The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Oestara 2011

Oestara 2011

A volte mi chiedo quando finirà.
Guardi il mondo, vedi che il cielo è al posto sbagliato e poi ti accorgi che sei tu che sei a terra e devi alzarti in piedi. Che lento inseguirsi senza tregua che è ogni tanto. Dea, questa lunghissima catena, come la Grand Allemande dell'Equinozio... quanto dura, quanto è lunga. Cazzo, sai, mica mi ricordavo si chiamasse così. Sarà che ho letto Phyllis nove anni fa. Mano nella mano, mano nella mano. Schiena a schiena, schiena a schiena. E capita anche che io debba anche far finta di non sapere di chi mi sorride quando balliamo innanzi e poi mi sbeffeggia quando siamo schiena a schiena. Ah, questo bagaglio, quanto pesa. Come l'unico anello appeso al collo mi lascia segni nella carne; certe ferite non guariscono mai del tutto.
A volte questo inseguirsi però è l'unica cosa che rimane; l'ultimo barlume, l'ultima via non percorsa. O forse percorsa tante volte ma comunque ancora nuova, ancora invitante. Ancora non vista. E anche se è una via tortuosa, difficile, sempre in salita, non puoi fare a meno di percorrerla. E non è anche forse una sorta di istinto? Forse ci nascondiamo dietro i nostri desideri, camuffandoli a bisogni. Magari non sempre, ma lo facciamo.
A volte, in quei momenti di lucidità che ti dà il Sangue di Giuda, penso seriamente che non abbiamo alcuna alternativa. In quei momenti mi sembra di capire che possiamo decidere solo dei passi che abbiamo fatto e non di quelli che faremo. Ed è proprio come camminare all'indietro, come dei gamberi del cazzo. O forse come quella canzone di Elio, come si chiamava? Suicidio a Sorpresa? E diceva che se ascolti al contrario delle canzoni registrate al contrario allora ti paiono dritte. Magari dovremmo anche noi vivere al contrario, un po' come Benjamin Button; vagabondare per il mondo su una vecchia moto e lasciare una lettera a chi amiamo, dicendogli di non perdere mai la speranza di poter fare qualsiasi cosa anche quando pensi che il tempo sia passato.
Così quando poi vedi che il mondo va al contrario, muovendoti anche tu al contrario in realtà non stai semplicemente contrastando uno tsunami con paletta e secchiello, scavando un canale di scolo sul bagnasciuga, ma stai facendo moonwalking sulle onde stesse.
Che paradosso che è a volte stare al mondo e vivere con la costanza del cercare il modo migliore per farlo, inseguendo albe e tramonti, abbeverandoti di aspettativa, nutrendoti di illusione, cogliendo i frutti dall'albero della speranza. Alcuni sostengono che il non attaccamento sia una perfetta e decente lezione. Ci serve per apprezzare di più il tempo che passiamo con le persone che amiamo. Ma è un po' come i piccioni che danno le briciole di pane ai passanti. In sostanza, come dice Isabel Losada, se vivete con qualcuno che guarda troppa televisione, potete passare del tempo a coccolarvi, o se state vivendo un legame intenso, baciate subito il vostro partner, perché prima o poi ogni cosa si consuma. Cara Isabel, fammi essere il tuo Robert Redford. Alla fine non è quello che facciamo ogni giorno? Conduciamo la nostra esistenza come se dovesse durare in eterno; dopotutto è la verità umana più comune. Lo facciamo tutti, cazzo. E infine, come ovviamente doveva essere, ci ritroviamo con l'errore più grave che facciamo. Così lasciamo correre le cose belle per soffermarci sulle cose brutte, Accumuliamo ettolitri di invidia senza renderci conto di quanto questa cosa prima distrugga chi ci sta intorno e poi, infine distrugga anche noi. Accumuliamo badilate di rancore, senza renderci conto quanto questa rabbia ci consumi, scaricandosi anche su chi ci sta intorno. Accumuliamo pire di senso di colpa, a volte ben giustificato se possediamo una coscienza seppur minima che ci distingua dalle cavallette (cosa di cui mi è capitato a volte di constatare con sommo rammarico non essere così, ma alcune persone temono ciò cui somigliano). E rifiutiamo inoltre ciò che ci guarirebbe, come quella gente fissata che non vuole farsi curare e si fa del male senza tener conto che chi gli vuole bene perde anni di vita ogni volta che capita loro qualcosa. Dannati egoisti: la vita è ciò che fate di essa, ma se desiderate qualcuno che vi soffi il naso, imparate a meritarvelo.
A volte parlando con le persone mi rendo conto che alcune cose si ripetono nella vita di tutti con uno standard che avrebbe dell'incredibile se non fosse possibile intuire la presenza di una sorta di coscienza collettiva. Cazzo, a volte è proprio pazzesco. Perché deve essere sempre così dannatamente difficile? Magari poter trovare una sincronicità nuova, abbandonando il passato, il sapore delle lenzuola, i fiori appassiti, la luna che spacca il bosco, i canti senza voce, lo speziato sapore delle lacrime, l'immagine di quella doppia lama che scintilla di un brillio che dura un solo istante, un riflesso che ti abbaglia prima di calare veloce qui dentro, affondando come un sasso in mezzo ad uno stagno, tagliando come un ferro caldo scioglie il burro. Alcune cose ti lasciano l'amaro in bocca proprio per come le hai vissute, per la breve intensità dei momenti, altre no, altre volte è diverso.
Una volta ero in giro a cercare erbe. Con me c'era una ragazza che desiderava imparare a riconoscerle. O almeno, così era all'inizio. Alla fine ho capito che mi seguiva solo per un motivo che non era il mio. Lasciamo correre va. Come sempre capita quando passeggi, finisci con il fare discorsi sulla vita, l'universo e tutto quanto, (per poi discutere del perché la risposta è 42). Ad un tratto mi ricordo che stavo tagliando delle foglie di tarassaco per la divinazione. Eravamo rimasti intrappolati in uno di quei paradigmi senza via di uscita, di quelli che mi riescono dannatamente bene quando sono nello stato sospeso tra la sobrietà e l'ebbrezza, in quel limbo (solvo et coagulo) dove potrei dire sempre la verità se mi si ponessero le domande giuste; ricordo che poco lontano da noi sorgeva un salice piangente. I lunghi rami penduli, come liane, solleticavano il terreno. Il vento le scosse e loro mi parlarono di quella vecchia zona paludosa con la loro voce sospirante e lagnosa, densa dei ricordi che quell'albero portava con sé. Eravamo intorno a questo periodo: i fiori si aprivano, le rosacee e le malvacee davano boccioli e l'aria era frizzante. Ancora non conoscevo quella che sarebbe diventata la stupenda madre di mio figlio, ma sarebbe mancato poco. Il suo arrivo era già nell'aria. Proprio mentre le mostravo la forma del dente di leone, come tagliarlo, lei mi pose uno pseudo quesito che non c'entrava un cazzo (ma che piace ai giovani). Mi chiese se secondo la mia religione esistesse l'essere destinati a qualcuno. Ricordo che per poco non mi tagliai via una falange con il mio vecchio bolline, uno pseudo tagliacarte affilato. Presi questo evento quasi come una richiesta di sacrificio da parte della pianta. Mi alzai, la schiena mi doleva e stavo entrando in quello stato di mancata estasi, come quando interrompi un orgasmo. Le alternative erano due: o la accoltellavo ferocemente per poi lasciarne il cadavere in pasto alle creature della foresta o le rispondevo con quanta più sincerità potessi estrapolare dalla situazione. Già, come ben potrete immaginare, dal momento che sono ancora incensurato, in quella visione scostante (poco sopra passava una statale e una macchina strombazzò nel mezzo del bosco), mi ritrovai a rispondere al suo pseudo quesito. "Io so questo. E lo sento dentro. In una vita incontri una e dico una persona che ti rimane dentro il cuore per sempre e sempre e sempre. Le altre sono passioni grandi, amori bellissimi, compagni meravigliosi di vita ma... una sola è la persona per cui ti batte il cuore in sintonia. Il problema è che... come due gocce di pioggia che cadono allo stesso momento in una danza meravigliosa, se è perduto quell'istante non si ritroveranno mai più in questa vita; non nello stesso modo. Mai due volte nello stesso modo. Si rimanda l'amore alla prossima vita". Proprio recentemente in una delle mie infinite chattate giornaliere con qualcuno ho ripreso il discorso e così adesso ci penso e mi dico... Cazzo, è tutto vero. Ma sempre che sia possibile! Sempre che non si viva nella paura del riconoscersi. È questo che ci inchioda a questa trottola su cui giriamo e giriamo e giriamo, come pazzi. Inseguiamo chi non ci desidera, o come dice sempre la mia cara amica saggia, amiamo veramente chi possiamo ma non sempre chi vogliamo (a parte le volte di cui te ne convinci per via comoda). E non c'è niente di brutto o sbagliato in questo, ma è così. Scegliamo sempre, ma non come seconda scelta, bensì in base a ciò che ci capita secondo variabili che sono sotto il nostro controllo fino ad un certo punto. O forse davvero tutto è una prova per mantenere il nostro maggese vivo e sano in modo che la semina possa avere frutti, quando decideremo che è tempo. E se nel tempo ci aggiriamo e capiamo finalmente che scorre e scorre e passa e quando scorre e passa non torna, che si fa? Si vive nel rimpianto? O si lascia andare? Proprio come quella bottiglia lungo il Seveso: acqua di fiume, portala via con te, per sempre e mai più a ritroso!
Una persona prima o poi ci deve fare i conti con sta cosa. Fare i conti con l'inseguirsi, con il se stesso che va e che viene, con la continua metamorfosi. Fare i conti con i legami che ha nella propria vita, con quegli sguardi che ti lanci con perfetti sconosciuti e non sai perché provi paura, rabbia, angoscia, attrazione fatale. Alcuni poi devono fare i conti anche con le persone che affermano di essere sicure di averti conosciuto o sposato in una vita passata; a volte è tale che se avessi un account facebook avrei settemila amici che giungono direttamente dalla mia vita passata in Frigia, da quella nel Messico precolombiano, quella del Peloponneso, quella lussemburghese ecc... ecc... ecc... Fortuna che alcuni imparano anche a creare un certo tipo di filtro sulle stronzate.
In che modo ci apparteniamo? In molti. Ad esempio... Polpetta invecchia. Lo vedo ogni giorno. Eppure lei e Salsiccia sono giovani, due mici snelli e sani ed in forma, ma la vedo, è stanca e man mano il tempo passa anche per lei. Noi siamo compagni di avventura, soprattutto da un anno a questa parte e li vedo coccolarsi, leccarsi, giocare. Loro si appartengono. Non si chiedono nulla l'un l'altro, solo esserci per dormire acciambellati sulle mie coperte, fare a gara a chi finisce per primo la pappa, creare associazioni a delinquere ed escogitare blitz per rubare da mangiare senza farsi beccare dal sottoscritto e nel caso poi recitare la parte degli gnorri. Loro si appartengono in un modo che a noi sfugge, lo fanno con una libera lealtà che fatico a trovare nel mondo. Per loro non esiste il passarsi sopra l'un l'altro, il mostrare false maschere.
Ad esempio invece Fossati sostiene che tutto l'amore sia carte da decifrare, tutto segni da imparare. A volte però è così difficile interpretarle e capirle. A volte è proprio come non esistere in altre forme che non quella più pesante ed atomicamente instabile mai vista, come se fossi basato sul laurenzio e non sul carbonio. Ogni passo, cariatide, come se fossi in fuga da qualcosa che non riconosco più, che è mio solo per la vana ricerca di ciò che non ho avuto. E se non l'ho avuto, come posso dire che l'ho dato? Ah, Dea, tu che conosci ogni via, ogni singola sfumatura, sapresti forse darmi quella semplice risposta? Ma la realtà non è che non la sappiamo; la realtà è che la scopriamo solo arrivandoci, percorrendola. Eterno ciclo (ed io etterna duro), che speranza pensi di poter avere prima del tempo? Ogni cosa giunge quando deve, mai prima.
Sai, vorrei poterti dire di non lasciarti abbandonare. Vorrei poterti dire qualcosa che tu ascolteresti davvero. Ma dire alcune cose è come avere un coltello piantato qui, sul piede destro. Quanto meno posso girare in senso orario, che ne dici? Purtroppo quando la pietra sanguina, e sanguina davvero, allora ti rendi conto che Blitz (naso ad uncino) aveva torto. Volta la schiena, prendi quel pennello, intingi le setole nel colore, sì quello color vermiglio va bene, piazzalo su quella tela e dipingi, cazzo, esprimi. Dipingi quel dannato mondo che vedi e da cui scappi. È tutto lì. È lì. Non è il corpo la schiavitù dell'anima. La prigione è un'altra. Il corpo non sarà mai libero quando dentro sei prigioniero. Le catene invisibili mai si spezzeranno finché la forma mentis rimarrà intrappolata nell'icona del materiale. Vivo germe, ascolta. Ascolta. Il fiore che batte il ritmo dentro te richiama ciò che sei. Ascoltalo. Non è una questione di tempo. Non è una questione di attesa. Non è una questione di riserva delle nostre scelte. È solo la decisione di smettere di credere di poter volare e perdere la facoltà di farlo. C'è chi vive e c'è chi muore e nessuno al mondo, umano o no, può far altro che ritardare tutto ciò. Non puoi evitarlo. Tu non meriti la morte, non più di me o di Paris Hilton; perché tutti la meritiamo, dal momento che fa parte della vita. Puoi però scegliere di vivere in un modo diverso da quello che stai vivendo; smetterla di scappare, smetterla di morsicarti braccia e gambe.
Una volta ero in alta montagna. Uno spaccato di cielo immenso mi faceva capire che c'era un grande mondo là fuori, che si stendeva ovunque. Ma come diceva Ligabue: "di così tanto mondo c'è solo un posto in cui possa tornare e gli scappa una stramaledizione". Passai la mano sul cuore, per togliere quelle spine che si erano infilate dentro, in profondità, ma più le toccavo più affondavano, finché nei mesi, ripensando al calore dolce di quell'erba, di quei prati, di quegli abeti sacri che mi circondavano, del fischio delle marmotte che mi ritenevano una minaccia, nel ronzio di quel bombo che non avrebbe potuto volare ma non lo sapeva e perciò impollinava, mi resi conto che quelle spine ce le avevo infilate io lì dentro. Quante cose cambiarono poi, consapevolezza giunta. Una valanga infinita. Non sentii più ciò che dovevo, ma solo ciò che volevo. Nel freddo e nel gelo mi scavai la via verso la superficie. E fu lunga e tortuosa ma vi arrivai, infine. Giunsi. E fu come correre nudo nella foresta, tra aghi di pino e foglie di larice, urlando come la mandragora estratta dalla terra, tanto da uccidere il cane nero e affamato che la sradica.
Ci apparteniamo? Sì? Acini d'uva di un grappolo. Le lunghe radici affondano il terreno, affettando ogni singola vena d'acqua alla ricerca disperara di sollievo. Io vorrei sapere perché, nella complessità dell'inseguirsi, le cose non possano essere più semplici, come chi mi chiede innocentemente perché i legni sacri sono nove (e non vi dico per trovarli tutti). E tu, Iris, signora dell'arcobaleno, abbi pazienza nei tuoi meravigliosi colori, immortale signora, ma reca teco sulle tue ali di moltitudini cromi, una volta sola ancora, il mio messaggio. Tutto è imperfetto. E l'imperfetto deve morire, deve mutare, deve distruggersi per ricostruirsi. Ogni sette anni io muoio e rinasco e a livello biochimico (come mi hai ricordato anche tu il mese scorso; sì tu che starai leggendo or ora queste righe - e sì che ti penso e ti sogno, ammesso che tu abbia dubbi a riguardo, ti sei avvicinata per allontanarti e come dici tu, che triste ironia, ma alcune cose non funzionano come vorremmo) ogni sette anni il corpo umano si rigenera interamente, in ogni sua singola cellula. E non possiamo essere interamente consapevoli di ogni singola cosa, nel medesimo momento in cui capita. Come la pietra non è consapevole dell'intelligenza, ma vibra della stessa identica energia di cui vibriamo noi, perché ne facciamo parte. E le vibrazioni fanno la mutazione, la diversità, la mescolanza. Noi cresciamo nella mutazione di ciò che siamo, dei pensieri, delle consapevolezze, delle impressioni e la morte ci coglie in relazione a ciò che cambia e la vita ci assale in relazione a ciò che rimane stabile e nasce dentro noi: siano essi semi nel terriccio umido o uova colorate da donare. E la vita continua la sua manifestazione, smontando, ricreando, rivedendo, reinventando tutto quanto, continuamente. Perché tutto è vibrazione e mutazione. Io sono Giulio Cesare e Brenno e Mao Tse Tung e Attila e Garibaldi e anche il singolo plebeo che è morto di fame e stenti arrancando tra gli avanzi gettati dalle mura di un'abbazia. Perché la loro essenza, mescolata, risiede nelle cose e la loro energia, mai sprecata, torna nel ciclo dell'essere.
Ci apparteniamo quindi? Sì. Ci apparteniamo. In ogni singolo istante di questa vita e della prossima ci apparteniamo. Ma possiamo scegliere. Ciò che ci distingue nella nostra mutazione/vibrazione è la scelta. Le anime si inseguono ma non dobbiamo abbandonare la nostra via nella rassegnazione di ciò che è stato in scelte passate. Siamo legati comunque, ma come mi hai insegnato sempre tu, tutti sono compagni di viaggio. Anche quelle persone che pensiamo di voler avere al nostro fianco per sempre per proteggerle, amarle e non permettere mai al mondo di ferirle perché sentiamo di aver bisogno di loro e di far sì che loro abbiano bisogno di noi; anche loro sono parte della mutazione, della morte e della vibrazione. E un giorno andranno via, a tracciar nuove strade e a costruirsi il loro destino. E non sarà nostro dovere fermarle, ma lasciarle andare.
Quando ho gettato via ho però sentito che dovevo. Avevo gioia dentro, come quando ti togli una spina dolorosa da sotto un'unghia. Se tornassi indietro non coglierei più ma guarderei da altre parti. Ecco, mi chiedo, quale forma potrà mai prendere l'amore come manifestazione dello spirito stesso convogliato sopra la materia se non vinci il potere che il desiderio insito nella carne e nella visualizzazione di ciò che credi di poter essere (omnia tempus habent) un giorno, esercita su di te in un modo tale da renderti schiavo? Equilibrio. In base a ciò che sei, ciò che diventerai, ciò che è in tuo potere diventare in questa vita per le scelte che ti sono concesse, ma crescita ed elevazione. Cazzo. Equilibrio. Dentro e fuori. Noi ci attacchiamo alla vita come le api al miele. L'istinto ci guida a questo. Nonostante non sia la nostra unica chance noi cerchiamo di viverla sempre come se lo fosse. Ecco che cosa ci rende così deboli eppur forti. La nostra capacità di scegliere.
Come ti ricordo, impavido, spalle curve, occhi socchiusi mentre mi puntavi il dito addosso parlando del messia in cui non credevi per parole portate dai preti, ma per ciò che hai letto e vissuto. E alla fine eri apostata. Mi hai ispirato tu il grande amore per la teologia, la teosofia, la filosofia stessa. Il potere della conoscenza. Eppure eri schiavo del tuo ego, schiavo della tua materialità, schiavo delle tue scelte autodistruttive portate a comportarti nel medesimo modo che contrastavi all'esterno, ma che riconoscevi all'interno. Pensi forse che non l'avessimo capito tutti? Quanto eravamo giovani io e te. E andavamo in giro come divinità incarnate. Sin dal primo istante a far braccio di ferro. Eppure ci rispettavamo. Tu tenevi lo sguardo alto, quasi scocciato, quando io chiedevo il permesso ad un albero per cogliere un fiore. Siamo cresciuti, siamo diventati adulti, ma la nostra finta invicincibilità l'abbiamo abbandonata nel mutamento, nella morte, nella vibrazione. Io ora sono più forte di prima proprio perché non mi sento più invincibile, perché accetto il cambiamento, perché lo vivo. Sono più forte di prima proprio perché ho perduto, perché ho sofferto, perché ho avuto paura, perché ho gridato, perché ho pianto, perché ho desiderato di potermi strappare Anahata a morsi. E sono più forte perché ho visto e sono sopravvissuto per raccontarlo; perché come disse Hugo "sono stato al bagno penale e ne sono uscito vivo".
Viviamo di cambiamento, di mutazione. E le cose cambiano sempre. La morte stessa è solo un passo verso la purificazione, l'abbandono di strati di pelle morta; un po' come ripulire la propria lista dei contatti di MSN, insomma. E nel cambiamento... ciò che deve essere sistemato, verrà sistemato. La memoria umana potrà anche durare una vita, ma quella divina no. Quella divina sistema sempre ogni cosa. E non c'è scampo. Credimi. Codardia o no, sia che strisci nel tuo buco come Gollum sia che decidi di alzarti in piedi e dimostrare di avere una spina dorsale, i conti verranno pareggiati.
Come disse Silesio: devi amare qualsiasi cosa desideri divenire. Quanto spesso diveniamo ciò che invece detestiamo? Quanto spesso ci avviciniamo a comportarci come abbiamo detto che mai avremmo fatto? Che curioso scherzo che tendete sempre a farci. Ci mettete di fronte alle difficoltà in modi sempre diversi, con quell'amaro senso dello humour che vi caratterizza e poi ci osservate. Dico sempre che vi fate delle grasse risate. Non vi vedo come moralisti, sadici, o padroni assenteisti, come diceva invece Al Pacino. Però delle gran risate ve le fate di sicuro. E questo ci insegnate: la mutazione nella forma e nella funzione. E non fermarsi solo alla forma, come molti fanno. Andare oltre.
Ancora, mi chiedo e mi chiedi: ci apparteniamo? E ancora sì ti ripeto. Ti appartieni e io mi appartengo. E se non ci apparteniamo in un forma, ci apparteniamo in un'altra, nelle diverse mutazioni e nelle diverse vibrazioni che possiamo percepire e vivere. Tu non lasciare che la radice sostanziale di un albero, che affonda negli abissi della terra in una profondità pari a quella con cui si proietta verso il cielo, sia l'unica singola via con cui questo stesso albero riceve e coglie il nutrimento dalla terra. Non lasciare che le sbarre chiuse a te intorno ti impediscano di respirare: apparteniamo a noi stessi e a nessun altro, però nell'appartenere a noi stessi viviamo in un mondo composto da persone nelle quali puoi credere e nelle quali puoi confidare. E non tutte queste stesse persone cercano un sole intorno cui girare o un satellite che invece vi giri intorno, o anche solo un cielo dove poter splendere. No. Alcuni vorrebbero solo splendere nella volta celeste assieme a te.
Sai, un saggio dice di non ascoltare i consigli, ché sono una forma di nostalgia. Alcuni, forse varrebbe la pena ascoltarli. E come disse un altro saggio: lo vuoi un consiglio? Non mi ascoltare.

D.