, come non hai scelta tu che devi avere a che fare con me e con le cose che faranno parte del tuo cammino sin da subito. Quindi come tu vorresti essere lasciata libera di scegliere della tua vita, anche io lo vorrei. Semplicemente quello che vedo e il modo in cui vengo cresciuto, in qualche modo, sta solo scrivendo dentro il mio cuore lunghi papiri. E io ci devo fare i conti tutti i giorni perché diventa il mio dizionario. A volte vorrei non averlo scritto dentro e mi piacerebbe sapere esattamente chi incolpare per questo, ma da chi vado, dai miei genitori? E loro da chi dovrebbero andare, dai loro genitori? O magari potrei andare a bussare alla porta di casa dei miei esempi di vita? Rockstar, calciatori, attori, opinionisti... Avere la fortuna di conoscerne alcuni nel loro essere se stessi ha esplicato per me quello che il santo Giuda nero disse a Gesù Cristo in quel capolavoro di Broadway che è il Jesus Christ Superstar: "Se strappi via il mito dall'uomo vedrai dove presto finiremo". Sì. Dietro c'è sempre un oceano di fragilità, di bisogno di conferma, di umanità celata, di delusione. Quindi anche loro dovrebbero rivolgersi a chi li ha cresciuti? Così facendo si ritorna a tempi antichi dove in un modo o nell'altro ciò che è ingiusto cambia modo di essere e di essere visto e diventa giusto. L'assoluto, come ben sappiamo, non è concezione umana. Tutto è dannatamente relativo. Tutto.
Io ti guardo, sai, e vedo tanta rabbia dentro. La sento. Non è che ci voglia poi molto per capirlo, eh... ma conosco personaggi che proprio non ci arrivano. Tu la scarichi addosso a me perché vorresti che io fossi qualcosa che per te rispecchia quel sogno di realizzazione che qualche rinascimentale drammaturgo in calzamaglia ha messo in giro essere il massimo dell'accezione dell'amore reciproco. Oltre a questo vedo la rabbia che provi per tuo papà, la rabbia che provi per i tuoi ex, quella per i tuoi compagni di classe, per gli eventuali fratelli, per i colleghi, i capi del lavoro, per tutta una massa innumerevole di maschi di tutte le età e le nazionalità che non sono stati gentili e rispettosi con te. Totali sconosciuti l'uno all'altro. E se li mettessi tutti assieme in una stanza a parlarsi non troverebbero altro senso comune del motivo per cui sono lì se non che... sono tutti maschi. E tutte queste cose le hai dietro gli occhi, chetate, ma solo apparentemente. In realtà sono come leonesse accucciate dietro alte frasche, con gli occhi famelici e pronti, le fauci colanti pronte ad azzannare. Sei pronta a scagliarmele addosso, senza remore. E questo perché le hai accumulate. Hai impilato delusioni, forme pensiero, speranze infrante e le hai messe tutte lì, in un posto soltanto. E ogni volta che parliamo, io le vedo lì, dietro i tuoi occhi, una sopra l'altra, come una massa informe di vestiti sporchi che nascondi nell'armadio e mentre mi parli, per quanto sorridi, io ti vedo lottare per tenerne chiuse le ante. A volte mi basta un singolo, unico passo falso, una battuta non azzeccata e l'anta di quell'armadio si apre e ne vedo uno scorcio, ne sento l'odore nauseabondo investirmi le narici e ad un tratto, nella consapevolezza che mi sono in qualche modo costruito negli anni riesci a farmi sentire colpevole di ogni singolo gesto, di ogni singola difficoltà, di ogni singolo torto che qualche estraneo ti ha perpetrato esattamente come se fossi stato io. Anche se io non so nemmeno che cazzo di faccia abbia o con quale nome o epiteto si faccia chiamare o cosa, in particolare, possa averti fatto o detto per farti sentire ferita.
Io non so se posso aiutarti a guarire. Non lo so. Ma sono sicuro di una cosa: in qualche modo è come se fossi senza mani prima ancora di riuscire a sfiorarti e a causa di tutto questo io devo ricominciare sempre da più in basso per risalire la tua montagna, per conquistare la tua vetta, per farti capire che in qualche modo puoi fidarti di me, nella misura in cui io posso fidarmi di te. E se dovessi precipitare nella salita, se dovessi tradire le tue aspettative, quello dopo di me, se ci sarà, avrà da affrontare una salita ancora più ripida a causa del mio fallimento.
È così che funziona. Ma c'è una cosa che desidero chiederti. Credi forse che non abbia anche io un luogo dove metto le mie delusioni, le mie speranze infrante, i miei torti, le mie difficoltà? Non credi che possa avere anche io una montagna ripida fatta con tutto ciò che a me è stato fatto e che come io devo camminare su un campo minato e poi affrontare la tua montagna, tu dovresti affrontare la mia? Sei ferita. Tuo padre, tuo nonno, tuo fratello, i tuoi amici, i colleghi, gli insegnanti, gli sconosciuti su FB, gli opinionisti, migliaia di film, il costume del mondo dove viviamo, il dizionario stesso scritto tutto al maschile, la bibbia, la religione, il patriarcato, il maschilismo che ha portato all'assurda concezione della famiglia anni cinquanta da cui non siamo ancora totalmente liberi, il passato della nostra nazione che ha creato il tessuto stesso della nostra società, io stesso con i miei difetti e le mie ombre, tutti noi ti abbiamo fatta sentire ferita. In tutti questi secoli abbiamo parlato con te tenendo in mano una spada e considerandoti un fodero e hai dovuto lottare facendo quadrupla fatica perché ciò che potessi avere da dire, pensare o fare potesse essere preso in considerazione. Lo riconosco che è così. Ma ogni uomo è figlio di una donna. E il primo amore di ogni uomo è la propria madre. Se mi comporto male e non ti rispetto, che gli dei mi siano testimoni, è giusto che io paga. Senza di te, io non sono niente. Senza te la mia vita non ha alcun significato. Senza te io non esisterei. Senza te io non proietterei alcuna ombra. Ma anche tu vivi in funzione di me. Anche la tua vita ha significato grazie a me. La nostra felicità, il nostro equilibrio è come due mani che si uniscono: dita alternate tra sinistra e destra. Rimangono due mani ma, unite, sono anche qualcosa di diverso. Se questa grandezza che siamo è scala di grigio tra luce e ombra, perché la magia si crei, perché qualcosa abbia senso di esistere sarebbe utile se ti trattassi come dovrei trattare ogni singola femmina che mi ha fatto male nella vita solo perché appartenete allo stesso sesso? Come potremmo dialogare, capirci, amarci, trovare assieme un modo per comprendere la vita e costruire insieme se vivessimo ognuno sulle esperienze passate, negative o positive che siano, senza riuscire ad andare avanti ma accumulandone la rabbia, il dispiacere, la delusione e incolpandoci di gesti che altri hanno compiuto, ritenendoci responsabili l'un l'altra di crimini che non abbiamo commesso? Sembra assurdo? Eppure il problema nasce da questo.
Da millenni ogni uomo cresce con un preciso dogma: essere il migliore. Per il secondo non c'è posto. Se non sei il migliore non avrai un ruolo nella vita. È la precisa regola del maschio e della femmina alpha. Il migliore si accoppia, il secondo rimane sottomesso. E non raccontiamoci stronzate, funziona così in natura e non è vero che per tutti c'è qualcuno. Il mondo è pieno di donne e uomini soli che darebbero qualsiasi cosa per avere qualcuno da amare, per avere una possibilità di essere completi, di realizzare le proprie aspettative, di seminare fiori, di avere qualcuno che dia senso al loro esistere, qualcuno di cui imparare a fidarsi e costruire un futuro, mettere al mondo dei figli. Magari in gioventù siamo incapaci di vedere oltre i nostri assoluti, ma quando gli anni ci si accumulano addosso come sacchi di farina e la relatività delle nostre azioni, portataci dall'esperienza e dalla saggezza ci rende capaci di essere più obbiettivi (o forse solo più malinconici), ecco che il carattere ci fa mettere in ordine delle cose. Allora entriamo nella fase di guardare ciò che non abbiamo avuto modo di fare e ciò che abbiamo fatto, rivediamo le nostre scelte, e alcuni di quegli assoluti ci appaiono così assurdamente spigolosi e alcune delle assurdità che abbiamo fatto in nome di principi morali disallineati con ciò che vorremmo ci rammaricano di più.
Ora, riflettiamo in seno al modo in cui veniamo cresciuti noi uomini da bambini. Dobbiamo essere i migliori. Una legge biologica maschile, non un costume sociale. Troviamo la risposta nelle doppie eliche del nostro DNA: dobbiamo vincere i pretendenti per poter diffondere il nostro gene. I nostri spermatozoi, fino a prova contraria incapaci di ragionare, funzionano su questo stesso principio: oltre il novanta percento di quelli che spargiamo hanno la sola funzione di uccidere eventuali spermatozoi di altri partner. Ecco che, forse, ti rendi subito conto che la difficoltà diventa oggettiva. Le scelte in base sono due. E spesso non puoi scegliere davvero, perché sei così e basta. Puoi essere quello forte o quello sensibile. Come domandava il piccolo Calogero al gangster Sonnie in Bronx: "È meglio essere amati o incutere paura?". Se sei un duro sei odiato, temuto e ammirato dagli altri maschi e nel novanta per cento dei casi hai delle occasioni migliori, ma l'ammirazione che provano per te è direttamente proporzionale al timore che incuti loro, per quanto possa durare. Se sei sensibile le tue difficoltà saranno esponenziali fino a quando non avrai l'occasione di dimostrare di valere qualcosa, magari in modo diverso. Nel mezzo esiste quel limbo di chi non è né carne né pesce e segue solamente la corrente o vive all'ombra di chi incarna il proprio ideale irrealizzabile. Spesso la rivincita la si prende con la maturità, quando la vita rimette in equilibrio alcune cose e quando avere muscoli e poco cervello smette di pagare. Ma i primi anni saranno durissimi e purtroppo sono quelli in cui si forma il carattere. Le ferite rimarranno lì. Ma sotto a quella dimostrazione di forza, dietro le spalle di quei gesti, c'è sempre quel bisogno di mostrare qualcosa che serve ancora come una conferma. E questo solo perché nel corso di tutti questi anni in cui abbiamo preso ciò che volevamo perché ci siamo creduti ed autoeletti il sesso forte, abbiamo perduto per strada l'unica cosa che valeva davvero la pena tenere stretta a noi: il coraggio, in tutti i sensi che si possa intendere. Abbiamo smesso di avere coraggio di essere ciò che siamo, o meglio, ciò che crediamo o diciamo di essere. E lo so, mi guardi con quel sopracciglio alzato, è quello che in fin dei conti cercate dentro di noi e non trovandolo vi fa sentire sole e abbandonate in un mondo di uomini, come dice Etta James: "che non è niente senza una donna o una ragazza".
Eppure noi, quando siamo troppo piccoli per vivere senza sicurezze, esattamente come voi, veniamo guidati in un vivere privo di responsabilità, dove le madri, incazzate con ogni forma di maschile, desiderano soltanto che i figli non diventino uomini, così che non debbano rendere incazzate altre donne e così non fanno altro che peggiorare le cose, togliendo loro la possibilità di avere un reale coraggio e una responsabilità reali; qualcosa che poi si cerca senza trovarla. E i padri cosa fanno con le loro figlie? Esattamente lo stesso. Non vogliono che nessun uomo le conosca, perché nessuno sarà mai perfetto e perché sanno, dentro, che il destino cui spesso rischiano di andare incontro sarà la ricerca infruttuosa di qualcosa che le renda forti di ciò che sono, nella costante ricerca di una realizzazione intellettuale e spirituale di qualcosa che, in realtà, forse, non c'è mai stata. E non perché non ne hanno le possibilità, ma perché devono lottare contro chimere due volte più enormi di quelle contro cui dobbiamo lottare noi. E così vorrebbero, anche loro, che le loro figlie rimanessero sempre sotto la loro ala protettiva e che non spiccassero mai il volo. È un mondo crudele là fuori. E loro lo sanno bene.
La differenza dove sta? Che un uomo cresciuto attaccato alle gonne di sua madre corre il rischio di diventare una vittima o una mammoletta. Una donna cresciuta attaccata a suo padre corre il rischio di diventare un'assassina o una guerriera (in senso metafisico ovviamente). La redenzione la troviamo sempre nell'altro sesso, o quanto meno la possiamo trovare se sappiamo vederla. O troviamo una donna o un uomo che è lo specchio di nostra madre o nostro padre oppure spezziamo lo schema e troviamo il completamento di noi stessi. Ma questo richiede una cerca, un percorso, una difficoltà. Richiede il saper strappare tutte le erbe del nostro giardino e piantare nuovi semi. Solo una donna rende e riesce a far sentire davvero uomo un uomo. E solo un uomo rende e riesce a far sentire davvero donna una donna. Riusciamo a farci sentire tali solo costruendo assieme, avendo quindi esperienza l'uno dell'altra. Ovviamente nell'accezione del contesto luce/ombra, animus/anima e non in quello della preferenza sessuale.
Ma adesso guardami, ti prego. Lo so che il tramonto è meraviglioso e ti prometto che presto appariranno le prime lucciole, ma seguimi e guardati dentro, e poi dimmi se non ho ragione. Prendi un altro bicchiere di vino prima di rispondere. Bevi, ubriacati e dimmi che spesso nel tuo odio smisurato per ciò che sono diventato nei secoli non stai cercando in tutti i modi di essere come me. E trova anche il coraggio di dirmi che non sei sulla buona strada per riuscirci. Che cosa stai facendo? Non stai forse riconoscendo quali sono le mie debolezze e le mie crudeltà, centrando perfettamente il segno e detestandole al punto da arrivare a desiderare di non avere nessun uomo con cui condividere l'umanità? Non stai forse, riconosciute queste debolezze e crudeltà, lottando per cercare di combattere contro di me usando le mie stesse armi e trasformandoti esattamente in ciò che giuri ogni giorno di odiare con tutta te stessa?
Se ho fatto un lavoro di merda finora e non c'è nessuno sano di mente che potrebbe dirti che non abbiamo perso la via dell'equilibrio, sei assolutamente certa che la responsabilità sia totalmente mia? Al 100%? Guardati in giro: le aspirazioni delle quattordicenni sono quelle di ballare mezze nude in TV per essere desiderate da tutti gli uomini e da tutte le donne che le guardano. Gli uomini desiderano il loro corpo, ma le donne desiderano il loro potere. Non è questo il gioco che dà ancora più potere a ciò che di più bieco e inutile, stupido e degradante ci possa essere? Avanti, guardami in faccia, e dimmi che il potere che tanto desideri e che pensi, a ragione, che io non sia stato in grado di controllare da solo, tu, nello stato attuale delle cose, saresti in grado di controllarlo meglio da sola e con giustizia e armonia. Dimmi che non ti prenderesti una rivincita spietata, diventando da vittima a carnefice. Una rivincita che ti meriteresti, ma che ti renderebbe esattamente ciò che dici di non essere. Una volta mi dicesti che non te ne fregava un cazzo del divano perché era solo un oggetto e io ti amai per quella frase. Poi l'oggetto divenne il fulcro del potere e ci si graffiò e ci si morsicò per quella stessa piccola inutile cosa. E ti ho vista mentre mostravi quell'anello alle tue amiche cercando di indurre dentro loro il desiderio e quella frase che hai detto: "Gli ho detto di sì solo dopo che mi ha regalato il diamante". E ti ho vista desiderare il potere e l'oggetto il cui possesso lo rappresentava come una salamadra desidera l'acqua, pronta a sacrificare qualsiasi persona che fosse sul tuo cammino purché ti venisse riconosciuto il fatto che tu avevi quel potere. Ti ho vista fare a pezzi la tua umanità, degradarti nella menzogna e nella disconoscenza, tradire senza remore chi ti era vicino e che ti ha dato amore incondizionato e cercare giustificazione in questa cosa incolpando gli altri e storpiando la verità. Ti ho vista schiacciare sotto di te i tuoi sottoposti, umiliarli, innalzarti sopra le loro teste mozzate come una regina imbrattata del sangue dei suoi figli. Ti ho vista vendere te stessa e le persone che ti hanno stimata, amata e farlo solo perché la seduzione del potere era stata troppo forte per te, perché dovevi dimostrare alle stesse appartenenti del tuo sesso che tu potevi avere ciò che loro desideravano. Ti ho vista spazzare via la concorrenza in maniera sleale, gambizzare gli avversari, accoltellarli alle spalle, giocare sulle loro debolezze. Ti ho sentita raccontare le confidenze che altre persone ti hanno fatto in momenti di debolezza o intimità solo perché in quel dato caso e istante ti era comodo farlo o solo per beneficio di pettegolezzo e perché ti dava potere dimostrare che tu sapevi cose che loro non sapevano e non fare nemmeno differenza del fatto che fossero donne o uomini. Ti ho vista allearti con le persone che più odiavi e alle quali in condizioni normali non avresti lasciato pulire il culo del tuo cane perché in quel momento ti conveniva, ti ho vista ridere e scherzare con coloro che ti hanno tradita e alle quali hai giurato vendetta feroce solo perché in quel momento avevate un nemico comune da odiare di più entrambe. Ti ho vista sacrificare i deboli, voltare le spalle a creature innocenti, abbandonare i tuoi figli e le tue figlie, farli sentire come disadattati e non desiderati per qualche colpa che loro non potevano avere e lasciarli a chiamare il tuo affetto amandoti comunque in modo incondizionato, in attesa per tutta la vita di un tuo singolo, piccolissimo gesto di stima, di una singola parola che potesse dimostrare che eri fiera, orgogliosa e contenta di loro, una dimostrazione che tu li amavi quanto loro amavano te o una sola risposta, un motivo che giustificasse il tuo comportamento nei loro confronti. Ti ho vista non mostrare alcuna pietà davanti ai dolori altrui, sputare sul sentimento che qualcuno provava per te o gettarlo via come se fosse un giocattolo vecchio, disconoscere il significato del perdono per gli errori di chi ti amava ma lasciare che sconosciuti ti trattassero come una nullità per il bisogno di sentirti desiderata. Queste cose, tutte queste cose, le ho viste con questi miei stessi occhi, le ho sentite con queste orecchie, le ho vissute sulla mia stessa pelle.
E tutto questo l'ho visto fare nello stesso, identico modo, da uomini; usando gli stessi metodi, e adducendo alle stesse identiche motivazioni, con lo stesso spirito inattaccabile; in modo indifferente. Quando il potere dà alla testa, quando crediamo di essere in grado di amministrare la vita e la morte, sia in senso metafisico che spirituale che propriamente tale, come se fossero i soldi del Monopoli, allora non c'è alcuna differenza. Nel piccolo come nel grande nessuno è al sicuro.
Ecco perché mi chiedo dove sia finita la passione e la bellezza del sapere che non c'è niente di più grande dell'essere se stessi, liberi di esserlo. Contigui cuore a cuore sapendo che io posso essere la tua colonna e tu la mia e che non mi importa di sapere di cosa ci circonda perché assieme teniamo su questo soffitto.
Io sono un codardo. Lo sono. Lo siamo tutti, in quanto uomini, chi più e chi meno. Forse mi rende meno codardo il riconoscere che sono cresciuto in un mondo dove il coraggio non ha più il valore che aveva prima e che, in qualche modo, non ho scelto questa situazione. Forse no, forse sì. Io in questa vita sono cresciuto in un mondo dove si dice ai bambini che piangere è da deboli e che a piangere sono solo le femmine, mettendo in chiaro in modo sottinteso con un'equazione semplicissima che le bambine sono deboli e che dobbiamo assomigliare a loro il meno possibile. Ci viene quindi messo in chiaro che la forza e la durezza d'animo devono essere due punti fermi ma non ci viene spiegato mai in cosa consiste questa forza, su che fondamenta trova la sua realizzazione e ci sentiamo in colpa quando abbiamo bisogno di piangere, al punto che la mancanza di lacrime a lungo inaridisce il cuore. E questa presunta forza la conosciamo solo come dato di fatto. E così, privi di pareti, dobbiamo imparare che cosa significa appendere dei quadri. E se non basta questo, cresciamo guardando una TV dove gli uomini sono d'acciaio, dove i proiettili non finiscono mai, dove le donne vengono idealizzate secondo un canone di bellezza immortale che non rispecchia la realtà, intoccabili e decisamente troppo spesso senza cervello e non fanno altro che ricalcare l'icona delle fanciulle che non fanno altro che attendere l'arrivo del principe azzurro o che si prestano ad essere oggetti. E questa cosa ha condizionato me come ha condizionato te. Ha piegato i nostri ideali allontanandoli dalla realtà. Io ho dimenticato il significato del coraggio, tu hai perduto di vista il significato della tua femminilità nel reale senso che ha. Entrambi siamo responsabili di questo. Incolparci l'un l'altra è quello che abbiamo fatto finora. E converrai con me che non è servito.
Sai, ho imparato una cosa sacrosanta in tutti questi anni. E Siddharta me l'ha insegnata, per quanto io non sia buddhista. Nel libro di Hesse, un giorno durante i sei anni che il maestro passa con gli asceti a dominare il corpo, mentre è assorto in meditazione sulla riva di un fiume, sente giungere da un barca di passaggio la voce di un liutaio che istruisce il suo allievo sull'arte di accordare lo strumento: "se la corda è troppo tesa, si spezzerà al primo tocco. Se è troppo lenta il liuto darà un suono stridente". La via di mezzo. La corda non deve essere né troppo lenta né troppo tirata. Questa è tutta la base dell'ascesi della dottrina buddhista. La giusta via di mezzo.
Ecco perché ho voluto bermi questo bicchiere di vino con te. Non male, vero? Ha quel retrogusto fruttato come piace a me, senza essere troppo dolce. Hai provato gli stuzzichini al tartufo? Sono una figata, davvero.
Beh, vorrei avere la possibilità di ricordarti che anche dalla merda crescono fiori. Se tutto quello che è stato finora ti ha fatto soffrire e ha fatto soffrire anche me e se finora siamo entrati in un giro vizioso da cui nessuno dei due riesce ad uscire e che ci riconduce ad un costume di società che non ci appartiene più ma che non è in nostro potere cambiare nel passato in quanto già vissuto, se vogliamo avere una possibilità di ritrovare entrambi ciò che siamo, se quindi tu vuoi smettere di essere arrabbiata e smettere di farti del male per trovare una gratificazione a te stessa di cui sostieni di non aver bisogno, smettere quindi di pensare in relazione a me e alle altre donne che hai intorno per giustificare poi le azioni che compi e che spesso ti rendono così lontana dall'essere te stessa e che nella maggior parte dei casi non sono in realtà legate strettamente a me ma sempre a quella gara di competizione dove non ci sono medaglie d'argento, e se io di contro voglio ritrovare il coraggio che mi manca e che mi porta spesso in quella condizione di sospensione dalla responsabilità e dal crescere che è così in contraddizione con lo stesso canone di uomo cui pretendo di voler assomigliare, se voglio essere rispettato perché sono io e non perché posso farti del male e quindi ti faccio paura, se voglio quindi dimostrare a me stesso che essere fragili e feriti non è necessariamente essere deboli, se voglio che mio figlio abbia in me un esempio degno di essere seguito secondo un canone più alto che quello della pretesa che sono suo padre e quindi decido io, tutto questo non possiamo farlo da soli. Non possiamo farlo parlando con coltelli affilati in mano, ferendoci continuamente, rimanendo io da una parte e tu dall'altra e guardando in uno specchio che ci rimanda solo la visione distorta dovuta in alta percentuale al canone di esperienza imparata dal costume comune. Non possiamo farlo pretendendo che ognuno dei due faccia dei passi verso l'altra persona o guardando solo ciò che pensiamo di aver fatto nella misura in cui crediamo che basti ma non facendo sforzi per partito preso perché siamo stati feriti da qualcuno o perché il costume comune pretende che siamo così e non possiamo uscire da questo schema. Non possiamo farlo mostrandoci reciprocamente le cicatrici che abbiamo come se fossero un monito. Lo sono, invero. Ma tutti noi siamo ciò che siamo. E tu non sei perfetta e non lo sarai mai, come non lo sono io e non lo sarò mai. E io amo quella tua imperfezione perché ti rende umana e raggiungibile e mi mette in quella condizione di non temere di rimanere incenerito se ti abbraccerò o di non poter mai essere abbastanza sicuro, forte e invincibile per te. Esattamente come tu meriti di non dover temere di non essere mai abbastanza sexy, sensibile e amabile per me. Io credo che entrambi dobbiamo guarire da ferite che ci siamo causati. Un lento ucciderci, mi dicesti una volta. Ma credo che sia anche un continuo giudicarci con metri con non sono nostri, un continuo non ascoltarci e gettarci addosso reciprocamente la proiezione delle nostre paure, delle nostre esperienze, della nostra stessa ombra. Siamo entrambi delusi l'uno dell'altra. Posso azzardare ad affermare che tu ne abbia più motivo di me, sarei un falso a non riconoscere che è così. Ma sai, una volta, al telefono, riconoscendo una tua mancanza mi dicesti: "Non farti forza di questo". Trapelava quella saggezza che riconoscevo in te, mia divina. E questo è un grave difetto che abbiamo entrambi: riteniamo che quello che ci aspettiamo non sia degno di essere conquistato ma dovuto perché noi siamo noi. A volte tu sei lì, sola, come Rosaspina, circondata dai rovi nel tuo castello e aspetti sospirando quel qualcuno che rispecchia interamente le tue aspettative che venga a liberarti dalla tua vita di solitudine e ti senti così forte di questa tua convinzione che quando un uomo decide di citofonare al tuo cancello e chiederti di venirgli ad aprire lo ritieni semplicemente non degno perché non ha affettato rovi, scalato torri e ucciso draghi. E quando poi passa il tempo e nessuno più viene a citofonare al tuo cancello, allora è più facile per te pensare che al mondo non ci sia nessuno degno piuttosto che credere che magari sarebbe stato meglio uscire da quel castello e smettere di aspettare ma cominciare anche tu a scalare, tagliare rovi e affrontare draghi per capire che l'amore va conquistato. O magari a volte sei Rhiannon in armatura completa a cavallo di un baio con zoccoli talmente grandi da schiacciare zucche come se fossero albicocche e cerchi quel qualcuno che possa correre più veloce di te e pensi che l'unica cosa che funziona è non mostrare debolezza, non giungere mai a compromessi, correre libera, appartenere solo a te stessa ed essere libera di credere che nessuno sia abbastanza veloce per te. Poi passa il tempo e scopri che non conta quanto sai correre veloce se non c'è nessuno che ti aspetta nel luogo dove tu stai andando o se non hai un motivo per farlo e allora ti è più facile credere che chiunque ti chieda di scendere da quel cavallo e toglierti quell'armatura lo faccia solo perché desidera mostrarti di essere migliore di te o di avere opportunità di dominarti e non perché in qualche modo essere forte per te stessa ha senso anche se sei capace di essere forte insieme e per qualcun altro.
Non per forza e non sempre, essere una di queste due cose ti rende realmente donna, come non ti rende donna non essere nessuna delle due cose. Non per forza e non sempre. Essere donna, come essere uomo è un percorso che passa da queste cose ma va oltre. È conoscere se stessi, sapere di essere liberi di essere se stessi fintanto che noi lo concediamo a noi stessi ma sapere che appartenere a qualcuno non è la morte del sentimento fintanto che sappiamo vivere nel rispetto di ciò che siamo. Non ho mai creduto, personalmente, che sarebbe mai stata una passeggiata, come del resto non ho mai creduto che sarebbe stato facile seguire una via come quella della stregoneria. Eppure lo faccio.
Ora ti guardo e ti chiedo: hai mai pensato al perché le cose siano andate così? Segui il mio pensiero. Prima regnava il matriarcato, ma il tempo è così lontano e non documentato che non ci è possibile sapere realmente come andassero le cose e se fosse realmente un momento felice ed equilibrato. Ci piace pensare che fosse meglio perché riconosciamo il potere del femminino sacro in quanto pagani e siamo una minoranza spazzata via dal cristianesimo, ma nei fatti non possiamo saperlo e nei suoi ultimi secoli il paganesimo era patriarcale. Di una cosa possiamo essere sicuri: non vigeva la pace nemmeno allora. Secoli fa il patriarcato prese potere sul matriarcato; un'evoluzione questa che si è costruita nel tempo ed è dovuta a migliaia di fattori che possono essere sviscerati in migliaia di modi ma che si è formata passo per passo, come la caduta del paganesimo o la diffusione dell'elettricità e che è stata, in parte, accettata e diffusa anche da te. Nel corso di questi secoli la violenza morale del patriarcato raggiunse dei picchi talmente assurdi ed eclatanti, talmente lontani da un qualsiasi senso di giustizia umana e di rispetto che mi viene il disgusto al solo pensiero di ciò che possiamo aver fatto. Un po' come quello che provò l'astronauta del Pianeta delle Scimmie quando vide la Statua della Libertà sepolta sotto la sabbia. Ancora adesso ci è possibile vedere e capire a cosa si può arrivare. Ma come ha fatto? Ci è riuscito con un metodo stategicamente perfetto. Ha individuato qual era il fulcro massimo del potere: la creazione e la magia (nelle sue forme late, religiose, culturali e scientifiche). Ha individuato qual era il suo picco di massima concentrazione e ha capito che il modo migliore per averne un controllo era quello di privare chi possedeva quel potere della consapevolezza stessa di questo potere. Un po' come la trama di A Bug's Life: una manciata di cavallette tiene in scacco migliaia di formiche mantenendo uno stile di vita di alto livello, costringendole a raccogliere il cibo per loro, e questo solo perché le formiche non sono consapevoli del loro numero, quindi del loro potenziale. La privazione della consapevolezza e l'istruzione delle masse inferiori basata sulla dannazione dell'aspettativa sulla scoperta di quella consapevolezza tramite miti distorti ha privato i possessori di un potere della capacità di riconoscerlo e di conseguenza di saperlo usare. In tutto questo la dottrina della consapevolezza femminile e del matriarcato non è morta ma è rimasta sepolta in pochi riti di passaggio, spesso e comunque, quanto meno nelle civiltà più evolute, condizionati al patriarcato. Quando si è alzato il baluardo della scienza, che ha cominciato, dopo più di mille anni, a lottare contro l'oppressione della religione nella sua ignoranza e nel suo oscurantismo, in ultimo si è comunque sostituita a quel potere, utilizzando lo stesso identico metodo che cercava di condannare. Ora si procalama unica verità e condanna chi utilizza metodi di guarigione o "scienza" alternativa sostenendo che siano falsità, in modo da poter tenere centrato su di sé il fulcro del potere di magia e creazione e piegando le masse alla vera e propria idolatria e adorazione di una divinità diversa e vivendo nella cecità di altre vie, esattamente quello che aveva cercato di combattere. Ancora una volta la vittima è diventata infine carnefice. Cosa vediamo in tutto questo? Che chiunque non abbia il potere lo desidera ed è disposto a fare qualsiasi cosa per averlo. E quando non lo ottiene parte da principi morali utili allo sviluppo e alla crescita e al miglioramento in cui investire quel potere, ma ogni volta che centra il fulcro stesso di quel potere, infine ne rimane soggiogato e smette di ascoltare. Il patriarcato ha fatto questo (nelle sue forme religiose e sociali). La scienza sta facendo lo stesso. Sappiamo che le cose stanno così. Siamo addentro ad un tessuto sociale che impone una rivoluzione dall'interno perché si possa realmente fare gioco forza per cambiarlo. Ma spetta ad entrambi cercare di sistemare le cose, lavorando attivamente.
Una mia cara amica mi ha fatto un esempio di un lavoro che il figlio di Jodorowsky fa fare tra il maschile e il femminile. Alle donne, prima di cominciare, faceva scaricare il rancore innato che hanno verso l'uomo su una pietra, così che ci possa essere più equilibrio nel lavoro che si affrontava. Utile. Niente da dire. Ma, caro il mio Cristobal, posso farti una domanda? Perché l'azione deve essere solo femminile? Loro devono scaricare la rabbia, giustificata, che hanno verso di noi... e noi? Noi non dovremmo compiere qualche passo? Non ti è venuto in mente? Chessò, magari prendere coscienza di ciò che siamo ora. Perché ciò che di ingiusto e degradante è stato fatto, lo sappiamo tutti. Ci indignamo di fronte alle violenze casalinghe, di fronte all'infibulazione, al Burka, di fronte alla concezione della donna come oggetto o privata dell'umanità della scelta... come ci rapportiamo con il nostro presente? Che lavoro facciamo noi uomini per far sì che le donne imparino ad accettarci per ciò che siamo senza odiarci o disprezzarci per le nostre forze e le nostre debolezze? Nel concetto che mi è stato spiegato sul lavoro che fai la risposta è: un bel cazzo di niente. Loro scaricano la rabbia su un sasso e noi stiamo lì, ad aspettare che loro smettano di essere arrabbiate. È passata anche al Papa, diceva mia madre, passerà anche a te. Ti sembra giusto? Questa è la concezione sbagliata: vedere le mancanze e gli attacchi che gli altri fanno a noi e non vedere il motivo reale del perché ci attaccano e non saper interpretare i nostri attacchi e le nostre violenze come tali, perché il mito su cui si basa la nostra cultura sanguina, ma noi abbiamo imparato a chiamarlo latte. Come possiamo crescere in questo modo? Una violenza è una violenza. Kore fu rapita da Ade. Non scelse, fu rapita. Le fu imposto un ruolo senza alternative e lei lo accettò, imparò ad amare il suo carceriere e trovare il suo significato, ma nessuno glielo propose, nessuno ne condivise con lei il parere. L'uomo scelse e dispose. La donna dovette accettare e imparare a modificare il suo essere per adeguarsi alla nuova situazione, decodificando nei secoli il suo ruolo di trasformatrice.
Io non mi pongo il perché tu non smetti di essere arrabbiata, perché di fronte a questo, solo uno stupido ancora cercherebbe di farti credere di non averne ragione, ma mi domando se quello che desideri, a questo punto, è continuare ad esserlo o lavorare nella direzione giusta per capire quella rabbia e crescere i nostri figli e le nostre figlie in modo diverso, così che quel rancore non si trasmetta a prescindere alle nostre figlie, ma che non dimentichino il motivo per cui tu eri arabbiata; che non debbano portare il peso e l'oggetto di quel rancore, ma solo la consapevolezza della trasformazione. In modo che i nostri figli capiscano dove noi abbiamo commesso degli errori e che facciano il possibile per non far sì che ripetano e che solo con il giusto equilibrio di luce e oscurità si può avere l'intera e meravigliosa armonia. Ti chiedo quindi se rifletti anche tu sul fatto che se io ti tiro uno schiaffo e ti faccio male, nel momento in cui me lo rimandi allo stesso, identico modo, a te sembrerà sempre che il mio schiaffo sia stato più doloroso di quello che tu hai dato a me e che quindi ne merito due perché ci sia equilibrio, e io, ritenendo che lo stesso torto e disequilibrio sia stato perpetrato a me te ne tirerò tre, e così via. Ma da questi giri non si esce più, perché le emozioni e i sentimenti non sono condivisibili, e anche nel momento in cui abbiamo esperienze simili sono vari i fattori che ci portano a viverle in modo diverso. Come ti sentiresti se io ti giudicassi per come alcune mie ex si sono comportate con me nonostante tu non sia una di loro e nonostante tu magari non abbia nemmeno lontanamente il desiderio di comportarti in eguale maniera con me? Perché potresti pensare che io desideri essere giudicato per come altri uomini si sono comportati con te? O perché ti senti giustificata nel farlo? E se pensi che non sia giusto, perché oggettivamente non lo è, perché permetti che l'esperienza limiti la tua capacità di fare tabula rasa ogni volta che incontri qualcuno di diverso? È un individuo, come tutti noi. Come tale ognuno di noi ha la sua esperienza, la sua vita, il suo bagaglio. Il problema è che tutti noi ricordiamo le esperienze negative e non quelle positive. Siamo facilmente influenzabili da ciò che ci fa male e mai da ciò che ci ha fatto stare bene. Quando stiamo con qualcuno e ci rende felici ci godiamo il momento, quando con quella persona finisce i momenti meravigliosi svaniscono e rimangono solo gli eventi dolorosi. Funziona così per te come funziona per me. Se mi sento ferito io soffro, non sono d'acciaio. Come non lo sei tu. E se dovessi, realmente, trattarti come alcune mie ex si sono comportate con me probabilmente ti sentiresti giustificata, e anche incitata dalle tue amiche magari, a servirmi del latte aromatizzato all'oleandro.
Quando ci siamo innamorati e tu stavi con un altro e a tutti gli effetti avevi una doppia relazione, io sono andato dalla ragazza con cui stavo e che mi amava in un modo e con un'intensità che ho conosciuto raramente nella mia vita e l'ho lasciata subito, per stare con te. Tu però sei rimasta con il tuo fidanzato. E quando lui ha subudorato qualcosa di ciò che c'era tra noi, hai negato tutto piangendo disperatamente lacrime di coccodrillo e alla mia richiesta di spiegazioni sul come potessi aver fatto una cosa del genere mi hai detto che non eri pronta a lasciarlo. Poche settimane dopo ti sei sentita giustificata ad abbandonarmi senza spiegazioni senza mettere a rischio nemmeno per un istante la storia che avevi con lui. Ti eri già innamorata di qualcun altro, qualcuno che ovviamente non era il tuo fidanzato. Ecco, ora, pensa se incontrando un'altra donna la trattassi come se fossi tu, anche se sono passati oltre dieci anni. Pensa se dessi per scontato che si comporterà come una falsa, codarda, fedifraga, egocentrica opportunista e giudicarla per azioni che non ha compiuto mai nella vita e che magari non compierà mai, solo perché tu ne sei stata capace. Sarebbe giusto farlo? No, vero? Eppure io mi sono trovato in queste situazioni spesso perché chi è passato prima di me si è comportato come un verme figlio di puttana. Come chi è passato dopo di me, probabilmente, ha patito le pene dell'inferno per ferite che ti ho inflitto io. È giusto pensare che una persona sia stronza a prescindere fintanto che non dimostra, con immense fatiche, il contrario? È giusto decretare che chi hai di fronte è di sicuro, al cento per cento, identico a chi hai incontrato prima d'ora nel caso che tu abbia avuto brutte esperienze e dal momento in cui ti dimostra che non è così aspettare l'occasione giusta in cui, magari anche casualmente, si verifica un qualsiasi evento che tu possa ricollegare ad uno dei comportamenti già vissuti e determinare senza alcuna ombra di dubbio che essendo un uomo è uguale a tutti gli altri che a loro volta sono, in maniera indefessa, degli stronzi colossali e che sei stata tu una stupida a dimenticarti questo assioma universale o credere che potesse andare diversamente? È giusto incontrare qualcuno che apprezzi perché rispecchia in buona parte ciò che desideri ma non completamente e lottare fino allo sfinimento perché cambi quella parte di sé che a te non va a genio affinché possa rispecchiare il tuo ideale di uomo per trovare la tua soddisfazione ma pretendere comunque che lui debba amarti e apprezzarti per quello che sei, luce e ombra? Ogni persona che incontrerai nella tua vita, a parte casi limite di una rarità non quantificabile, avrà qualche lato che in qualche modo non ti piacerà. L'amore non è forse accontentarsi del relativo? L'amore non è forse smetterla di mettere le persone che incontriamo controluce confrontandole con il nostro ideale per vedere in quali punti combaciano e in quali no e poi lamentarsi e disperarsi di ciò che non va bene o cercare di cambiarle?
Gola secca? Altro vino? Abbiamo quasi finito. Lo so che è tardi e ormai si è fatto buio, ma ci sono le lucciole, hai visto? Te le avevo promesse. Speravo proprio di non deluderti. Vorrei chiederti l'attenzione ancora per qualche minuto, affinché tu possa udire queste parole, perché tutto il resto puoi anche dimenticarlo se non vuoi credermi, se non sei d'accordo, se preferisci così o se non sei pronta per accettarlo, ma questo vorrei che lo ascoltassi perché anche se non c'è altro che verità nel pensiero di tutto ciò che ti ho detto finora e anche se non sono riflessioni a caldo, ciò che ti sto per dire è anche al di sopra della verità, rasenta l'assioma. Dopo che avrò finito, sentiti pure libera di insultarmi e dirmi che sono uno stronzo insensibile uguale a tutti gli altri uomini che hai incontrato e che incontrerai nella tua vita e magari puoi alzarti e andartene dopo avermi gettato addosso il vino che ti è rimasto nel bicchiere, ma prima, ti prego, ascolta.
Devi sapere che io ti amo da morire. E questo proprio perché sei tu e perché sei speciale. E perché rendi la mia vita un inferno quando non ci sei e un inferno anche quando ci sei. Ti amo perché la tua ombra è il mio rifugio e perché so di poter essere il muro contro cui ti scontri per realizzare che non sei invincibile ma anche il cuscino contro cui piangi la notte e che non ti fa sentire sola. E tu puoi essere il mio muro e il mio cuscino, come io lo sono per te. Tu sei lo specchio che rimanda le immagini metabolizzate che io proietto e hai l'incredibile potere di rendermi migliore, di mostrarmi come sono realmente e quindi di darmi coscienza e consapevolezza di me. Come un diamante spezzi la mia luce in migliaia di arcobaleni, e sai farmi sentire adulto e mi costringi a stare in piedi e affrontare la mia strada e pretendi che io abbia per te la cura e l'amore che meriti e che mi fa capire, in ogni istante, che non posso meritarmelo da te solo perché esisti e perché in qualche modo mi è dovuto, ma che la ricompensa dell'amore che ricevi da me è l'amore stesso che provo per te insieme con la splendida, incredibile opportunità di provarlo e ogni giorno mi insegni a non darlo per scontato. Tu sei come la salsedine che mi rimane depositata sulla pelle quando esco dal mare e che mi ricorda sempre che ogni volta che mi immergo in un'esperienza con te, entrambi ne usciamo diversi da prima. La consapevolezza di averti nella mia vita è come il raggio di Sole che mi dà il calore per sopravvivere e la luce per vedere dove sto andando. Scacci la mia solitudine del cuore e dai un senso reale alla mia esistenza. Sai essere sia la mia migliore amica che la mia amante e sai essere sia mia madre che mia sorella, sia la mia sposa che la mia sacerdotessa. Sei il frutto del mio seme, il fiore del mio prato e sia il seme del mio frutto che il prato del mio fiore. Sei l'unica per cui provo un piacere sottile a litigare perché vedo crescita in ciò che ci diciamo e non mi dai ragione a prescindere. Sai essere sia il cibo che mi sazia che la bevanda che mi disseta, l'aria che respiro e l'angolo del letto più caldo. Sei la fiamma che scioglie il freddo e che mi riconduce a casa e sei anche la doccia ghiacciata che mi fa riemergere dal sonno dei sensi. Sei capace di farmi irritare, di non ascoltarmi, di ignorarmi, di farmi sentire al centro del mondo, di consolarmi, di guarirmi. Sei capace di farmi sentire stronzo, irritante, arrogante, strafottente, infantile, irrispettoso, stupido, cavernicolo e sai capire quanto è importante per me che tu lo faccia. Sei capace di farmi sentire l'unico al mondo, mi dai la forza di scalare montagne e abbattere mura per trovarti e desiderare di averti con me. Nella discesa e nella risalita sai essere il mio sostegno e la mia torcia e permetti che io, per te, faccia e sia le stesse cose. Sei l'incredibile privilegio che gli dei mi hanno dato per capire meglio me stesso, per provare meno paura o quanto meno per avere più consapevolezza di questa paura e per dare un significato reale e un tutto tondo alle esperienze che ho vissuto nella mia vita e che, spero, potrò vivere ancora, condividendole con te. Finché non giungerà il tempo di separarci, con la speranza, se lo vorremmo entrambi e se lo vorranno anche gli dei, che ci si incontri di nuovo in un tempo, un luogo e una situazione diversi, ma pronti a vivere una nuova avventura assieme, qualsiasi volto decideremo di indossare nella grande mascherata dell'esistenza, sappi questo: tu per me sei la vita e la morte, la luce e le tenebre, la ferita e il suo balsamo. Senza te, io non sarei. Senza me, tu non saresti. Insieme, noi siamo.
Ecco, se potessi dirti tutte queste cose, dopo aver esaminato in ogni sua parte queste sensazioni su cui penso da tempo, di sicuro noterei che il vino è finito da un pezzo. Potrei restare un po' in silenzio a godermi con te i grilli che friniscono e le lucciole e magari raccontarti di come un carissimo amico mi ha spiegato che si accendono e si spengono per via di un isotopo che decade in pochissimi istanti. Incredibile, vero? Sai, mi piace immaginare che sia una bella nottata, dopotutto. Ma probabilmente quando guarderei al tuo posto vedrei solamente una sedia vuota, che non è mai stata occupata e magari sorriderei. Dicono che quando si parla con Dio si chiama preghiera... ma quando Dio parla con te si chiama schizofrenia. Dici che se parlo con quella parte di me stesso che tu rappresenti, con quella piccola dimora che ti sei creata dentro me, o con tutte voi, assieme, conosciute o sconosciute che siate, da qualche parte sotto questo cielo... dici che è una malattia da ricovero?