The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Yule 2012

Yule 2012

Ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto, è ovunque, in tutto ciò di cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di vedere le cose.

Ci sono rari momenti in cui rifletto sulle strade della nostra vita. A volte gli eventi ti portano a mettere la testa forzatamente su qualcosa e a non distoglierla finché tutto non è perfettamente in ordine, a posto, incasellato, così che si possa passare oltre. Ma in parte credo che sia un dilemma di noi occidentali dover per forza incasinarci il cervello con le questioni irrisolte senza riuscire ad andare avanti così, come deve. Come diceva Christopher Mccandless: C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un'esistenza non convenzionale.. Una strada quindi è percorribile solo nel momento in cui decidi di affrontarla, nel momento in cui compi il primo passo su quel cammino. Qualsiasi sia la strada, sia quella che ci porta alla ricerca della completezza della nostra vita, sia quella che ci porta a ciò che di più vicino al concetto di verità noi spereremo mai di giungere.
A volte siamo così dannatamente preoccupati di controllare con assoluta certezza che non ci sia niente fuori posto che in ultimo perdiamo il concetto che sta sopra tutto questo: il perché. Quando vivi una vita in relativa sicurezza, con concetti che rimangono mediamente fissi, il cambiamento può diventare il mostro più terrificante da incontrare. Forse siamo tutti un po' hobbit, no? Questo nostro stile di vita quasi ci impone questa stanzialità, il bisogno di avere qualcosa, che questa sicurezza ci sia garantita. Per noi e per i nostri figli e per le persone che amiamo, e poi ancora oltre, sperando di poter avere qualcosa da lasciare, un pegno di noi stessi. Ma in realtà a volte questo bisogno di sicurezza sfocia nella paura dell'incognita, dell'ignoto.
Una volta ero ad una sagra di paese assieme a Carlo, un vecchio amico di Borgotaro. Ci stavamo bevendo amorevolmente delle birre guardandoci in giro commentando le ragazze che si aggiravano e ad un tratto mi ha indicato un uomo. Era anziano, la faccia arrossata da capillari esplosi, ma come molti altri contadini non era assolutamente un flaccido. Sono persone semplici, ma sanno ciò che la vita può dar loro e si organizzano di conseguenza. "Quell'uomo", mi disse Carlo, "È stato per anni nella legione straniera. Qualsiasi tipo di animale che esista lui lo mangia o comunque lo ha mangiato". Rimasi sorpreso e notando la mia espressione lievemente scettica continuò: "Sì, davvero. Prova a pensare ad un animale qualsiasi e fidati che lui l'ha mangiato almeno una volta". Io riflettei su cosa sarei stato disposto a mangiare e la mia folta cultura letteraria mi fece balenare immediatamente alla mente il solitario romanzo di Poe che narra dei quattro naufraghi e di quella scena in cui, sconcertati, incontrano la nave fantasma piena di cadaveri devastati e del corvo che, nutrendosi di uno di essi, gettò sul ponte, dinanzi al protagonista, un fegato nerastro e di come Gordon Pym sentisse l'appetito assalirlo anche solo a guardare quel pezzo di carne morta decomposta. In una condizione diversa da quella in cui vivo probabilmente mangerei qualsiasi cosa, anche ciò che non sarebbe normalmente parte dell'alimentazione umana. Ma quante sono le cose che non si considerano perché viviamo in uno status che ci concede di non pensarci. Così spesso nel cammino che compiamo, giorno dopo giorno, passo dopo passo, scopriamo cose che non avremmo pensato. Attendiamo con costanza il momento senza, spesso, andare a cercarlo. Impariamo, certo. Se siamo abbastanza capaci di vedere esploriamo l'oscura nube che ci insegue, contempliamo il potere senza rimanerne affascinati, senza temerlo e senza usarlo con crudeltà. Ma a volte la crudeltà sta più nelle azioni che non compiamo ma che accettiamo che gli altri compiano senza dire niente. Quanta paura che domina le persone. Paura di non essere abbastanza, paura di lasciarsi andare... paura di crescere soprattutto. A volte sono solo difficoltà, a volte sono sfide, a volte le difficoltà sono proprio sfide. Ma a volte, sopra tutte queste cose c'è ciò che dobbiamo imparare e saper distinguere. Il valore di ciò che apprendiamo è in gran misura calcolato sulla difficoltà che noi impieghiamo per imparare. Certo, ci sarà sempre chi è propenso a cercare delle scorciatoie, ma sono le difficoltà che rendono meritevole e motivano i nostri gesti.
Non vi fermate mai a chiedervi che cosa stiamo facendo? Siamo sulle soglie di una nuova era. Magari molte persone decideranno che non varrà la pena valicare la porta, altre semplicemente non se ne renderanno nemmeno conto. Ma noi sì, noi dovremmo sapere che cosa sta succedendo. E noi abbiamo tutti un compito particolare da svolgere, da compiere, da portare a termine, qualcosa che va oltre il mero sopravvivere. Il mio è piccolo ma grande, come quello di tutti noi, ma vi dedico la vita comunque e sono anni che si accumulano su altri anni e mesi... mesi che si accumulano su altri mesi. È curioso come il guardare quell'orizzonte in continuo mutamento lo si veda sempre uguale anche se sempre diverso. Come è anche curioso sentire parlare di destino, e d'amore. Soprattutto da chi sa solo riceverlo senza darlo. E poi di perdono, senza che si sia in grado di perdonare se stessi. E magari di giustizia... e sapere giudicare senza sapere cosa siano amore e perdono. Ma a ripensarci è più buffo sentir parlare proprio di destino, come se fosse qualcosa di fermo, immoto, come se noi non si sia in alcun modo responsabili di ciò che ci gira intorno, dei passi che facciamo sulla sua rete, dei nodi che dobbiamo incontrare e ci aspettiamo anzi che funzioni a se stante, che ci ponga di fronte le persone che dobbiamo incontrare, che ci faccia notare i punti da superare senza che noi si faccia nulla per andare incontro alle situazioni che dobbiamo risolvere e alle persone con cui sentiamo di avere dei sospesi. Quanto può essere disastrosa la stabilità, ci inchioda un piede facendoci girare in tondo, come lo scarabeo legato al chiodo dentro il banco lasciato vuoto da Rowan Morrison.
Non ho mai creduto che ci fosse niente di male nel non sapere che fare della propria vita. Ma forse è solo perché quando mi guardo avanti io vedo sempre una grande incognita. E se mi guardo indietro... beh, diciamo che forse è meglio se riporto lo sguardo davanti. La mia prima insegnante diceva sempre che non aveva senso tenere chiusa la mano per cercare di trattenere il potere. Il potere lo ottenevi solo se la mano stava aperta. È un concetto che mi ha incuriosito sempre molto. Un concetto che mi ha fatto spesso riflettere perché può voler dire molte cose e la mia accezione di "potere" è qualcosa che è, in molti aspetti, cambiata secondo il mio punto di vista nel corso degli anni in cui ho avuto modo di sperimentarlo. Ma forse lei intendeva tutto quanto, tutto insieme. Un po' come dire: "noi". Può voler dire tutto e niente.
Questa affermazione mi fa capolino in mente ogni volta che osservo i comportamenti delle persone che mi sono vicine, quelli che hanno la sindrome del controllo, quelli che pianificano quindi ogni singolo cazzo di momento della loro vita e vanno in uno sbattimento senza pari quando qualcosa spacca i loro piani come una mela acerba. Ma mi viene in mente anche vedendo coloro che più di molti altri sono assetati di quel potere che non capiscono e che si presenta sotto spoglie diverse: la notorietà, la visibilità, la considerazione e l'influenza sulle altre persone. Presa e afferrata senza vedere cosa sia in realtà. E mi chiedo sempre, è questo il concetto che voleva esporre Lucrezia? Ossia che alcune cose hanno senso solo in un certo contesto, in un certo metodo. Un po' come la felicità o l'amore... che hanno senso reale solo se condivisi con qualcuno. Forse ho perduto tempo nella mia vita. Anzi, chi cazzo voglio prendere in giro? Ne ho gettato a badilate. A volte fermo ad osservare, seduto, senza sapere cosa volevo fare, e poi ad attendere qualcosa che non sapevo nemmeno io riconoscere, nel caso mai si fosse presentata. Ad aspettare e osservare che cosa? mi chiedo ora. Non capita dannatamente troppo spesso che la risposta sia davvero la domanda?
Qui, intorno a me, sono mesi che si scherza sul fatto che ormai manca solo un giorno al fatidico momento. E ho sentito molti attendere, come se qualcosa dovesse capitare davvero... ma poi la vita ti reclama e così automaticamente pianifichi. E mi viene in mente il romanzo di Kafka, le Metamorfosi. Quando l'insetto mostruoso in cui Gregor Samsa si è trasformato senza nessuna ragione apparente infine, maltrattato, muore, ecco che la madre come se niente fosse va avanti, procede; non si ferma. Guarda la figlia e pensa: "è quasi in età di marito". Vedo lo stesso concetto che Shakespeare espresse nell'Amleto: "Gli avanzi del cappone del banchetto per il funerale di mio padre vengono serviti freddi al matrimonio di mia madre". Anche se ora fioccano gli scherzi io vedo negli occhi di molti il sollievo. Abbiamo bisogno di pensare al domani, di pianificare qualcosa, di pensare a cosa vorremmo fare. Abbiamo bisogno di impacchettare dei regali e sapere che li doneremo alle persone che amiamo. Abbiamo bisogno di proiettare i nostri pensieri al futuro e non lo facciamo soltanto perché consideriamo che sia certo ma perché la consapevolezza di pensarci lo rende più reale.
Ricordo che tempo fa una mia amica voleva andare a vedere i Nirvana. Volevano comprare i biglietti per la data del 25 febbraio al Palatrussardi di Milano. Era il 2004. All'ultimo momento, per un motivo o per un altro, l'amica con cui doveva andare rinunciò e lei non poté partecipare all'evento. Sua madre ricordo che le disse: "Non ti preoccupare, sarà per la prossima volta". Il 5 aprile, poco più di un mese dopo, nella sua casa di Seattle, Kurt Cobain si infilò la fredda canna della doppietta in bocca e si sparò via il cranio, ridipingendo la parete.
Non ci fu mai una prossima volta.
Ora, chiunque sa bene che ogni volta che saluti qualcuno può non essere un arrivederci ma nonostante tutto salutiamo chiunque come se ci si vedrà molto presto. Se c'è una cosa che internet e i social network hanno portato di buono (forse l'unica cosa) è che, finché vivranno, esisterà un modo per potersi mantenere in contatto anche se si è dannatamente distanti. J. è andato in regno unito, P. lo sta per seguire, M. è in Cina e sento di persone che stanno pianificando di andare via da questo paese, per costruirsi una vita diversa, per cercare di seguire la loro strada e non si sentono in colpa per chi si lasciano alle spalle perché non vivono la loro vita in funzione a chi sta loro intorno, come è giusto che sia. E quando li vedo, li saluto tutti come se dovessimo vederci domani. Non lo faccio perché detesto in qualche modo gli addii o perché, in qualche altro modo, penso che sia di cattivo auspicio salutarsi come se non ci si dovesse rivedere. Ma di fatto perché quando senti un legame con alcune persone tendi a non sentire prettamente il bisogno che ti stiano vicine per aiutarti a costruire la tua sicurezza nella vita, ma sapere che comunque stanno bene, che fanno ciò che devono fare... che sono vivi, da qualche parte, sotto questo stesso cielo. Anche se poi magari non li rivedrai mai più. E pensare che, più il tempo passa, più gli addii sono frequenti non ci spinge a smettere di vivere la nostra vita comunque, andando avanti, pronosticando, verificando, lasciando tracce. Lo facciamo tutti. A volte, in questi momenti, mi sento così stanco, forse invecchiato. Anzi, diciamo certamente invecchiato. Ma sia nell'aspetto positivo che in quello negativo di questo termine. Mi sembra che il peso di tante cose mi sia sempre più insopportabile. Ed una cosa sola rende la faticata degna di essere perseguita: l'obbiettivo del significato da cercare... non quello di trovarlo. Forse ho avuto anche poco tempo per pensarci, meno di quello che sarebbe normalmente necessario... ma ritengo che il significato reale sia la ricerca del significato. Ecco cosa non renderebbe un mancato evento tutto quanto. Henry David Thoreau mostrava proprio questo in quel famoso passo di Walden: "Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici"
O forse, molto più semplicemente, abbiamo bisogno di disimparare a come pensare alle cose e farle e basta. Ci rifletto sul modo in cui canto. Io non penso a come produrre un suono, ma semplicemente riproduco un suono, utilizzando la mia voce nel modo in cui so farlo e nel momento stesso in cui desidero farlo. È quindi un connubio di analisi, forma e capacità; ma tutte fuse in quello stesso momento. È solo il vivere l'istante e poi andare oltre. Come vivere l'esperienza dell'astrale, circa. Hai la sensazione che qualcosa non sia propriamente appartenente alla realtà ordinaria: vuoi i colori non del tutto "naturali", vuoi la percezione del mondo che ti sta intorno e vuoi la capacità di comprendere ciò che ti circonda con sensi differenti. Occhi per volare e ali per guardare, diceva una vecchia canzone. Qualcosa di simile, se vogliamo.
In molti mi chiedono: "ma che succederà al Solstizio?". Io, il più delle volte, specialmente quando non ho un cazzo di voglia di mettermi a disquisire su piani sottili, evoluzione ecc, rispondo loro: "Molte cose, ma come spesso accade, la maggior parte di ciò che accade ci rimane precluso finché il concatenarsi degli eventi ad esso associati non divengono irrimediabilmente evidenti e quindi non più semplicemente ignorabili anche da una mente semplice come la nostra". Altre volte semplicemente rispondo: "Vedi, la nostra stella, nel suo moto annuo apparente lungo l'eclittica in questo periodo viene a trovarsi proprio alla sua minima declinazione coincidente con l'angolo di inclinazione dell'asse terrestre. Pertanto, dalla nostra posizione geografica abbiamo il giorno con il minor numero di ore di luce e il maggior numero di ore di buio di tutto l'anno". A volte ancora rispondo: "Mah, non so te, ma da me si festeggia e io stapperò l'idromele che ho fatto e per il quale sto aspettando da oltre quattro mesi e magari spero anche di fare l'amore con la mia donna". A volte assentiscono con le labbra ben serrate e gli occhi distanti, come se avessi detto loro che in fin dei conti la cacca puzza e tanto basta sapere, altre volte invece mi guardano con aria assente e stranita e io, come sempre mi dico: pazienza, c'è tanta gente stranita in giro per il mondo.
In fin dei conti io lo so che cosa sono queste domande. La gente ha bisogno di essere sicura. Ha bisogno di sapere che domani ci sarà ancora, che potrà accendere il computer e aggiornare il profilo di FB con scritto che odia qualcuno, o lanciare frecciatine idiote senza né capo né coda cui qualche idiota risponderà sentendosi coinvolto in puro spirito egocentrico, oppure commenterà senza sapere un cazzo di ciò che quella persona voleva dire. Perché che non sia mai che possa sorgere il sole su un giorno in cui una provocazione non venga colta o che una persona possa pensare o dire qualcosa che non ci riguardi personalmente. La gente ha bisogno di avere un luogo dove andare, di avere una meta da raggiungere, di avere qualcuno che ci insulti e che ci odii, perché quanto meno significa che le persone ci tengono in considerazione. La gente ha bisogno di avere delle scarpe da mettere che possano parlare dei luoghi dove andranno oltre che di quelli dove sono stati. E forse non importa quanto sia grande una scatola di scarpe. Le persone, in genere, hanno bisogno di avere una certa base di sicurezza. Anche se non ci è concesso sapere al cento per cento, subito, se ciò che stiamo facendo sia la cosa giusta o meno, abbiamo bisogno di guardare avanti, proprio come la madre di Gregor Samsa.
Sorgerà il sole domattina. E poi anche dopodomani mattina. E il giorno dopo. E noi saremo ancora qui, ogni giorno, a rischiare la vita ogni volta che ci svegliamo e che andiamo a dormire. Non contano i giorni che ci rimangono da esistere, conta solo ciò che decidiamo di fare di essi. Voglio dire, quindi, a tutti quelli che amo (che sono tanti) che anche se dovesse caderci il cielo sopra la testa, è stata una figata camminare su questo sentiero con voi.
Felice passaggio. E che vi possa portare saggezza e consapevolezza.