The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Etimologia di Diana

Etimologia di "Diana"

Come per altre dissertazioni, non aspettatevi risposte ed affermazioni certe nelle righe che seguono (sembra una puntata di Voyager...).
Anzi: potreste trovare spunti di riflessione i quali necessitano di ulteriori approfondimenti che potreste eventualmente voler condividere. Sarò quindi ben lieto di ospitare le osservazioni sull’argomento che venissero proposte.
Dunque, ero partito da un articolo su dee e janas in terra sarda, di Rosanna Fiocchetto che avevo incominciato per interesse correlato a Petra Bialas, apprezzata artista che da anni si ispira nelle sue ceramiche e sculture alle raffigurazioni delle dee pre-patriarcali.
Trovai che la parola Jana è comune in tutto il Mediterraneo; è la dea Jaune nei paesi Baschi, l'etrusca Uni, le romane Juno e Diana, la cretese Iune, la Ioni asiatica. Inoltre, le affinità con reperti archeologici in altri luoghi distanti migliaia di chilometri dimostrano che la cultura matriarcale era basata su un linguaggio omogeneo diffuso in tutto il mondo, come ha affermato l'archeologa Marija Gimbutas.
A questo punto ho messo in relazione il culto di Giano e di Diana e le scoperte non sono mancate. Innanzitutto ho trovato che Iana è, per Varrone Reatino, Diana nel suo aspetto lunare, e quindi ancora abbastanza distante dal carattere rimodellato sulla greca Artemide. Esiste però negli scritti di Tertulliano un’altra Iana: si tratta di una poco conosciuta Giana, dea dei passaggi che rappresenta ovviamente il corrispettivo femminile di Giano.
Questa assonanza tra Giano, Giana e Diana mi intrigava non poco, anche da un punto vista strettamente personale, visto il mio cognome (Gianese)...
Comunque, ritornando in Sardegna, sono andato a vedere qualcosa sulle Domus de Janas.
Il nome popolare significa letteralmente "case delle fate", ma in realtà esse sono delle tombe scavate nella roccia dalle popolazioni che vissero in Sardegna nel Neolitico, prime fra tutte quelle della cosiddetta "cultura di Ozieri", che fiorisce nel periodo compreso fra il 4000 e il 3000 a.C. circa.
Poi mi sono ricordato delle Janare di Benevento: il legame mi sembrava veramente stretto; infatti parrebbe che nel dialetto beneventano non esista nemmeno la strega, ma solo la janara. È con tale nome infatti che si indica una donna, che possiede poteri magici, conosce le virtù delle erbe, pratica alcune operazioni mediche.
La figura della janara appartiene al patrimonio folclorico, mentre invece si considera la strega come una figura letteraria.
La janara è una figura della tradizione popolare. Come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe, ma sa scatenare tempeste. Nella coscienza popolare non si associa la janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma solo magiche, come l’Uria , la Manalonga, le Fate. Appartiene cioè ad un universo estraneo a quello umano e per questo temibile ed incomprensibile come tutto ciò che è diverso.
L’etimologia per me dubbia, proposta per il termine popolare janara metterebbe in connessione tale nome con il latino ianua = porta, in quanto insidiatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile a quello femminile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute).
Però opterei per un’altra interpretazione. Janara è termine comune nel beneventano per indicare la strega e lo si trova anche nella variante ghianara. La semiconsonante iniziale è l’evoluzione naturale del nesso latino di, come nel caso di diurnum - juorno. Pertanto il termine non proverrebbe da ianua – porta, da cui il Giano custode delle porte-, in cui la i evolverebbe in g (cfr. Ianuarius Gennaro, ma anche Gennaio), ma da dianaria o dianiana, aggettivo derivato da Diana , equivalente a “seguace di Diana”. L’antichissima divinità italica, dea federale dei Sanniti e protettrice della plebs romana, è chiamata da Cicerone dea della caccia, della luna e degli incantesimi notturni (Cic. De nat. deor., 2, 68, sgg.).
La Diana di italica origine, prima dell’accostamento ad Artemide, aveva infatti una connotazione di dispensatrice di luce e protettrice delle partorienti. Interessante l’appunto che vede l’Artemide greca appena nata aiutare la madre Latona a partorire il gemello Apollo.
Arriviamo all’origine di Diana che si fa risalire ad una radice sanscrita DIV per “splendere”, “brillare”, da cui un sanscrito DIVAN per “giorno” e DEVAN “splendore”.
Inequivocabile la parentela con deus “dio”, ma anche “dì”, in italiano la parte illuminata del giorno, che sfiora in territorio inglese il “day” sul quale ho però qualche perplessità.
Diana è quindi, in un certo senso, la Dea per eccellenza.
L’accostamento di Diana alla Luna, più che un riferimento alla luce selenica, sembra invece frutto dell’appiattimento dell’antico culto italico a quello già citato dell’Artemide greca, tanto è vero che il gemello Apollo viene talvolta associato al Sole. La Luna, per il mio sentire wiccan, è da avvicinarsi principalmente ad Ecate.
Torniamo in Italia, a Giano, antica divinità bifronte degli Italici, che veniva identificato anche lui col Sole nel ciclo giornaliero e annuale e, quindi, con l'Anno e con il Cielo, con potere sul Tempo e sul Destino. Giano re leggendario e divino, avrebbe regnato sul Lazio e avrebbe dato inizio alla civiltà istituendo i riti religiosi e promuovendo la costruzione degli edifici sacri.
L'allegoria della doppia faccia e della doppia fronte, ordinaria nelle erme di re Giano, è variamente interpretata, Per alcuni significa il dono della scienza del passato e del futuro, ottenuto da Saturno, perseguitato da Giove e regalmente ospitato da Giano. Altri affermano che poiché a Giano é dedicato il mese di gennaio (Januarius), viene espressa con la doppia fronte la considerazione dell'anno trascorso e di quello che sta per inaugurarsi.
Giano era, in senso generale, il custode (Ianitor) delle porte (ianus, porta) ed esercitava la sua influenza su ogni passaggio e su ogni inizio o principio. A lui erano consacrati il primo mese dell'anno, l'inizio di ogni mese, di ogni giorno e di ogni attività. La radice del nome Giano indica il concetto di passaggio, come la parola sanscrita yana (porta) e il verbo latino ire (andare), il gaelico ya-tu (guado).
In quanto divinità solare, Giano aveva il controllo delle Porte del Cielo (Januae caelestis aulae) che il Sole apre all'alba e chiude al tramonto, così come all'inizio e alla fine dell'anno solare.
Nel ciclo giornaliero attraverso la Porta del Cielo di Oriente entra il Sole per dare inizio al giorno, attraverso quella di Occidente il Sole esce al tramonto. Porte che si aprono, e porte che si chiudono.
Però anche Diana è una stella importante.
Cioè, non è proprio una stella, perché in realtà è Venere, prima stella della sera che al levar del Sole brilla ancora e talora è indicata come Lucifero – portatore di luce. Anticamente si diceva “in sulla diana” per dire “sul far del giorno" e ai militari si “batteva la diana” per svegliarli con trombe o tamburi. Attenzione: ecco Lucifero, fratello di Diana, con la quale si congiungerà per dar vita ad Aradia.
Nel ciclo annuale Giano apre e chiude le Porte Solstiziali, attraversando le quali il Sole dà inizio alle due metà, ascendente e discendente, del percorso annuale.
Il volto maturo e barbuto, simbolo del passato, e quello giovane e gioioso, simbolo del futuro, guardando contemporaneamente indietro e avanti mostrano il potere del Dio sul tempo. A volte Giano ha un volto virile, anziano e barbuto e un volto femmineo, giovane e bello in relazione al primitivo significato di simbolo del Sole e della Luna espresso dalla coppia Janus-Jana o Diano-Diana, con senso analogo a quello della coppia divina di Giove e Giunone.
Nel Bifronte si rifletterebbe la concezione platonica dell'anima umana: il volto giovane e bello simboleggerebbe l'aspetto divino dell'anima, attratta verso Dio e splendente di immutabile bellezza; la faccia vecchia rappresenterebbe l'attenzione rivolta alle cose del mondo che, in quanto soggette al divenire, sono destinate ad invecchiare.
Se però Giano è bifronte, Diana di facce ne ha ben tre – come Ecate, stando a quello che ci tramanda Virgilio nell’Eneide:
“stant arae circum et crinis effusa sacerdos
ter centum tonat ore deos, Erebumque Chaosque
tergeminamque Hecaten, tria virginis ora Dianae.”

Eran d'intorno gli altari eretti; era tra lor la maga coi capelli sparsi e con un tuono di voce formidabile invocava trecento dei, l'Erebo, il Caos, la triplice Ecate, i tre volti della vergine Diana.
Quindi Didone chiama anche Diana nel rituale magico più importante della sua vita, visto che sarà per lei l’ultimo. Interessante notare che nella letteratura latina Ecate veniva comunque associata e spesso confusa con Diana stessa e Proserpina.
Dunque Didone: pronunziata la tremenda maledizione contro Enea & co., la regina, in grande agitazione, fa allontanare una persona cara che l’accompagna, una nutrice del primo marito, con l’ordine (che è però solo un pretesto) di andare a chiamare Anna per la cerimonia magica. Poi, cogli occhi iniettati di sangue, col viso pallido e chiazzato di macchie sanguigne, sale furente sul rogo ed estrae la spada di Enea. Davanti agli oggetti appartenuti all’uomo amato l’assale per un momento il ricordo delle gioie di un tempo; e ripercorre con uno sguardo la sua vita, vita di cui è orgogliosa per le grandi imprese compiute e che sarebbe stata felice se i troiani non fossero mai giunti su quelle spiagge. Dopo quelle parole bacia il letto e con la spada si trafigge, augurandosi che Enea porti con sé come sinistro presagio la vista delle fiamme che tra poco avvolgeranno il rogo. Alla vista improvvisa del sangue e della regina accasciata, le ancelle levano alte grida, che riempiono la reggia; la notizia della morte della regina si espande per tutta la città, che viene sconvolta come se fosse stata invasa dal nemico. A precipizio, atterrita, giunge Anna, che avrebbe voluto essere vicina alla sorella nella morte e morire con lei: ella esprime non soltanto il dolore proprio, ma anche quello di tutto il popolo, che si sente coinvolto nella rovina della sua sovrana. In un curioso intrecciarsi di nomi e personaggi storici e mitici, Anna sarà qualche secolo dopo Didone, ma praticamente contemporanea di Virgilio, madre della Madonna in Palestina.
Non vorrei perdere il filo del discorso, quindi cercherò di chiudere brevemente.
Diana riveste una particolare importanza lessico-etimologica in quanto, di fatto, si è originata nella stessa maniera di Dio. Se deo ha un corrispettivo femminile in dea, per “dio” non si è mai fatto ricorso ad analogo termine femminile, probabilmente per tradizione culturale di stampo patriarcale.
Credo che, invece, il corrispettivo femminile di dio sia sempre esistito, perché il culto della Dea Madre precede sicuramente qualsiasi altra religione monoteistica che possa aver occultato senza riuscire ad eliminare il lessema del divino femminile.
Secondo me esso sopravvive in Diana, e nelle varie maniere in cui venga onorata. Questa è la mia conclusione.
Per ultimo voglio far notare una curiosa assonanza fonetica tra Gea e Dea, ben sapendo che qui si tratta solo di una pura casualità, in quanto, se Dea proviene dal DIV citato sopra, altrettanto sicuramente abbiamo un’origine acclarata di Gea in GE o GEA, sanscrito pure questo. Non si può avere tutto, no?

Bibliografia e riferimenti:
Viaggio nella Sardegna matriarcale: - http://www.universitadelledonne.it/sardegna.htm
http://www.ilportalesardo.it/archeo/percorsi/janas.htm
http://www.realtasannita.it/streghe/streghe%20o%20ianare.htm
http://www.esoteria.org/documenti/simbologia/iduesangiovannieleportesolstiziali.htm
http://www.intermed.it/liceo/hyper/annibale.htm