The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Mabon 2016

Mabon 2015

"Io ho la tendenza a fissarmi su un problema filosofico e a girarci intorno in cerchi sempre più stretti che, alla fine, o fanno saltar fuori una risposta oppure diventano così involuti, così ripetitivi, da essere pericolosi per la mia salute mentale"

Forse lo sapevo. Nel senso, giungono momenti nella vita di un uomo in cui alla fine ti ritrovi a mettere in discussione alcune delle scelte che hai fatto. Il punto è perché l'uomo deve trovarsi a scegliere, prima o poi, tra il prendere una via a prenderne un'altra. Scegliere tra la follia e la sanità mentale, magari, è anche capire che chi per natura o altro continua a camminare sui confini, valicandoli, alla fine tende ad appartenere a due mondi diversi, apparentemente separati, ma che collimano e si sovrappongono in così tanti punti che giungono momenti in cui si fa decisamente fatica a capire dove cominci uno e dove termini l'altro. E ci sono quei momenti in cui invidio così tanto chi è capace di mettere nero su bianco cosa sia il bene e il male e parlare di semplici sofismi quando obbietti che ogni cosa accade per un motivo e che ciò che noi percepiamo come male è solo il risultato di scelte di persone che non hanno avuto scrupoli a muoversi per ottenere e realizzare i propri fini.
In un mondo senza sfumature di grigio è dannatamente facile puntare il dito contro il mostro. La colpa è sua, tutta sua, di nessun altro: prendiamolo con la forza, leghiamolo, spingiamogli la testa verso il basso finché non si inginocchierà e calchiamogliela sull'altare e poi facciamo calare questa labrys bipenne, violentemente, nel punto esatto in cui il capo e il collo si separano, affinché possa appena percepire un rapido soffio d'aria fresca sulla nuca e poi non è più. Alziamo trionfanti il suo capo, come Davide fece con Golia, come Perseo fece con Medusa: lasciamo che la parola "mostro" riveli la sua chiara connotazione con il termine "mostrare".
Vorrei che fosse così facile poter dire che il bianco è bianco, che il nero è nero, che con il metodo scientifico si possa spiegare qualsiasi cosa, dall'amore alla morte, dalla verità alla religione, dal bisogno incredibile di un abbraccio a quello di strapparsi i vestiti di dosso e mettersi a correre nudo per la città, urlando come un pazzo. Ma ogni cosa ha bisogno di una propria spiegazione, di un proprio metodo di misura, non per forza collegabile ad altri. E ci sono volte in cui questo metodo di misura è un pantano di merda e fango, infestato di fuochi fatui, popolato di insetti velenosi; non è facile aggirarsi al suo interno, destreggiarsi tra cipressi calvi, aggrappandosi alle radici aeree come se fossero liane utili a trascinarsi all'esterno, strisciando come un verme. Una volta che abbiamo scelto questo metodo di misura tendiamo spesso ad abbracciarlo stretto, barricarci dentro e dietro di esso come Robert Neville nella sua casa, circondato da vampiri assetati di sangue che lo chiamano per nome come Ben Cortman, reso ultimo ed estremo punto di un cerchio che si chiude su se stesso, rincorrendo la propria coda. E proprio come lui, ultimo normale in un mondo di anormali, salire sul patibolo: siamo diventati noi il mostro ora. Quando lessi il finale di quel libro, così tanti anni fa, non compresi bene cosa Matheson cercava di comunicare. Ora è tutto così chiaro.
"Per un momento ci fu un crescente brusio, alcune grida di sorpresa.
Poi un improvviso silenzio, come se una pesante coperta fosse caduta sulle loro teste. Rimasero tutti con lo sguardo fisso verso di lui, con le bianche facce rivolte verso l'alto. E lui sostenne quegli sguardi. E di colpo pensò: 'Ora sono io l'anormale. La normalità è un concetto di maggioranza, la norma di molti, e non la norma di uno solo.'
Quel pensiero all'improvviso si fuse con quello che vedeva sulle loro facce: timore, paura, orrore; e comprese che avevano paura di lui. Per loro, lui era una terribile calamità che mai avevano veduta, una calamità anche peggiore dell'infezione a cui si erano adattati. Lui era un invisibile spettro che lasciava quale prova della sua esistenza i corpi dissanguati dei loro cari. Capiva quel che provavano e non li odiava. La sua mano si strinse sul minuscolo involucro delle pillole. Per fare in modo che la fine non giungesse con violenza, per fare in modo che non divenisse una macellazione davanti ai loro occhi.
Robert Neville guardò il nuovo popolo della terra. Sapeva di non farne parte: sapeva che, come un tempo i vampiri, lui era un anatema e un nero terrore da distruggersi. E, di colpo, il concetto si formò, divertente nonostante il dolore.
Una risata soffocata gli salì alla gola. Si voltò, si appoggiò alla parete, inghiottì le pillole. 'Il cerchio si chiude' pensò mentre il letargo finale si impadroniva delle sue membra. 'Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore nasce nella morte, una nuova superstizione penetra nell'inespugnabile fortezza dell'eternità.
'Io sono diventato una leggenda.'"
Come può essere maestoso il sofismo. Soprattutto quando ci è utile per giustificare la nostra intellettuale incapacità di accettare che le persone si muovono sulla base di ideali che a volte non coincidono con i nostri e che pertanto sono da condannare. E anche io vengo condannato per i miei ideali, per ciò che penso, per come mi muovo. Perché decido di non aiutare chi mi chiede aiuto se ritengo che farlo violerebbe la mia etica. "Che persona sei?", mi sento dire, "che parli di amore ma non aiuti una persona che ti chiede di aiutarla a stare assieme con qualcuno che ama". Già, che persona sono? Forse una pessima persona, in effetti. A volte sento che la rigidità della mia etica mi imponga scelte irrazionali così come troppo razionali ma comunque di scegliere sempre se mettere il piede su una casella bianca o su una nera e farlo con la coscienza di soffrire di acromatopsia.
Quando parlo di questo dilemma molte persone che mi sono vicine dicono che io perda solo del gran tempo a far capire il perché no a chi mi chiede una soluzione diretta ai suoi problemi. Forse è vero. Anzi, ne sono certo come sono certo di essere come Gaber quando nelle sue canzoni parla di come "sono stanco vorrei andarmene lontano ma purtroppo mi ci invischio, ogni volta mi accanisco; è una droga non ne posso fare a meno". Sento, dentro, lo stesso senso di sgomento che mi impedisce di voltar le spalle a chiunque senza dargli modo di capire il motivo della mia scelta. A volte penso di farlo perché ho il barlume assurdo di coscienza dell'assurda presunzione di aver capito anche solo in modo lievemente circostanziale cosa sia l'amore e di sapere cosa significhi perderlo, non averlo, desiderarlo con tutto il cuore e sentirlo scivolare via tra le dita come un soffice scialle di seta. E a volte penso anche di sapere cosa significhi sentirsi davvero soli, anche quando ci sono tante persone intorno su cui sai di poter contare. Sentirsi così soli e abbandonati al punto da pensare di non avere alcuna altra alternativa che non sia il rimanere in uno stato sospeso, privo di direzioni e punti di riferimento, senza sopra né sotto, senza destra né sinistra, senza dentro né fuori, come nello spazio interplanetario; in attesa forse. In attesa di quel qualcosa che ti darà un input utile ad emergere.
Moltissime persone si sentono sole al mondo. E io lo vedo proprio dalla quantità di richieste che mi arrivano; persone che pretendono l'amore, che pretendono di averlo per principi assurdi secondo cui amare qualcuno è una giustificazione adatta a qualsiasi gesto ed azione, magica o meno che sia. E quando mi è capitato di far loro notare che amare qualcuno sinceramente dovrebbe comportare la visione del fare dell'amore la propria priorità, a prescindere dal nostro presunto bisogno, mi sono sentito rispondere spesso che io non capivo, che non potevo capire, che non conosco il reale stato delle cose. Già. Io non capisco. Questa è una dannata verità. Non capisco proprio. Non capisco come non si possa arrivare da soli alla conclusione che c'è qualcosa che non si muove secondo canoni civili ed umani quando si fanno richieste di questo tipo. E allora scelgo di sentirmi dire che sono un insensibile, che avendo il potere di far stare bene le persone decido deliberatamente di non farlo, che se le persone sono infelici e sole nella vita è anche in parte una mia corresponsabilità, proprio perché rifiuto di aiutarle. Potrei e forse dovrei fermarmi molto prima di arrivare a sentirmi dire queste cose; smettere di rispondere, di spiegare le mie motivazioni. Dopotutto ci sono così tanti maghi in giro per internet che al modico prezzo di 150 euro fanno un legamento d'amore. Se vogliono quello che cercano possono trovarlo senza problemi e senza il mio aiuto. Perché, quindi, dannazione faccio come Gaber?
Una parte di me mi dice che è uno spirito migliorativo, idealista, che cerca di far sì che le persone capiscano l'entità delle proprie richieste, in modo che possano crescere, evolversi. Qualsiasi strada decidano di prendere, nel bene e nel male, ma che la seguino fino in fondo. Questo mio spirito idealista mi dice che più persone aiuto a ricordarsi che devono avere fiducia nell'amore, nella compassione, nel rispetto per gli altri, più io posso, di contro, portare equilibrio e contrastare l'enorme entropia della mia stessa evoluzione: dopotutto nulla è perenne tranne il cambiamento. E agire in questi termini su me stesso è l'unico spazio utile e reale che io possiedo e su cui ho margine di azione per modificare il mondo intorno a me: decidendo in quali principi voglio crescere e difendendoli mentre li diffondo, applicandoli per prima cosa a me stesso. Ma c'è una parte di me che, con fare petulante, seduta su una sedia come una vecchia zitella, con le gambe accavallate e le braccia conserte, fumando una Cartier infilandola all'angolo della bocca e stringendola con forza tra le labbra secche e contratte, mi dice che non è così che io aiuto davvero gli altri e me stesso e che così decentro solo il problema, ritenendo che chi non capisce non può crescere; quando in realtà crescerà lo stesso, con i suoi metodi e i suoi tempi; anche se dovrà investire altre diciotto o venti vite a capire e dover rivedere alcuni aspetti di sé; pertanto rifiutando loro ciò che chiedono non li aiuto di più che se lo facessi e quindi non ha senso che io mi ponga problemi sulla loro crescita dal momento che il mio obbiettivo reale e principale, alla fine, è solo lo stare bene con me stesso e non sentirmi coinvolto in qualcosa che eticamente non condivido.
Forse sì, forse no. Chi lo sa. Forse sto solo camminando su una spiaggia lunghissima, affondando i piedi nella sabbia, con le mani in tasca, giocherellando a calcio con i sassi e in lontananza c'è quel sole che dipinge di rosa i palazzi, allungandosi in un arrivederci che diamo così per scontato ogni volta. E ogni volta, quando se ne va mi ricorda così tanto quel me stesso bambino che cerca di tirare sui quindici secondi per vedere qualche frammento in più del film delle 20.30 che tanto sa non potrà mai finire di vedere perché è costretto ad andare a letto. Come diceva quella canzone? portami sulla spiaggia, seppelliscimi nella sabbia, fammi camminare nell'acqua e così forse capirai: una volta che il macigno sotto il quale ti trascini verrà sollevato dalle tue spalle e una volta che la nuvola che ti fa scrociare la pioggia sul capo scomparirà, il rumore che odrai sarà lo schianto di tutti quegli anni vuoti.
Oh Madre, forse sto solo aspettando guardando l'orologio con impazienza che questo Giove finalmente faccia il lavoro che ci si aspetti da lui e di cui ho letto sugli oroscopi, o forse sto entrando in quella fase della mia vita in cui ci si aspetta che io abbia una crisi di mezz'età. Anche perché io sta cosa della mezz'età non l'ho mica mai capita. Quand'è la mezz'età? Nel senso, ci si aspetta che approssimativamente arrivi quando siamo circa "nel mezzzo del cammin di nostra vita". Pertanto Dante avrebbe intrapreso un viaggio all'inferno con Virgilio per soddisfare una crisi di questo tipo? Eppure mi hanno sempre insegnato a scuola che per dovere poetico si stima che Dante, con quella frase, affermasse di avere circa vent'anni. Ma io sono molto più vicino ai quaranta di quanto sia vicino ai venti e di viaggi verso il basso ne ho fatto già qualcuno e sono tornato ogni volta con, dentro, la sensazione di non avere nemmeno la minima idea di cosa sia la morte, di non essere in grado di capirla perché ancora vivo e perché incapace di lasciare col cuore, con la mente e con il corpo contemporaneamente e mantenere nello stesso tempo un equilibrio e una serenità interiore tali da saper sorridere senza mestizia o malinconia nel ricordo. Pertanto, forse, sto cercando qualcosa che forse è un sogno, forse è un bisogno e come tale riflettere su questa assonanza di parole che hanno radici così lontane le una dalle altre, ma comunque sembrano avvicinarsi nella loro forma.
Forse quindi sarà questa crisi di mezz'età, sarà che Giove impiegherà un po' a farsi sentire, o sarà l'influenza di qualche cazzo di asteroide di merda che ha un nome alfanumerico incomprensibile, ma ci sono volte in cui quasi maledico a denti stretti la mia etica così ferrea che mi impone di non fare incantesimi a pagamento anticipato, dando semplicemente alla gente ciò che mi chiede e facendo soldi così, con quello che so fare meglio. E pensare, sognare, illudermi di come sarebbe tutto molto più semplice, seppur complesso sulla lunga distanza, accettare 150 euro per un legamento e via, se funziona bene, se non funziona sti cazzi. A quest'ora avrei un certo gruzzolo se avessi accettato di soddisfare le richieste; ovviamente ignorando l'aiutarli davvero o meno. Ma sarei una persona diversa. Pertanto sono sempre qui a dire che li aiuto di più dicendo loro no; e io so che è così e ci credo davvero. E penso che alla fine sono solo degli stupidi che non sanno cosa vogliono e come bambini non possono essere accontentati solo perché chiedono. Quanto meno non da me.
Perché io, in fondo, non biasimo chi fa queste cose a pagamento, richiedendo soldi anticipati. Conoscendo il mondo della magia non puoi garantire il suo funzionamento, soprattutto nei termini di quello che le persone si aspettano, nemmeno dopo decenni di esperienza sul campo. Pertanto se fosse il mio lavoro a essere messo in discussione, non sarebbe possibile farlo nei termini del risultato, ma solo dell'operato. E se io ho fatto del mio meglio in base alle mie capacità, senza tralasciare nessun aspetto determinante, ho diritto a pretendere i soldi che abbiamo pattuito. Ma chi prenderebbe mai dei soldi se fosse così?
E in questo c'è del sofismo? Ma poi perché sofismo?, mi domando. Cazzo Roger Waters perse il padre in guerra nella battaglia di Anzio. A causa di questo triste evento è cresciuto come un orfano di guerra, con una madre ossessiva che lo ha reso infelice, dei professori che non erano in grado di capirlo e, tutto insieme, questo lo ha portato a costruire un muro con cui isolarsi dal mondo esterno. Nel tempo ha scritto un album incredibile, con il quale qualcosa è riuscito ad esprimere il suo cordoglio, la sua rabbia e il suo bisogno di trovare un senso nella sua vita. L'arte e il dolore si sono sposati ed è nato un capolavoro. Ora, credo che tutti quelli che hanno sentito il disco e conoscono la storia possono affermare con una certa sicurezza di essere dispiaciuti per lui, ma Roger non fu l'unico a cui Re Giorgio e l'Alto Comando Britannico portò via il padre. Centinaia di altri migliaia di bambini solo in Inghilterra si sono trovati catapultati in situazioni del tutto simili alle sue, se non peggiori. E chi, tra loro, è riuscito a diventare grande prima di morire in quel periodo così sanguinoso della storia umana, è cresciuto con delle ferite e dei dolori con i quali ha dovuto fare i conti ogni giorno. Se ne ha sentito il bisogno, se ne ha avuto la forza, ha fatto un percorso ed è andato avanti. Altrimenti è andato avanti lo stesso, senza farsi il percorso. Questo perché la scelta, in ogni istante è sempre vivi o muori, lascia o vai avanti. Se decidi di lasciare rimandi, se decidi di andare avanti affronti. Semplice. E non c'è sofismo in questo: è la vita, con le sue difficoltà, i suoi terribili orrori, le sue immense gioie. Tuttavia, quando mi ritrovo a mettere in luce la linearità di questo ragionamento a chi sostiene che il bene e il male siano non siano concetti e giustificazioni per le nostre azioni e per quelle degli altri, ma realtà e assoluti, è come se fossi davanti ad un nuovo muro di Berlino.
Quando ero un ragazzo e vivevo la mia vita ritenendo che il futuro fosse qualcosa di cui preoccuparmi solo nel momento in cui questo si sarebbe approssimato abbastanza da permettermi di rendermi conto della sua consistenza, non mi domandavo in realtà se esistesse davvero un concetto di bene e male, di giusto o sbagliato. Accettavo le cose come erano perché erano e non per forza perché erano destinate o avevano la possibilità di "divenire", in un certo senso. Magari di mutare. Quando sentivo parlare di persone che erano "cambiate", "diverse da prima", vuoi per via di eventi o altro che li avevano segnati, io non avevo dentro una coscienza realmente formata di ciò che questo potesse significare; nemmeno in termini rozzi e dozzinali. Da una parte quel senso di libertà era utopisticamente euforico, surreale quanto il video di Spirit in the Sky, con tutti i suoi toni pseudo cristiani in antitesi con la visionarietà pro lisergica di quel tempo. Ma si sa che alla fine non è che "l'amico Gesù" abbia mai detto che non si debba far uso di stupefacenti. E credo che Greenbaum questo lo avesse ben chiaro anche prima di impomatarsi i capelli con quella temeraria impalcatura che sfida la legge di gravità. Ma il concetto, al di fuori di ogni canzone e punto di vista, è impegnativo per il bisogno di quantificare e qualificare il tempo che noi passiamo qui, nel lasso e nelle possibilità attuali, di cui ognuno tende a preoccuparsi, in effetti, per via del fatto che siamo un po' tutti come Greenbaum (e quindi anche come Adam West) e scaliamo le pareti verticali. Alcuni cadono; altri semplicemente rivoltano la telecamera per capire quale sia il trucco.
Nel mondo delle formule All You Can Eat la qualità è passata in secondo piano confronto alla quantità e questo modo di approcciare al cibo è solo un esempio quasi terminale di un malessere generale. Brad Pitt la metterebbe giù dicendoci che siamo sottoprodotti di un sistema che ci ossessiona. Io, che amo quel dialogo ma che tendo a prendere le cose in modo meno estremista, tendo a rendermi conto che il bisogno che ci fa stare male e che fa stare male moltissime persone con se stesse è dovuto al fatto che, fondamentalmente, non sappiamo chi siamo e chi vogliamo essere e che la quantità del tempo della nostra vita è diventata più importante della qualità della stessa.
In magia mi è stato insegnato, pertanto ho imparato, e poi di conseguenza insegnato a mia volta, che esistono sempre due forze contrarie l'una all'altra e che è grazie allo scontro e alla danza di queste due forze che la magia prende forma, che esiste, che si manifesta. Siamo liberi, liberissimi, di dare a queste forze nomi e connotazioni differenti a seconda della via che seguiamo e nel tempo, filosofi, scienziati, teologi, pensatori, artisti, alchimisti e chi ne ha più ne metta hanno coadiuvato questa idea manifestandola attraverso molteplici vie che si esprimono in semplicità di esecuzione e coesione tra dinamismo e staticità in un visionario quadro in cui Parmenide ed Eraclito si tengono per il collo reciprocamente e in cui nessuno dei due può e riesce a sovrastare sull'altro.
Nel mondo attuale, nell'immoralità dilagante che fa sì che, contrariamente ad ogni sana logica evolutiva e culturale, ogni schema intellettuale viene schiacchiato sotto il tacco di schemi sociali, il bene a il male smettono di essere paradigmi, ma divengono paritari alla forma e alla funzione nei basilari concetti di vita. Tuttavia, nello stesso tempo, inversamente a ciò che tendiamo ad associare in ambiti più mondani, forma e funzione qui continuano a mantenere tutta la loro sovrana incostanza: a volte il male è nella forma, a volte nella funzione. A volte il bene è nella funzione, a volte nella forma. Non c'è nulla di male nello scambiare a piacimento questi due aspetti della natura umana, nemmeno nella nostra eterna e futile cerca per uscire dal circolo vizioso dell'imperfezione che ci ha visto determinare, in diverse fasi della nostra crescita, la carne come più godibile dello spirito per poi asserire che lo spirito sia superiore alla carne. Quello che trovo immorale, quasi quanto il doversi accalcare per salire in metropolitana, è che siano gli schemi sociali a distruggere le idee e non il contrario.
È così che ci troviamo di fronte a persone che non riescono a distinguere il loro bisogno di possessività dalla sincerità dell'amore che provano e che tuttavia hanno una ben chiara idea di cosa siano il bene e il male, tanto chiara da non saper però accettare che, secondo quanto dicono, se colui che ferisce gli altri è cattivo e quindi opera nel male, nessuno di noi ha mai conosciuto altro che il male. In un pensiero come questo, le variabili del "quanto", sono il vero sofismo, perché negli assoluti, per antonomasia, non esistono sfumature o vie di mezzo: esistono solo confini netti e la giustificazione che noi possiamo trarre per le nostre azioni, affinché non ci si debba giudicare pari ad altri che riteniamo essere peggiori di noi, diventano il punto Yin nel campo dello Yang e il punto Yang nel campo dello Yin. Ma sono solo giustificazioni che servono solo a noi.
Tutti si sentono soli al mondo prima o poi. Tutti soffrono, continuamente, per motivi vari. E molte volte nessuno è in grado di capire davvero come funziona questa dinamica, se di dinamica si può parlare. Semplicemente, come i due serpenti del caduceo, saliamo e scendiamo lungo questo asse. A volte questo movimento in opposti lo viviamo con una media passività, come un dolore necessario. Altre volte invece è come camminare con una catena legata intorno al polso e alla sua estremità un pezzo di roccia enorme, a monito, come Prometeo, colui che osò contrastare il sommo dettame. Come dice Benigni: "non abbiate paura di soffrire: tutto il mondo soffre". Se esiste un motivo per questo e se siamo in grado di scovarlo da qualche parte, sta a noi scegliere la via dello stomaco o quella dell'intelletto, o magari, se siamo davvero in gamba, entrambe insieme in perfetto equilibrio. Se poi qualcuno ce la fa, allora mi faccia anche sapere come ha fatto.