The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

IMBOLC

Imbolc - Il Seme nel Grembo

 

L'Origine di Imbolc

Nel nostro viaggio lungo la ruota dell'anno ecco che si gira verso Imbolc. Questa festività, una dei quattro sabba maggiori del calendario celtico, è una delle feste della luce e si svolge tra il 31 di gennaio e il 2 di febbraio.
Il termine stesso che usiamo per riferirci ad Imbolc deriva dal termine gaelico Imbolg, che significa "Nel Grembo", ma alcuni ipotizzano che derivi da Imb-folc che sta a significare "Acquazzone" e che prenderebbe così un aspetto più esoterico e purificatorio. Sono più propenso a credere che derivi da un riferimento legato alla semina che, nell'oscurità del terreno, comincia a germinare e germogliare: il bucaneve, proprio in questi giorni, spacca la sua coltre di ghiaccio e si fa strada verso la luce. Un altro aspetto che avvalora questa tesi è che Imbolc è il momento in cui le pecore figliano. Come abbiamo già visto, i celti ritenevano che fosse nella profonda oscurità che tutto comincia: Imbolc infatti segna l'inizio della primavera. Se Samhain, contrapposta a Beltaine, era l'inizio dell'anno oscuro, che portava il nome di "fine dell'estate", ecco che Imbolc era la sua fase intermedia, lo spartiacque e si contrapponeva a Lughnasadh.
Coinvolto sull'argomento, ddrwydd del blog Wiccanews ha esposto il parere che la runa di Imbolc sia Berkana in quanto è la gestazione, la madre terra, la betulla, la dea Brigid....
Imbolc è noto anche come Oimlec. Il significato di questa parola è "lattazione degli agnelli" e questo è riferito al fatto che, come abbiamo visto, le pecore cominciano a produrre latte e partorire proprio in questo periodo. Per gli allevatori quando arriva il momento della monta del latte delle pecore l'inverno comincia a lasciare il passo alla primavera. Il termine deriverebbe da una contrazione di origine latina, composta da ovis e lac.
Come festa del fuoco e della luce, Imbolc determina il momento di crescita e il primo, timido, risveglio della natura. Questa ricorrenza è sacra a Brigit, la signora del fuoco e della luce, figlia di Dagda, che veniva rappresentata con i capelli rossi e con le candele accese nella folta chioma.
Il culto di Imbolc e di Brigit significava un momento di svolta in antichità. I rigori dell'inverno cominciavano a lasciare la loro morsa e chi era sopravvissuto apriva finalmente la porta di casa. L'aspetto di Imbolc era infatti duplice: da una parte c'era il tanto agognato "ritorno della luce" che veniva invocato a gran voce con l'accensione di fuochi sacri da parte della casta sacerdotale druidica e con candele bianche (a rappresentare il vestito di Brigit), dall'altro c'era l'aspetto esoterico della purificazione. Da notare infatti è che un tempo d'inverno non si usciva di casa. Questo significava dover rimanere per mesi in un luogo chiuso, con pochi, sporadici eventi a cambiare questo status. Quando veniva Imbolc veniva finalmente aperta la casa e si procedeva con la pulizia da tutto ciò che si era accumulato durante i mesi di chiusura invernale in termini di sporcizia, stanchezza e pesantezza. Ecco il significato della scopa dello spazzare fuori dalla porta l'inverno, permettere che la fresca aria della primavera entrasse a portare via la stagnazione di mesi passati nell'oscurità, il puzzo della chiusura. Era di sicuro un momento catartico che ancora adesso viene ricordato con "le grandi pulizie di primavera".
La purificazione quindi non era solamente fisica, ma anche psicologica e spirituale. I corpi dei morti in inverno potevano finalmente essere sepolti perché il disgelo permetteva alla terra di ammorbidirsi e di essere scavata, e le ceneri dei ciocchi di legno consumati lungo tutta la stagione gelida venivano sparse come segno di fertilità (il dio arboreo sacrificato).
Brigit veniva onorata con grandi fuochi e canti. Era infatti patrona delle tre arti o i tre fuochi: il fuoco della metallurgia, che la rendeva patrona dei fabbri, il fuoco dell'ispirazione, che la rendeva patrona della poesia e il fuoco del focolare, che la rendeva patrona della guarigione. Queste tre arti, erano, in effetti, i tre punti fermi per la cultura celtica che, per quello che ci è arrivato, era contraddittoria, nebulosa ed enigmatica per precisa connotazione tra le cose. E Brid rappresenta l'incarnazione divina di questa contradditorietà, non solo nei suoi molteplici nomi e nella sua importanza fondamentale per praticamente tutto il mondo celtico, ma proprio perché era colei che proteggeva la tradizione, ne era la conservatrice stessa. Suoi erano i sacri strumenti divinatori legati all'acqua, come la coppa, il calderone, i pozzi e le fonti, che spesso portavano nella radice il nome stesso della dea. Ma anche lo specchio le era sacro e il filatoio: questo la riconduce alla sua interpretazione greca, la signora vergine della tradizione, della giustizia e della strategia. Secondo il mito la stessa Excalibur, la spada sacra contrapposta al S. Graal nel simbolismo maschile e femminile, fu forgiata dalla Signora del Lago, Vivianne, la madre di Lancillotto, sull'Isola di Avalon, il luogo dove le mele sacre d'argento tintinnavano dolcemente mosse dal vento. Questa figura è spesso associata a Brigit nella sua manifestazione di patrona della metallurgia e del fuoco. Il suo nome stesso deriva dal termine breo che significa fuoco. Il suo culto era seguito specialmente dalle donne e chiedeva rinnovamento, purificazione e coincideva, nei tempi antichi, con i Lupercalia romani. Questa festività, che si teneva in quelli che erano considerati i giorni infausti di febbraio, era in onore del dio Fauno, il protettore del bestiame, che era noto in latino come Lupercus. In questo periodo (il 15 di febbraio attuale - considerando il calendario Gregoriano ad oggi in uso) i lupi, affamati, si aggiravano nei pressi delle abitazioni; invocare il favore di un dio che proteggesse il bestiame era un bisogno oggettivo che non poteva essere ignorato.
Secondo lo storico greco Dionigi d'Alicarnasso, questa festività veniva svolta in una grotta sul Palatino nota come Lupercale proprio perché pare fosse lì che avesse avuto luogo l'allattamento dei gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma. Sembra che si tratti di un antico rito arcade, recuperato ed introdotto a Roma da Evandro, figlio di Hermes e di Carmenta e re dell'Arcadia. In antichità questa ricorrenza consisteva in una corsa campestre totalmente nudi, con i soli fianchi coperti da pelli di ovini uccisi in sacrificio in onore di Pan. I sacerdoti, così svestiti, venivano fustigati dai passanti con flagelli in pelle di capra essiccata. Proprio nelle calende di febbraio a Roma veniva celebrata anche Giunone, che era nota come februa. Il ruolo purificatorio di questa festa infatti è strettamente vicino allo stesso mese in cui viene festeggiata: febbraio è sempre stato legato, e se ne ha traccia anche nel nome, al ritorno all'origine. L'etimologia deriva dal latino februarius che secondo il dizionario etimologico è diviso in due radici. La prima è fè-bruo, che significa "purifico", mentre la seconda arriverebbe ancora dal greco phé-ar, che sta per cisterna e si ritrova nel goto bru-n-nan, brunno, brunnen, che sta per fonte/sorgente e che a sua volta lo lega al tedesco brennen, che significa "bruciare". Troviamo quindi ancora il fuoco e l'acqua che legano questa festività e questo periodo alla purificazione/espiazione mediante il sacrificio. Ma anche il termine "febbre" ci riporta, con il suo nome a questo concetto. La febbre a tutti gli effetti è una reazione dell'organismo portata all'innalzamento della temperatura corporea con il preciso scopo di uccidere i germi che causano una malattia, sensibili al calore. Il nome infatti deriva da fè-bruo: purifico.
La Dea Brigit era nota tra i celti come Brigantia e Brid. È interessante come il termine "Brid" riconduca facilmente al termine "Bride" che significa "sposa". L'usanza e la ritualità di Imbolc infatti è molto femminile e l'aspetto della Dea è proprio quello della ragazza che si marita. Le donne di casa costruivano una bambola con un fascio di avena e la vestivano con un abito bianco, depositandola in un cesto di vimini con un cristallo sopra il cuore. Di fianco alla bambola veniva poggiata una bacchetta di forma fallica: questo stava a rappresentare "il letto di Brid". La Dea dal vestito bianco rappresentava il potere del calore che, steso sulla terra, scioglie i ghiacci e risveglia la vita addormentata nel letargo invernale. A quel punto il rituale, con chiari simbolismi di fertilità, richiedeva un'invocazione; le donne chiamavano ad alta voce il potere della Dea dicendo: "Brid è tornata, Brid è benvenuta! Brid è tornata, Brid è benvenuta! Brid è tornata, Brid è benvenuta!". Dopodiché lasciavano bruciare candele bianche intorno al letto per tutta la notte. Al mattino, se tra le ceneri del camino si trovavano simboli fallici allora l'anno sarebbe stato fertile e fruttuoso.
La stessa Brigit era infatti in antichità una Dea della fertilità e nel mondo celtico prende l'aspetto di triplice. È sia la vergine che la madre che l'anziana e infatti era nota anche come "Dea dei tre fuochi" a ricordare le tre arti (fuochi) di cui era patrona: la guarigione, la poesia e la metallurgia. Era associata agli ovini, ma anche ai bovini per la loro peculiarità di allattare proprio durante il festival in suo onore. Inoltre le era sacro il gallo perché canta al crescere del sole e il serpente come simbolo di rigenerazione, fuoco e compenetrazione della saggezza universale nel suo spiraliforme avvolgersi su se stesso e dormire all'interno della terra.
La cristianizzazione dell'Irlanda ha però posto un mantello diverso sulla Dea Brigit, associando il suo nome ad una santa: Brigida d'Irlanda (Kildare 450-520 dc), che viene festeggiata proprio ad Imbolc. Brigida pare sia una delle sante di cui non si sa biograficamente pressoché nulla, ma sembra che avesse poteri (guarda caso) del tutto simili a quelli attribuiti a Brigit. Uno dei misteri di S. Brigida sono in natali: alcuni sostengono che fosse figlia di un druido cristianizzato che ha cercato, anche con il nome stesso dato alla figlia, di fondere le due tradizioni, quella celtica e quella cristiana. In effetti S. Brigida divenne la patrona del focolare domestico. Il suo nome così simile a quello della Dea significa "brillante", "luminosa". Nel tempo venne inoltre chiamata "Maria Gaelica", un altro epiteto molto materno, e a lei fu riconsacrata la Fonte di Brigit a Liscannor (Lios Ceannúir) nella contea di Clare, in Irlanda. Proprio come il Chalice Well, anche S. Brigid's Well è un luogo pagano riconvertito. La fonte è sotterranea e, come altre fonti, è un simbolo materno ed uterino di rigenerazione e di fertilità: qualcosa di molto lontano dal cristianesimo.
L'assonanza tra Brigit, la Luminosa, con S. Brigida si trova in molti altri aspetti. Come abbiamo visto questa Dea era nota ovunque nel mondo celtico, come Brigantia per i britanni, Brigindu per i galli. Il nome ci riporta anche al simbolismo dei monti e delle colline, in quanto c'è l'assonanza con "brig" che in lingua gaelica significa "alto". Non per niente, come ho scoperto, anche la città di Brescia aveva, nel suo antico nome, Brixia il ricordo celtico degli invasori giunti tra il quarto e il sesto secolo prima di Cristo.
Gli straordinari poteri curativi di S. Brigida si sommavano inoltre alla capacità di trasmutazione, quindi riportati ad elementi come l'acqua e il fuoco: aspetti materni della Dea. Tra i miracoli annoverati nelle capacità di questa santa c'era ad esempio la moltiplicazione della birra, quindi l'avvicinamento ai bisogni dell'uomo.
A S. Brigida è anche attribuito uno dei simboli tipici di Imbolc, ossia la Croce di Brigit (di cui abbiamo parlato anche nel "fai da te" pagano). Questa croce, chiaro simbolo solare, è costituita da spighe di grano o paglia intrecciate a formare una croce circolare a quattro raggi. Il modo in cui questa "croce" appare è abbastanza misterioso in quanto pare che coincida proprio con la prima apparizione della santa: un capo villaggio pagano stava morendo e al suo capezzale i famigliari, ormai convertiti al cristianesimo, invocarono l'aiuto di questa santa in modo che potesse portarlo a ricevere i sacramenti cristiani prima di trapassare. Il malato però era in delirio e non riusciva a parlare e quindi a mostrare la volontà di convertirsi. Rimanendo vicina al morente Santa Brigida raccolse da terra giunchi e paglia e cominciò ad intrecciarli a forma di croce. Vedendola lavorare, in un momento di lucidità, il morente le chiese cosa stesse facendo e lei cominciò a parlargli del Cristo, tanto che riuscì a convertirlo e a battezzarlo in punto di morte. Da quel momento la croce di Brigit divenne un simbolo irlandese, quando in realtà è un simbolo della ruota solare e in antichità veniva usato per preservare le case dal fuoco e dal male. Veniva infatti portata in giro per le stanze assieme ad una candela bianca accesa e veniva invocata la benedizione della Dea Brigit. Il rituale terminava proprio nel luogo dove si aveva il focolare, sacro alla Dea del fuoco, del nutrimento e della purificazione.
Essendo venerata in molti luoghi in nomi diversi, il mito di Brigit è particolare. Si dice infatti che nacque proprio all'alba, irrompendo nel cielo con il sorgere del sole mentre raggi di fuoco splendevano intorno al suo capo come una corona. Era la figlia di Dagda, il grande dio-padre irlandese. Il nome della madre è abbastanza difficile da cifrare. Nel mito druidico, quando era ancora bambina la dea venne nutrita con il latte di una vacca sacra proveniente dall'altro mondo; possedeva inoltre un frutteto in quel luogo, dove crescevano solamente meli e dove le api, animali psicopompi, portavano il nettare dei fiori di melo sulla terra. Si dice che apparissero fiori e trifogli dove posava i piedi. E infatti il trifoglio, lo shamrock, è il simbolo dell'Irlanda, come Brigit ne era la patrona. Sempre secondo il mito Brigit divenne moglie di Bres, il re Irlandese. Il loro matrimonio pronosticava anche una pacificazione, dato che giungevano da tribù diverse, belligeranti e soprattutto in conflitto tra loro; purtroppo però non fu così. Stava infatti per cominciare una grande battaglia tra le famiglie dei due coniugi, dalla cui unione erano nati tre figli, che divennero tutti guerrieri di grande fama.
Fu proprio il figlio maggiore di Brigit, usando le conoscenze nella metallurgia che aveva appreso dalla madre, che scagliò il primo colpo che fece scre la battaglia, uccidendo il fabbro dell'esercito avversario. Mentre il guerriero cadeva al suolo, cercò di colpirlo nuovamente prima che morisse ma Ruandan, il fratello, rimase ucciso nella lotta. Il dolore per la perdita di suo figlio e per l'odio viscerale e ininterrotto che scorreva tra le due famiglie fu immenso per la Dea. Si dice che le sue lamentazioni furono così alte che vennero udite anche al di fuori del territorio irlandese e furono così struggenti che entrambe le fazioni in guerra lasciarono il campo di battaglia e forgiarono una nuova alleanza. Fu proprio questo evento che caratterizzò in seguito Brigit come dea della pace e dell'unione e si dice inoltre che fosse proprio lei la prima ad aver innalzato un lamento funebre e le fu attribuita anche l'invenzione del fischio, che usava per evocare gli amici al suo fianco. Fu proprio l'amore e il rispetto per questa dea che portò all'unità dei celti quando si sparsero in tutta Europa. Nonostante le loro immense differenze e la frammentazione tribale che li determinava e che poi li ha anche portati allo sbando e alla sconfitta per opera dei romani, erano tutti d'accordo sulla bontà e la compassione che questa dea portava con sé.
Uno dei racconti più popolari che riguardano Brigit coinvolge due lebbrosi che si trovarono nei pressi del pozzo a lei sacro a Kildare e che chiesero di essere guariti. La dea disse loro che avrebbero dovuto lavarsi vicendevolmente con l'acqua sacra e miracolosa finché la loro pelle non fosse tornata sana. Così fecero, ma dopo che il primo fu guarito, questi provò una forte repulsione per l'altro e si rifiutò di toccarlo per lavarlo. La dea si infuriò moltissimo e, come era capace di guarire, invertì il processo e la pelle del neo guarito si ulcerò nuovamente per la lebbra. Poi gentilmente prese il suo mantello e lo avvolse intorno all'altro lebbroso, benedicendolo con la guarigione immediata.
Come abbiamo visto poco sopra, moltissime sono le fonti e i pozzi irlandesi dedicati alla dea Brigit. Simbolicamente infatti l'acqua era vista come un portale per l'altro mondo e come una sorgente di saggezza e guarigione. C'è un interessante simbolismo legato a Brigit e al pozzo che è richiamato ovunque nel mondo: quello del desiderio. Si dice infatti che la dea avesse un particolare riguardo e ricompensasse coloro che le facevano offerte. È da questo che deriva il tuttora vivo costume di gettare monete nelle fontane e nei pozzi esprimendo un desiderio.
Secondo il mito Brigit, presso il suo santuario più sacro, insegnò agli uomini la raccolta delle erbe e le loro proprietà medicamentose, insegnò loro come prendersi cura e allevare il bestiame e come forgiare utensili con il ferro. Come dea della maternità era la patrona dei bambini e anche dell'arte dell'ostetricia, quindi era la protettrice delle partorienti, rivelando ancora il suo aspetto di dea madre. Il santuario, situato nei pressi di Kildare, sorgeva vicino ad un'antichissima quercia che era considerata sacra dai druidi, i sacerdoti celti. Era un luogo talmente sacro che a nessuno era concesso avvicinarsi portando con sé armi. Si ritiene che in questo santuario ci fosse anche un collegio di sacerdotesse che erano tenute a mantenere il loro servizio alla dea per trent'anni, prima di essere libere di andarsene e sposarsi. Nel santuario il trentennale servizio era diviso in tre decadi. Durante la prima le sacerdotesse venivano addestrate al sacerdozio, durante la seconda si prendevano cura dei pozzi, i boschetti e le colline sacre alla dea e nell'ultima invece erano tenute ad insegnare alle nuove arrivate. Diciannove erano le sacerdotesse assegnate alla cura della sacra fiamma perpetua in onore a Brigit. Ognuna di esse doveva tenere il fuoco vivo per un giorno. Al ventesimo giorno la dea stessa si sarebbe preoccupata di mantenere il fuoco alto e splendente.
Come abbiamo visto Brigit era anche la dea irlandese della poesia ed era nota per la sua peculiare benevolenza nei confronti dei poeti, dei musicisti e degli studenti. Fu proprio questo a renderla nota come la "musa della poesia". Anche quando venne cristianizzata in S. Brigida, il monastero a lei dedicato e sorto sopra il sacro santuario portò avanti la sua tradizione e divenne così uno dei più grandi centri europei dell'educazione e della cultura. Infatti fu fondamentale nel preservare la maggior parte delle conoscenze e della letteratura antiche lungo l'arco del medio evo. Proprio quindi come Imbolc, la festa a lei dedicata che spezza il rigore invernale dando la prima avvisaglia dell'ingiungere della primavera, Brigit ci insegna l'importante lezione di non trascurare ciò che è il nostro passato, coltivando però la speranza riguardo al nostro futuro. Ella è definibile come il ponte, fatto di creatività e ispirazione, che ci permette mantenere un collegamento portante con ciò che siamo stati, che siamo e che saremo.

Come era calcolata la data di Imbolc
Come abbiamo notato per Samhain, anche Imbolc, per i celti, era calcolata grazie alla levata eliaca di una stella. In questo caso si tratta di Alpha Auriga, meglio nota come Capella, la stella più importante e luminosa della costellazione dell'Auriga, il Carro. Dalla Terra Capella è il sesto astro più luminoso visibile nel firmamento notturno. Considerando invece solo la sfera celeste visibile dall'emisfero boreale, si tratta della terza stella più brillante. È parte di un sistema multiplo di quattro stelle, due giganti e due piccole.
Il termine, in latino, significa "Capretta". Per gli accadici era nota come Dil gan I ku, che significa: "Portatrice della Luce" ed era la stella patrona della città di Babilonia. Anche gli assiri la chiamavano I ku, "La Conducente". Questo sempre perché Capella è la stella più luminosa della costellazione dell'Auriga e per questo ha il ruolo di "conducente"; gli stessi babilonesi la rappresentavano come un cocchiere con una capra sulle spalle.
Il legame con la capra giunge anche nel mito greco/romano, dove venne associata ad Amaltea, l'ovino che allattò lo Zeus bambino, messo in salvo dalla madre Rea con uno stratagemma perché Crono, suo padre, per timore della profezia che lo avrebbe visto ucciso e spodestato da uno dei suoi figli, se ne nutriva tenendoli imprigionati nel suo stomaco. Una volta ucciso il padre, bandito i titani, liberato i fratelli Ade e Poseidone e preso il suo regale posto sull'Olimpo, Zeus, grato alla capra che l'aveva nutrito nei primi giorni della sua divina esistenza, donò alle sue corna il prodigio di offrire abbondanza a chiunque le avesse possedute e, una volta deceduta, la pose come parte del firmamento assieme ai suoi piccoli. Questo mito, ripreso poi anche da Ovidio nelle Metamorfosi con la lotta tra Ercole e Teseo, ci riporta alla cornucopia, il corno dell'abbondanza. Altre versioni del mito sostengono invece che Amaltea fosse una ninfa e che, insieme a Melissa, nutrì con latte di capra e miele il piccolo Zeus.
Un'interessante digressione l'ho trovata con Markab, ossia Alpha Pegasi, la terza stella più brillante della costellazione di Pegaso. Pare infatti che nell'età del bronzo la sua levata eliaca avvenisse intorno alla metà di febbraio (calendario Gregoriano), quindi Imbolc per i celti, periodo in cui invece Capella si levava al mattino presto verso l'equinozio di primavera. Come per quanto riguarda Antares e le Pleiadi, è possibile che in due diverse epoche, distanti 1200 anno l'una dall'altra (ossia Età del Ferro e del Bronzo), la nutazione e la precessione degli equinozi abbiano influito sulla levata eliaca delle diverse costellazioni e che quindi in antichità si usasse Capella (Alpha Auriga) e nel periodo più tardo Markab (Alpha Pegasi) per calcolare l'esatta data della festività dedicata a Brig; sarebbe quindi corretto affermare che entrambe erano utili al calcolo della data di Imbolc.

Come si festeggiava Imbolc
La Festa di Imbolc veniva festeggiata con fuochi che venivano accesi in onore della Dea. Come abbiamo visto le donne si radunavano e officiavano i loro onori alla Dea costruendo il "letto di Brigit", dove la Dea riposava tra la candida neve dell'inverno che era giunta a sciogliere. La bambola aveva il manto bianco, simbolo dell'inverno e della purificazione. Il cristallo che veniva posato sul cuore della Dea era anch'esso bianco a rappresentare ancora la purificazione. Anche i cristalli trasparenti o biancastri, come la pietra di luna nella sua formazione opalescente o il cristallo di rocca, presentano poteri portati a questo scopo. È uso infatti mettere un quarzo ialino nell'acqua per purificarla e per favorire lo sgonfiamento di un fegato sofferente. Il simbolismo poi della bacchetta fallica a fianco del letto di Brigit coronava ancora il potere ferilitario maschile invocato affinché si combinasse a quello generativo femminile.
Un'altra tradizione di Imbolc era il "mantello di Brid": questa usanza consisteva nell'appendere all'esterno della casa una lunga striscia di stoffa, o un lenzuolo bianco e lasciare che, nella notte della vigilia di Imbolc (ossia quando cominciava la celebrazione) raccogliesse il potere miracoloso di guarigione e purificazione portato dalla Dea. Accadeva infatti che, lasciato fuori tutta la notte, al mattino il lenzuolo fosse freddo ed impregnato di rugiada ed è noto, e infatti è usanza anche di altre feste, che il potere della rugiada mattutina di alcune speciali notti dell'anno abbia peculiari caratteristiche taumaturgiche.
La croce di Brigit, inoltre, a rappresentare la ruota solare, come abbiamo visto poco sopra, veniva conservata per tutto l'anno come talismano protettivo della casa e del focolare e con l'ingiungere di Imbolc venivano bruciate quelle vecchie per sostituirle con quelle nuove, appena fatte con il covone avanzato e lasciato dall'anno precedente. Questa tradizione di credere nella forza di una divinità arborea che vive all'interno stesso del cereale è ricorrente in quasi tutte le feste del raccolto e lega anche il potere di Imbolc. Brigit nella forma di bambola di cereale, come avena appunto, diventa così la "Vergine". Questa stessa peculiarità di mantenere vivo l'ultimo covone come rappresentanza della divinità arborea del raccolto e questa trasformazione umana-cereale è legata anche a Lammas e Litha, le due feste del raccolto e del grano e legata ancora adesso alla pasta-madre con cui si fa il pane, come vedremo negli articoli seguenti.
Una similitudine la troviamo nel mito di Taliesin e del calderone di Cerridwen. La leggenda che ne parla, di stampo iniziatico, è narrata nel Mabinogion, interpretato da Lady Charlotte Guest e tradotta dal Libro Rosso di Hergest; una miscellanea di varie composizioni poetiche gallesi. Questo mito sostiene che Cerridwen, la quale viveva su un'isola al centro del lago Tegid insieme a suo marito Tegid Voel, avesse due figli opposti l'uno all'altro: Creidwy, una fanciulla bellissima e splendente il cui nome significa "luce del sole" e il povero Afagddu, che, al contrario della sorella, era bruttissimo e oscuro, il cui nome significa "eterna oscurità". Come ogni buona madre decise di rimediare alla disgrazia di aver avuto un figlio così brutto preparando una pozione che gli avrebbe donato tutti e tre i doni dell'awen: saggezza, ispirazione e magia, compensando almeno in parte il povero Afagddu del torto subito dal destino.
Raccolto il necessario e seguendo una ricetta contenuta nel libro del mago Virgilio da Toledo, mise a cuocere delle erbe magiche nel suo calderone a bagno nell'acqua di una fonte per un anno e un giorno (questo era il tempo necessario), aggiungendo erbe di stagione non appena giungeva il momento. A mescolare il potente intruglio mise un ragazzo di nome Gwion Bach (Piccolo Innocente), figlio di Gwreang, che viveva nei pressi di Caereinion, raccomandandogli di non berne nemmeno una goccia.
Naturalmente la dea si assentò, proprio quando la pozione era giunta ad adeguata macerazione, e tre gocce, bollendo, schizzarono sul pollice del ragazzo che, istintivamente, lo mise in bocca. Appena le sue labbra ebbero toccato le gocce, Gwion assorbì automaticamente i doni destinati a Afagddu e fu colmato immediatamente da una grandissima conoscenza e saggezza, capendo così di essere in grave pericolo perché Cerridwen aveva meditato di ucciderlo non appena la pozione fosse stata pronta.
In un'altra versione meno "maschile" vediamo come Gwion rappresenta l'iniziato e Cerridwen impone la presenza al calderone di nove donne che lo sorveglino durante il suo lavoro. Una notte la dea e le donne si appisolano e Gwion ne approfitta per rovesciare il calderone e intingere le dita nel liquido versato, bevendone alcune gocce. Cerridwen, svegliata dal rumore, si infuria in modo terribile, poiché quel semplice gesto ha privato suo figlio del riscatto da lei preparato e il giovane si dà alla fuga inseguito da Cerridwen, come una strega urlante. Gwion, grazie ai poteri acquisiti si trasforma in una lepre e la dea per dargli la caccia diviene un levriero. Gwion Bach si trasforma così in un salmone gettandosi in un fiume, e lei si trasforma in una lontra. Il ragazzo si nasconde nelle le sembianze di un passero e lei diviene un rapace. Infine il giovane si tramuta in un chicco di grano e si nasconde in mezzo ad un mucchio di semi, credendo così di salvarsi. La Dea però si trasforma in una gallina nera e, dopo averlo trovato, lo divora.
Quando torna alle sue sembianze, Cerridwen si scopre gravida, e al momento di partorire vede che il volto del suo nuovo figlio è quello di Gwion. Affascinata dalla bellezza del bambino non ha il cuore di ucciderlo, così lo lascia a galleggiare su un fiume in una sacca di cuoio; il fagotto va alla deriva fino a quando rimane impigliato in una diga dove viene trovato accidentalmente da un principe di nome Elphin, figlio di Gwyddno e nipote del re del Galles del nord, che decide di chiamarlo Taliesin, che significa "Fronte leggiadra/lucente" ma anche "Valore inestimabile/puro". Più tardi Taliesin diviene il bardo più grande della storia della Gran Bretagna, nonché il druido più saggio che mai abbia camminato sulla Terra, in quanto possiede i doni dell'awen dentro di sé. Il suo nome acquisisce così un'importanza maggiore, quando viene nominato Merlino di Bretagna. Come ci fa notare Luciana Percovich nel suo "Oscure Madri Splendenti", Cerridwen torna nella vita del druido sotto forma di Morgana per ricordargli dei suoi limiti. Con questa leggenda metaforica ci troviamo di fronte al ciclo morte-rinnovamento-trasformazione-rinascita che si rincorre in tutta la nostra ruota dell'anno e che è legata al calendario agricolo. Cerridwen mangia il grano e rimane incinta del grano stesso.
Un'altra delle peculiarità di Imbolc è il grande senso di "benvenuto" che viene dato alla luce e alla Dea nel suo ritorno. Essa infatti ha ancora l'abito bianco di neve, nonostante regga le candele sui capelli. Brigid è la scintilla che scioglie lentamente il potere invernale di Cailleach, quindi la sua diretta seguente e infatti a lei è sacra la biscia, simbolo sia di terra che di fuoco: trasformazione e rigenerazione.
La tradizione, come ci viene narrata dai coniugi Farrar in "Eight Sabbats for the Witches", racconta di come una donna usava prendere un fascio di paglia e di andare casa per casa bussando alla porta e coprendosi il capo. La Bean an Tighe (la donna di casa) mandava qualcuno ad aprire e diceva Fàilte lead a Bhrìd, ossia: "Benvenuta Brid!" a cui la persona che stava entrando rispondeva: "Beannacht dé ar daoine an tighe seo" ossia: "Che la benedizione della Dea scenda su questa casa". Poi veniva gettata sul covone di fieno dell'acqua e tutti la intrecciavano per formare delle croci di Brigit. La paglia avanzata veniva bruciata assieme alle vecchie croci, che venivano sostituite con quelle nuove. Questa tradizione è stata poi convertita al cristianesimo. Non erano solamente le croci di Brigit ad essere bruciate, ma anche i rami di Yule. Si riteneva infatti che non bruciare le cose dell'anno passato avrebbe attirato i folletti in casa, e bruciarle avrebbe così propiziato l'allontanamento del vecchio anno per invitare il calore di quello nuovo. Le disgrazie e le difficoltà dell'inverno passato venivano così purificate e allontanate e con esso i talismani di protezione che avevano accumulato e assorbito la negatività.
Una tradizione simile l'ho seguita quando ero bambino. Quando ero alle elementari (andavo in una scuola immersa in un parco dove c'era anche una fattoria), nei primi giorni dell'anno solare un anno costruimmo due pupazzi di paglia; uno lo vestimmo come una vecchia e uno, più piccolo, come un bambino. Con tutte le classi le maestre accesero un falò e bruciammo il pupazzo vecchio, che rappresentava l'anno passato, prima di alzare quello nuovo ponendolo poi sulle ceneri rimanenti. Ricordo che le braci diedero fuoco anche al pupazzo nuovo, bruciando l'anno in arrivo prima del tempo, ma quello fu solo un effetto collaterale.
Il legame tra il vecchio e il nuovo e lo stacco è visto anche in alcune tradizioni del sud Italia dove ho sentito che a capodanno è pericoloso camminare per le vie perché è tradizione scagliare fuori dalla finestra i piatti o i bicchieri presi dalle credenze per romperli e sostituirli con quelli nuovi, oppure bruciare le lenzuola vecchie. Questo comportamento ci riporta alla propiziazione dell'anno in arrivo allontanando il vecchio con i simbolismi relativi al companatico (piatti e bicchieri), così che la povertà e gli stenti dell'anno passato possano essere allontanati e annullati portando una ventata di novità e di freschezza.
Il legame con il fuoco, relativo alla fertilità in questo caso, è legato ad un'altra tradizione che vedremo nel sabba di Beltaine (il fertilitario per eccellenza): il salto del fuoco. Le donne in cerca di un figlio saltavano nude un falò per propiziarsi la fertilità e la benedizione di una gravidanza. Questo tipo di rituale è stato introdotto anche nello storico film: "The Wicker Man", dove Lord Summerisle, interpretato da un superbo Christopher Lee (che per recitare una parte come quella ha offerto il proprio talento senza ricevere alcun compenso), spiega al poliziotto giunto sull'isola il significato di quel rito: "saltano nude le fiamme per invocare la benedizione dello spirito del fuoco".
L'associazione alla fertilità è legata anche ai Lupercalia, dove i luperci, i sacerdoti di Fauno, come abbiamo visto, correvano nudi per le strade con addosso una semplice pelle di capra e, armati di un flagello con le strisce ottenute da pelle di capra seccata fustigavano le giovani donne per propiziare loro la fertilità e per purificarle. In antichità invece, nei riti arcadici, pare fossero loro ad essere fustigati. Come abbiamo visto infatti nell'articolo sulla frusta, questa veniva usata anche a scopo curativo. Erano sopratutto le donne sposate a cercare la fustigazione rituale dei sacerdoti faunici e arrivavano anche a scorticarsi la schiena per favorire il contatto della frusta con il sangue, così che potessero essere toccate dal colpo fertilitario della divinità.

Imbolc come Candelora nell'età e nel costume moderno
Come molte festività pagane, anche Imbolc sotto molti dei suoi aspetti è stata inglobata nel cristianesimo durante la sua espansione. Come abbiamo visto, la stessa santa festeggiata il primo di Febbraio, Santa Brigida, aveva uno stretto legame con la Dea relativa alla festività: Brigit, una Dea materna a cui erano dedicate molte fonti e pozzi. Gli stessi pozzi e le stesse fonti legate alla Dea sono così numerose in Irlanda (luogo dove la Santa si presume sia nata, diventata badessa e dove ha predicato e diffuso il cristianesimo) da superare in numero quelle dell'altro santo patrono dell'isola a cui erano dedicati luoghi di culto acquatici: S. Patrizio. Ancora adesso la tradizione di fertilità porta le persone a gettare dentro a questi pozzi monete in offerta per propiziarsi i favori della Dea.
La tradizione cristiana, nella conversione avvenuta, ha legato Imbolc alla Candelora, o Candlemass in inglese. Per quanto queste due festività abbiano similitudini a dir poco imbarazzanti è difficile poter affermare, in effetti, che il cristianesimo abbia "soppiantato" Imbolc con la Candelora. Si trova infatti traccia di questa festività nel bacino del Mediterraneo e deriva anche dall'ebraismo. Nel Levitico (12,2-4) infatti leggiamo: "2Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. 3L'ottavo giorno si circonciderà il bambino. 4Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione."
Facendo coincidere questa legge ebraica con la nascita di Cristo il 25 dicembre ecco che il 2 di Febbraio diventa il momento in cui la Santa Vergine, madre di Gesù, torna nella comunità dopo la cerimonia purificatrice in seguito al parto e dopo la presentazione del figlio al tempio, cerimonia che avviene con la candela bianca.
La Candelora quindi conserva il simbolismo purificatorio e di presentazione battesimale. Il 2 febbraio è infatti la "Presentazione del Signore al Tempio" e viene ancora svolta con processioni di candele e la benedizione delle stesse per gli altari. Si usa ancora infatti accendere le candele in casa. Le donne in campagna per un periodo preciso dopo il parto non potevano uscire, dovevano mangiare leggero (evitando la carne) e non potevano avere rapporti sessuali. Erano sottoposte a una vera e propria quarantena prima che il bambino potesse essere battezzato. Il termine "quarantena" è appunto legato ai "quaranta giorni" che un viaggiatore o un mercante proveniente da un paese che era stato toccato una malattia contagiosa doveva passare in un lazzaretto o a bordo della nave prima di poter entrare in contatto con le persone del paese che visitava. Nel caso della gravidanza, questo periodo era ritenuto fondamentale perché prima del momento in cui poteva ricevere il primo sacramento, si riteneva che il piccolo fosse esposto e non protetto dal battesimo e che anche la madre potesse essere soggetta ad attacchi da parte del maligno, nella visione cristiana sempre pronto a corrompere le anime dei fedeli.
Secondo Cattabiani, nel suo Calendario, pare “che la Chiesa abbia voluto cristianizzare non solo i riti precristiani di febbraio, ma anche anticipare quelli che si svolgevano alle calende di marzo in onore di Vesta e di Giunone e avevano come protagonista il fuoco, simbolo dell’energia divina nel cosmo secondo una concezione arcaica analoga a quella di altri popoli indoeuropei, come gli Indiani e i Persiani”. Il rituale del fuoco purificatorio e propiziatorio romano è stato quindi cristianizzato dalla Chiesa Apostolica. Le candele vengono benedette dal prete, ma lo scopo per il quale vengono accese è ancora lo stesso: invocare la luce come scintilla divina che scaccia l'oscurità e riporta il calore.
A seguire nella cultura legata al cambio, alla distruzione-ricreazione c'è il fatto che molti tengono le decorazioni natalizie (vischio-agrifoglio) fino alla Candelora prima di bruciarle, come anche l'albero di Natale. Questa usanza è a volte legata alla Befana come "fine delle festività". Da qui il detto: "L'epifania, tutte le feste se le porta via". Questo rappresenta l'anno passato che scompare lasciando l'energia di quello in arrivo. Una volta infatti, nell'antica Roma, era alle calende di Febbraio che iniziava l'anno, e si cominciava con la purificazione della Dea Februa. Era un momento di transizione molto importante in cui il passaggio di mano tra l'inverno e la primavera portava grossi sconvolgimenti. Non per niente il Carnevale, che si situa proprio a febbraio, deriva dai rituali romani dei Bacchanalia e dei Saturnalia, momenti in cui l'ordine sociale era invertito e sospeso. Questo inquadramento è legato ancora al culto dei morti che troviamo a Samhain e in coda a Yule. Indossare le maschere ha un significato apotropaico di impersonificazione di uno spirito (defunto o comunque sovrannaturale). A Imbolc la natura comincia il lento risveglio e il Carnevale è la porta tra il mondo dell'oscurità (rappresentato dall'inverno) e quello della luce (rappresentato dalla primavera). Questa porta viene ancora celebrata nel momento di lenta risalita. James Frazer a riguardo nel suo Il Ramo D'Oro sostiene che “La ripetizione simbolica della cosmogonia, che segue all’annientamento simbolico del mondo vecchio, rigenera il tempo nella sua totalità”. Con Imbolc abbiamo visto esserci proprio questo simbolismo di distruzione e ricreazione. Ecco quindi legato anche il significato dei Lupercalia e di Fauno (il Pan greco - il dio creatore il cui nome significa "tutto"), dei Saturnalia e dei Bacchanalia, riti orgiastici in onore a Bacco. Un momento dove tutto era concesso, un detto che si riporta anche al nostro: "A Carnevale ogni scherzo vale". È quindi, come dice Frazer, una ricerca dell'abolizione stessa della creazione, un momento di simbolica sospensione e di rimescolamento per permettere alla vita di tornare nei suoi schemi, rinnovata.
Ma come abbiamo visto anche nel sabba di Yule, queste festività avevano anche la funzione di riportare il mondo ad uno status primordiale in onore e in ricordo del periodo precedente alla civiltà come la conosciamo e come siamo abituati a vederla: la famosa età dell'oro, dove il probo dio Saturno regnava con giustizia. In quest'epoca mitica non esisteva la proprietà privata e l'uomo era in perfetta comunione e armonia con la natura. Le leggi stabilite per far funzionare una società venivano stravolte mettendo il mondo a soqquadro. In realtà questo bisogno di ribaltare il mondo era utile anche per comprendere parte del motivo per cui alcune cose venivano svolte in una certa maniera, per cercare un significato che sorgeva dal bisogno di avere speranza per il futuro, per la propria vita, per il proprio scorrere ed evolversi.

Imbolc nella tradizione gastronomica
Dal momento che Imbolc è legato al Carnevale, i cibi tipici di questo sabba sono vicini folkloristicamente. Il termine "Carnevale" deriva dal latino carnis laxatio che significa "abbandono della carne". Questo perché, legandosi alla quaresima e ai quaranta giorni di digiuno precedenti alla Pasqua, a sua volta legata all'equinozio di Primavera, doveva essere un momento di "privazione della carne", sia in senso sessuale (astinenza dal sesso), sia in senso letterale, ossia non mangiare carne.
Come tutti i sabba relativi all'inverno, i cibi utilizzati sono molto grassi e calorici. I tempi freddi non sono ancora passati. Infatti Imbolc cade nei pressi di quelli che a Milano sono noti come "I giorni della Merla", ossia i tre giorni più freddi dell'anno. Questa leggenda, legata alla lunazione del ghiaccio, è stata trattata nella sezione apposta delle tredici lune e la riporto per comodità: Questo termine deriverebbe da una leggenda connessa alla numerazione romana del calendario. Un tempo, si dice, i merli erano bianchi e una femmina di questo uccello ogni volta che arrivava Gennaio (che all'epoca aveva ventotto giorni) veniva stremata con il freddo e la fame per puro divertimento. Un anno la merla si fece furba e fece provviste di cibo per sopravvivere nella sua tana per un mese intero senza dover uscire a cercar cibo, cercando di farla il barba a questo mese. Giunto il 28 Gennaio, la merla uscì dalla tana beffarda, convinta di aver in qualche modo raggirato il mese. Gennaio però, infuriato, chiese in prestito tre giorni da Febbraio e la volle punire per la sua irriverenza con tre giorni di rigide temperature, neve e gelo. L'uccellino però si rifugiò in un camino a cercare un riparo per tutta la durata della vendetta del mese e sopravvisse, ma quando uscì era completamente annerita dalla fuliggine. Da quel momento tutti i merli nacquero neri. Questa leggenda porta un messaggio recondito in quanto il calendario romano prevedeva un Gennaio di soli ventinove giorni. I tre giorni della merla, se particolarmente freddi preannunceranno una primavera di bel tempo, mentre se non lo sono annunciano un ritardo del caldo. Una delle tradizioni di Imbolc è il Vin Brulé, ossia il vino caldo e speziato. La preparazione del Vin Brulé avviene con qualsiasi tipo di vino, sia bianco che rosso e in genere non viene usato un vino pregiato in quanto viene portato ad ebollizione con al suo interno delle scorze di arancia, dei chiodi di garofano e della cannella. Una volta che il vino sta bollendo viene incendiata la sua superficie. Il fuoco brucerà sia l'alcol che la parte zuccherosa del vino e renderà la bevanda analcolica. La visione inoltre del vino incendiato al buio è una caratteristica via di richiamare il potere del fuoco e della trasformazione.
Uno dei cibi di questa festa in Francia sono le crépes. Ma prettamente è il latte il fulcro centrale di Imbolc. Il suo colore richiama il potere del manto della Dea e ci riporta anche al significato della tradizione di Imbolc, che è l'allattamento degli agnelli. Di contro anche la carne di agnello è legata ad Imbolc (e in seguito anche alla Pasqua cristiana come simbolo di remissione dei peccati). In antichità nel freddo la coda d'agnello bollita era un cibo estremamente proteico e permetteva a molte persone, sia vecchi che bambini (le categorie più deboli) di salvarsi dalla morsa del freddo.
Da citare e da notare ci sono le "chiacchiere", note così a Milano, ma chiamate "bugie" in altre parti di Italia, come in Piemonte, o “frappe” e “sfrappole” in Emilia, “cròstoli” in Trentino, “galani” e “gale” in Veneto, tipico cibo carnevalesco che deriva dalle frictilia, dolci romani cotti nel grasso di maiale. Questo piatto è un semplice impasto lievitato di uova, farina, burro e vanillina stese come la pasta all'uovo, tagliate e cotte in olio caldo e cosparse poi con zucchero a velo. Anche i tortelli fritti sono tipici di questo periodo e sono legati soprattutto a Milano. Sono ottenuti con una pasta semiliquida identica a quella delle chiacchiere con la sola aggiunta di latte e fatta cuocere a cucchiaiate nell'olio bollente che cuocendo li rende cavi internamente. A volte vengono infatti farciti di crema pasticcera e poi fatti rotolare nello zucchero e mangiati caldi.

Imbolc nella spiritualità Wiccan e Neopagana
Come abbiamo visto Imbolc è la festa della prima luce e del primo calore. Nella spiritualità e nella ritualità wiccan e neopagana rappresenta uno dei quattro sabba maggiori. In questo momento dell'anno Imbolc rappresenta il rinnovamento, il lento e graduale risveglio della natura che ci circonda. Il ghiaccio che ancora ricopre il mondo accenna a sciogliersi e il seme, che attende nella terra al riparo sotto il manto di neve, approccia a germinare e sbocciare, facendo i primi, timidi passi verso l'uscita.
Nel nostro cammino spirituale iniziato a Samhain e proseguito a Yule, Imbolc rappresenta il momento in cui il seme sta mettendo le prime, tenere radici nel terreno: è il momento dell'uscita dal letargo.
L'intento di Imbolc è e rimane quello della purificazione e del rinnovamento. L'acqua che scorre dalle fonti, l'acqua che si scioglie dai ghiacci, dalle stalattiti sotto i tetti, l'acqua che comincia a scorrere sotto i fiumi ghiacciati è quella che porta via ciò che c'era di vecchio. I venti gelidi che portavano tremendi tempeste sono passati: ora il vento gelido porta con sé i primi giorni di bel tempo. La natura ci dà questo input: purificazione profonda, dentro. Solo le piante forti e necessarie si svegliano dal letargo invernale. Solo gli animali forti e procreativi superano i rigori dell'inverno. Purificazione anche delle nostre abitazioni, specchio di ciò che siamo. Ponendo che la casa siamo noi, l'oscurità del ritorno alle nostre origini, alla ricerca della verità e del chiarimento profondo dentro noi ci ha permesso di portare alla luce ciò che è vecchio, ci ha mostrato quali sono i rami malati che, se non potati, rischiano di far morire l'intera pianta.
Imbolc è anche la festa dell'infanzia, l'inizio della primavera. Dopo mesi di profonda oscurità, di discesa nei recessi e negli inferi di noi, è finalmente giunto il momento di uscire allo scoperto e vedere che la vita non muore ma che torna, ciclicamente, a riprendere il suo spazio. È una festa felice e allegra perché ci ricorda che prima o poi anche il periodo più buio, la notte più lunga ha termine e che il Sole torna a splendere di nuovo, gli alberi tornano a rinverdirsi, la linfa torna a scorrere e gli animali tornano a rincorrersi fuori dalle loro tane.
Ad Imbolc la preparazione dell'acqua lustrale, disciolta dal ghiaccio, rappresenta il potere del fuoco e dell'acqua combinati nel calderone della Dea: maschile e femminile. Questi due elementi, insieme, ci consentono di purificarci, di pulirci, sia nel corpo che nello spirito. Tendiamo ad accumulare decine di cose, dentro e fuori di noi, in casa soprattutto. Durante la discesa nell'oscurità usciamo meno volentieri, preferendo il calore della nostra casa, e così rischiamo di trovarci con oggetti inutili, accumulati per pigrizia più che per uso e consumo reale e bisogno. Imbolc ci ricorda che accumulare è necessario solo al fine di consumare ciò che abbiamo accumulato. Una mia cara amica a casa sua tiene alcune pile di libri vicino alla porta. Quando invita qualche pagano a festeggiare con un bicchiere di Porto, a mangiare una pastasciutta ad ore tarde o anche solo a fare due chiacchiere "spiritualmente utili" invita sempre i nuovi venuti a spulciare tra le pile di libri e portarsi via qualcosa. Alla domanda: "come mai regali i libri?" lei risponde: "Dopo i cinquant'anni ho deciso di viaggiare leggera". C'è più saggezza in questa singola spiritosa affermazione di quanta molti possano cogliere. Questa festività è legata a questo comportamento: capire di cosa abbiamo realmente bisogno e bruciare (trasformare, regalare, sbarazzarci) ciò che non ci è veramente necessario. Nel monologo di Big Kahuna si sente affermare: "butta i vecchi estratti conto, conserva le vecchie lettere d'amore". Niente di più vero.
Proprio in questo periodo ho aiutato la mia ex compagna a fare il trasloco dalla casa dove abbiamo vissuto insieme per anni e dove abbiamo costruito una famiglia per andare (tornare) in un appartamento nuovo (o vecchio se vogliamo). Lei, al contrario mio, non è una legata al passato nel modo in cui lo sono io. Questa è stata una cosa che ci ha sempre caratterizzato e valorizzato in modo diverso. Col trasloco è stata più la roba che ha buttato via che quella che ha, in effetti, portato con sé dall'altra parte. Non ha avuto alcun problema a fare sacchi neri pieni di cose che non voleva più: anche se erano ancora buone, anche se potevano essere utili, lei le ha buttate via. Non lo ha fatto perché è figlia del consumismo ma perché non sente un forte legame con quello che è il suo passato materiale, infuso negli oggetti della sua vita. Ha buttato via decine di scarpe, posate, bicchieri, piatti, vestiti. Non ha avuto problemi a farlo. Io, ad esempio, per quanto segua questa via spirituale in modo decisamente più saldo e continuativo di lei, avrei comunque valutato il valore e la reale utilità di qualcosa prima di buttarla, avrei accumulato. Lei no. Lei si stava sbarazzando del passato e ha buttato via quasi tutto. Diciamo che in questo, al di fuori del lato economico, lei è capace, più di me, di capire al volo ciò di cui ha realmente bisogno e non ci pensa un attimo prima di sbarazzarsene se ha il minimo dubbio che possa non servirle o che possa esserle d'ingombro, sia a livello spirituale che materiale. Lei non ha voluto, in buona sostanza, che molte parti della vita vecchia, intrise con il loro bagaglio di sofferenza e ricordo (e nelle quali c'era anche la mia energia), portassero ciò che era in ciò che sarà. Ha dato un taglio. Questo è l'insegnamento che ci arriva da Imbolc: ci sono momenti nella nostra vita in cui dobbiamo saper fare dei bagagli e decidere cosa portare con noi.
Le divinità che vengono onorate a Imbolc sono le fanciulle e le dee in aspetto triplice, patrone della trasformazione. Oltre a Brid, Brigit, Brigantia e tutti i nomi con cui viene chiamata c'è Giunone/Februa/Hera, la Dea cui era dedicato appunto il mese in cui si svolge questa festa e le fanciulle come Aradia, Inannà. Le vergini come Kore, Artemide, , ma anche le dee madri come Gaia, Gea, Rhea, Cerere. La Dea è vista come "Sposa". Sono adatte anche le signore del fuoco: a Imbolc infatti il fuoco ha un ruolo cardine, quindi Cerridwen, Vesta, Hestia o anche la stessa Bast, la signora del focolare, anche se non nella sua visione come Sekhmet. Nell'ambito maschile abbiamo come è chiaro Pan e Fauno e tutti gli dei della fertilità e dell'oscurità, come Chernunnos o il celtico Aenghus Og, che aveva sposato Caer Ibormeith la condannata a trasformarsi in cigno ad ogni Samhain solo perché riuscì a riconoscerla anche in forma animale e per stare con lei si tramutò anch'egli così che potessero volare via assieme.
Quindi nel percorso della nostra ruota troviamo come dopo aver scoperto quali erano i nostri aspetti oscuri, andando nel profondo di noi con Samhain, li abbiamo portati alla luce nella verità della loro pura natura a Yule e ora, con Imbolc, prendiamo l'essenza, in fondamento di ciò che sono i nostri aspetti e permettiamo loro di germogliare, di crescere, privati della materia morta ed inutile che li appesantisce. Questa purificazione, parte di un processo di guarigione più ampio, permetterà alla pianta di fiorire a Oestara, di essere impollinata a Bel, fare frutti a Litha che andranno a maturazione a Lammas e che getteranno semi a Mabon, i quali rimarranno al sicuro lungo la metà discendente e oscura dell'anno, quando dovremo ricominciare il nostro ciclo. È la normale conseguenza di un'azione di profonda analisi delle nostre paure e dei nostri capisaldi e delle nostre verità: capire di cosa abbiamo veramente bisogno per crescere per elevarci spiritualmente e sbarazzarci di ciò che è vecchio e inutile. Vedendo la ruota come se fosse un viaggio iniziatico, che è poi quello che è, se a Samhain noi scendiamo nelle profondità dei nostri averi per vedere cosa abbiamo dimenticato nel nostro armadio, a Yule noi portiamo alla luce quella cosa e a Imbolc siamo di fronte al nostro zaino e sappiamo che nello spazio a noi disponibile non ci starà tutto quanto; dovremo selezionare e fare un elenco, una lista di ciò che riteniamo indispensabile per il viaggio che stiamo per affrontare fuori dalla porta di noi stessi e lasciarci indietro qualcosa o, se possiamo, trasformarla o perché no, regalarla. Come mi è stato insegnato (o ricordato) da un amico sciamano: lo scarto di alcuni è il nutrimento di altri. Imbolc ci insegna anche che ciò che a noi non serve più può essere utile a qualcun altro. Il nostro bisogno di accumulare manda in conflitto energie e poteri diversi, che giungono da luoghi diversi e che spesso non trovano armonia. Al contrario della pratica di fare incensi e candele dove puoi solo aggiungere per trovare equilibrio, lo space-cleaning è l'arte di fare pulizia del nostro spazio vitale dalle cose che non ci sono più utili e può riportare equilibrio nella nostra vita.
Molto di quello che è il cammino spirituale è quindi legato allo scorrere della natura e al lavoro con il nostro Io interiore, con il nostro potere personale, con il nostro stesso equilibrio. Non è pura e semplice "ricerca della conoscenza", non è solo inseguire la saggezza e cercare di accalappiarla a sé. I doni che possiamo ottenere sono diversi e se messi a confronto li troviamo legati agli aspetti degli elementi e alle mete iniziatiche: "conoscere, volere, osare, tacere". La conoscenza legata all'aria, la volontà legata al fuoco, l'audacia legata all'acqua e il silenzio legato alla terra. Samhain e Yule, se vogliamo, sono il passaggio dalla terra all'aria. La conoscenza di ciò che siamo, l'esposizione del fulcro. Imbolc è invece la prima tappa della volontà, legata al fuoco. Ossia "io voglio", "Io taglio ciò che è vecchio perché decido che è il momento per me di fare un cambiamento". Prendere coscienza di ciò che siamo e decidere di arrivare a capire veramente che anche se alcune cose fanno parte di noi, alcuni comportamenti, alcuni atteggiamenti, alcuni pensieri, alcune abitudini sono dannose per noi stessi e remano contro di noi e la nostra crescita. Alcune di queste cose spesso sono radicate nel fondo e tendiamo ad accettarle come parte di noi, ed in effetti è così. Ma noi abbiamo anche il potere/dovere di mettere ordine dentro noi stessi e trarre degli insegnamenti in ciò che ci capita, in ciò che abbiamo tirato fuori dagli inferi con Samhain, come Ercole con Cerbero. Le ferite pulite guariscono, quelle sporche suppurano.
In questa festa ci ritroviamo di fronte al passaggio e alla trasformazione; temerla, rifiutarla nelle forme in cui ci si presenta non è saggio. I venti freddi che portano via, quelli di cui ci narra Johane Harris nel suo Chocolat e che hanno portato Vianne Roche in quel paesino francese chiamato Lasquenet, non sempre sono latori di cattivi presagi. Spesso questo loro soffiare è dovuto solo al fatto che alcune cose devono andare. È il comune svolgersi. È importante lasciare che il vento che purifica, l'acqua che porta via, il fuoco che si alza in fuliggine faccia il suo lavoro con ciò di cui non necessitiamo più. È un normale iter che fa parte della nostra vita. Come il serpente che si sbarazza della sua pelle, ad Imbolc abbiamo l'opportunità di crescere e lasciarci qualcosa alle spalle, guardarla e capire che è giusto così, come un bambino che regala i proprio giochi a qualcun altro perché è diventato grande e non sente più il bisogno di giocare.
Questo capita anche nelle relazioni: Imbolc è un momento che segue una reale dimensione di riflessione e che, portata alla luce la verità del nostro rapporto, ci dà l'opportunità di purificarlo, di capire se è stato forte abbastanza per superare le insidie dell'inverno, se le radici sono così profondamente legate da ritenere impossibile districarle o se in realtà, anche se profonde, le nostre radici non hanno più acqua a cui attingere e, come dice Pablo Neruda nella meravigliosa poesia "Se tu mi dimentichi": "Se consideri lungo e pazzo il vento di bandiere che passa per la mia vita e ti decidi a lasciarmi alla riva del cuore in cui ho le radici, pensa che in quel giorno, in quell’ora, leverò in alto le braccia e le mie radici usciranno a cercare altra terra". Nello stesso tempo, se i rigori e le difficoltà della discesa, che ci portano ad avvicinarci per superarle hanno rafforzato il rapporto, Imbolc diventa il momento per proteggerlo, per rinnovarlo, per dargli il potere di germinare ancora e ancora, per fare fiori e frutti.
Le vecchia divinità invernale Cailleach - contrapponendolesi - si trasforma in Brigit, la giovane signora dal bianco manto e dai capelli di fuoco. Ed è in questo spirito che si vive questo sabba: lo spirito del potere che rinasce e si riafferma, che allontana il superfluo e lascia intatta l'essenza, il potere della vita che genera il potere solare della ruota, la croce stessa di Brigit.
Questa purificazione, questo rinnovamento, questo tornare alla luce può intimidirci, sì. È difficile a volte accettare di lasciar andare; come per i genitori è difficile accettare che i figli crescano e diventino indipendenti. Ma è proprio questo uscire dalla tana che ci permette di vedere cosa è cambiato nel mondo.
Una filastrocca scozzese apparsa in una raccolta di detti gaelici nota come Carmina Gadelica canta, in riferimento a Imbolc:
La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me

Come abbiamo visto il serpente è il simbolo di Brigit ma è anche il potere antico e ancestrale. Non per niente Artù portava il simbolo del drago sulla sua bandiera e, come ci narra Marion Zimmer Bradley nel ciclo di Avalon, era anche il simbolo della Vecchia Religione; se il grande condottiero desiderava ottenere il favore degli uomini delle campagne doveva portare sul campo anche la bandiera col serpente. Era il simbolo del rinnovamento perché i serpenti escono dalla tana soltanto quando la terra è abbastanza riscaldata dal sole per non far sì che muoiano. Perché non molestare il serpente? Perché è accettare il cambiamento. Io non impedirò quindi al cambiamento di fare il suo corso e lui non impedirà a me di viverlo. Se mi oppongo a questo naturale muoversi ecco che la sporcizia dell'anno passato (l'aria viziata, la polvere accumulata in mesi di chiusura nelle proprie case per svernare) infesterà il mio futuro.
I pagani in questo momento approfittano anche per purificare la propria casa. Come mi ha detto la mia insegnante, da poco venutami a trovare per celebrare Litha assieme: "La tua casa è il tuo tempio". Imbolc è il momento di purificare tutto: incenso, acqua e sale. È il momento di rinforzare le protezioni delle nostre abitazioni, di bruciare i vecchi incanti e di farne di nuovi.