The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Oestara 2007

Oestara 2007

Tempo fa, ero su un treno, e con me c'era un'intera compagnia di Boy Scout che mi ha perseguitato per tutto il viaggio con delle canzoni odiose. Io guardavo fuori dal finestrino, le immagini del paesaggio scorrevano come un film accelerato. Stavo viaggiando per conoscere una persona speciale il cui ricordo è ancora vivo dentro me, nonostante siano passati anni e nonostante ormai sia svanita da qualche parte. È stata la prima volta che conobbi la trepidante attesa di conoscere qualcuno che pensi di amare, di sentire, di vivere dentro. E più ci penso, ora, più mi rendo conto che non mi ero sbagliato su di lei, ma gli dei avevano altri progetti per me. Dopo quella volta... vedete... non ci sono state grandi attese nella mia vita... quanto meno fino a quando la mia Principessa non ha strabuzzato gli occhi, in bagno, con in mano il terzo test di gravidanza positivo. L'attesa non ingigantisce i sentimenti... talvolta li uccide... ma per lo più rimane dentro noi come purezza e dolcezza se i risvolti sono positivi. Ci accompagna per mano nel corso degli anni che seguiranno quei momenti.
Avete presente il 1979? I Kiss suonano per l'ultima volta con Peter Criss. È proprio febbraio, il mese in cui sono nato io. Avevo giusto 1 anno in quei giorni. Credo di aver urlato per quel motivo appena uscito alle luci della ribalta, in sala parto. Per tutta la mia vita mi sono disperato di non averli potuti vedere dal vivo fino al 1995, quando comunicarono ufficialmente la loro reunion. Il 1996 li vidi sul palco... come se non fossero mai stati diversi... e quando ero davanti a quel telone, con la scritta KISS in argento su sfondo nero, e ho sentito quella frase, il tono roco, gracchiante: "You wanted the best and I got the best... the hottest band in the world... KISS!" Ho capito che l'attesa era finita. Diciotto anni ad attendere.
Ecco... sembrerà un paragone stupido... ma nove mesi di attesa per conoscere mio figlio sono stati una tortura dieci volte peggiore che diciotto anni di attesa per vedere la mia band preferita. Eppure ora... ecco che conservo dentro tanta di quella dolcezza, che mi sembra di essere una comare che sospira davanti alla finestra. Mi ricordo prima lo sfarfallio e i poi calci furiosi che sobbalzavano dalla rotondità rosea del pancione pazzesco con cui la mia Principessa si aggirava per casa... mi ricordo la sensazione del mio orecchio sul suo ombelico... e le cuffie con la musica appoggiate sulla pelle nuda. E adesso, se dovessi spiegare a tutti che cosa significa... come potrei?
Ci sono cose che puoi tentare di dire in centinaia di modi, ma anche quando credi di aver trovato le giuste parole, quando sei convinto, dopo dozzine di revisioni, di essere giunto al perfetto sincronismo tra pensiero e linguaggio, ecco che, nel momento esatto in cui lo pneuma riempie il tuoi polmoni, pronto per essere rilasciato, modulato dal connubio tra laringe, glottide, corde vocali, palato molle e lingua, tutto sfugge, e ti rendi conto che non ci sono parole adatte nemmeno nelle 3232 pagine del Devoto Oli, negli oltre 100.000 lemmi che compongono il Garzanti. Mi chiedo se è stato così, in questi termini esatti, sfogliando polverosi tomi miniati da monaci amanuensi austriaci, che sono state chiuse le ricerche con un tonfo sordo, sollevato di un breve riverbero tra le arcate coperte di ragnatele di antiche abbazie, ed è stata sentenziata la frase: "Il silenzio parla più delle parole".
Del passato, in fondo, conosciamo solo quello che non ignoriamo. Non sappiamo niente se non quello che ci hanno lasciato i trapassati. Quello che so, ora, è che su questa frase ho fondato la band con cui sto investendo la mia vita musicale.
Quando mi sono trovato di fronte a mio figlio ho sentito un groppo che mi si è fermato qui in gola, ed era una sensazione tutta nuova, tutta diversa... e mi sentivo come se non avessi mai amato nella mia vita ed era la prima volta. Perché in fondo, non è terribile, se ci pensi? Parliamo dell'amore con una semplicità che è altalenante. Da una parte ha toni affascinanti, nel senso che lo accettiamo come accettiamo MacDonald's o la Coca Cola... ma anche come accettiamo il fuoco (che di suo non esiste, essendo un evento e non un elemento). Dall'altra parte ha toni agghiaccianti perché siamo veramente come selvaggi davanti a lui, disconosciamo ogni cosa e ne siamo comunque schiavi. Non è terribile, per noi, ma non abbiamo alternative.
Avete mai letto Jeanette Winterson? In "Scritto sul Corpo" c'è un passo che fa parte di quelle frasi che mi sono rimaste aggrappate al cuore: "Com'è che la cosa meno originale che sappiamo dirci è tuttavia la sola cosa che desideriamo sentire? "Ti amo" è sempre una citazione. Non sei stata tu a dirlo per la prima volta e nemmeno io, eppure, quando lo dici tu e quando lo dico io, siamo come dei selvaggi che hanno scoperto due parole e le venerano. Io le ho venerate ma adesso mi ritrovo nella solitudine di una roccia scavata dal mio stesso corpo."
Uno crede di sapere le cose… uno crede che sarà in grado di gestirle, che avrà il pieno dominio della sua vita, il pieno controllo di quello che capita e capiterà… e dove va a finire tutta questa arroganza quando ti ritrovi davanti all’inevitabilità della schiettezza di un sentimento? Una persona prima o poi ci deve fare i conti con questa cosa: è questo quello che disarma i genitori. Se fossimo abituati ad amare veramente non rimarremmo così devastati dall’esperienza di avere un figlio (devastati in senso lato, ovviamente, come una corda tesa tra noi e gli dei). Invece siamo così altezzosi da pensare di saper gestire i nostri sentimenti, parlando di loro, come se fossero esattamente organi del nostro corpo, come se fossero parte della nostra vita… e lo sono, ma come il cuore – batte batte e batte e non gli puoi chiedere di smettere – sono questioni su cui, in sostanza, non possiamo controllare.
Sapete quale è l’etimologia della parola Amore? Deriva dal latino… dalla parola Morte per essere esatti. A Mors – Immortale. C’è un che di poetico, non credete? Forse quel tenero personaggio (ovviamente anonimo, perché non si danno i premi nobel a chi dovrebbe veramente riceverli – inventori della nostra vita per come la vediamo) che ha coniato la parola si è riferito/a alla persona che amava, sia esso uomo o donna… Ma tutti noi, per quante poesie da recitare, balconi da scalare, e guanciali da spartire… nonché bianchi seni su cui riposare, in un dato giorno della nostra vita, ci rendiamo conto che quell’uomo o quella donna, poeti citati ma dimenticati, non si riferivano all’amore in termini di coppia, ma è probabile si che si riferissero ai figli. Perché il vero amore è raramente immortale se riguarda due persone… ma diventa immortale se riguarda i propri figli…
Secondo il vangelo di Giovanni, Tommaso Didimo si recò a cercare informazioni nei riguardi della sparizione del corpo di Gesù con bende e medicamenti (come se ci si recasse da un cadavere a medicare – uno dei tanti quesiti che fanno traballare le teorie sulla veridicità dei quattro vangeli riconosciuti) e si trovò a parlare con il centurione che doveva essere di guardia alla cripta. Quando tornò dagli apostoli Paolo lo avvisò che il salvatore era venuto a loro, risorto. Tommaso rimase incredulo a quelle parole e si chiese perché a lui, che aveva cercato il suo corpo mortale anche nel rifugio dei lebbrosi dove il centurione era confinato – accecato alla vista dell’immensa luce che aveva scorto al momento della resurrezione del messia – Gesù non era apparso. “Non posso dire che ci credo, poiché io non l’ho visto”. Non siamo forse tutti come Tommaso? Finché non lo vediamo, non lo sentiamo, possiamo solo basarci sulle esperienze altrui. E poi, quando ci ritroviamo di fronte a questo grande sentimento… ecco che il suo investirci, il suo avvolgerci, ci fa affogare perché non riusciamo a controllarlo. Tutto questo ci disorienta, e siamo davvero, come dice la Winterson “dei selvaggi che hanno scoperto due parole e le venerano”.
Come mai, mi chiedo… Come mai capita tutto questo? Perché crediamo, dando per scontato, di sapere cose che non sappiamo solo perché la nostra presunzione ci fa pensare che l’amore sia una cosa misurabile, magari anche con termini come la sofferenza o il distacco, ma comunque presenti e costanti? Siamo ciò che siamo, non dimentichiamocelo, e come tali creature, capaci di sogni meravigliosi e incubi angoscianti, di crudeltà senza pari e affetto sconsiderato ci muoviamo per il mondo credendo sempre di riconoscere senza conoscere. Smontate la mia vita, smontate il mio corpo… riportate tutto a mura e sussurri, a cellule e impulsi elettrici. E dov’è l’amore? A livello biochimico è davvero una scorpacciata di cioccolata? Quell’angoscia che sento dentro, nel cuore della notte, quando mi alzo di colpo e corro come un pazzo a vedere perché non sento il respiro di Morgan giungere fino a me… e poi rimanere lì, a guardarlo mentre si gira nel sonno, pacifico, i pugnetti chiusi. Da dove arriva quella paura? Dal distacco, dall’attaccamento? Non ho mai provato una così grande paura, diceva la mia cara Elizabeth Bowen, in una delle due poesie che più hanno influenzato la mia vita, poiché ero senza limiti. Non credo che arrivi da lì. Deriva dall’amore… puro incontaminato… che poi non è altro che desiderare, in modo disinteressato, il più grande bene che si possa immaginare e anche oltre... E tutta questa cosa ti colma e ti strazia… tendendo e strappando. Ti colma perché ti lascia senza fiato… ti strazia perché non puoi contenerlo. E non c’è rimedio… non c’è cura. L’unica che conosco è abbandonarsi e accettare, per i più. Riconoscersi in esso per chi cerca di capirlo.

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