The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

La Casa della Regressione


I Sogni
 

A cura di Proue
 


La Casa della Regressione

Nella casa della mia infanzia sono a pranzo con i miei genitori e unbo dei miei fratelli. Nella stanza c'è un giovane cervo che si comporta come un cane che vuole giocare. Esco sulla porta e sta piovendo a cielo sereno, tino dice che è sangue ma io penso di no, poi lo vedo e mi convinco, rientro in casa e sporco dappertutto. Ci troviamo poi imprigionati in una specie di villaggio inglese non rinchiusi ma sorvegliati e non possiamo uscire. Siamo in tre ma non conosco gli altri due, nel sogno siamo amici. Siamo in una specie di casa di riposo, chi rimane qui non invecchia e non muore ma regredisce mentalmente: sembra che più stiano qui più perdano pian piano le facoltà e l’indipendenza psicofisica, diventando più senzienti ma meno consapevoli e ci sono delle piogge di sangue a intervalli regolari. Approfittando di una pioggia riusciamo a rubare uno scooter salgono i miei amici ma vanno subito a sbattere, uno sembra farsi male. Recupero lo scooter e voglio far salire tutti ma non ci stiamo, un amico a terra, l'altra amica dice andiamo. Ci si avvicina una tizia e ci dà indicazioni per fuggire. Saliamo sullo scooter inizia sequenza da vertigini scendendo per stradine di un paesino di montagna ripidissime. Arriviamo sulla strada e siamo felici per la presenza di macchine. Ci troviamo su un autobus e dopo un po' ci rendiamo conto che anche qui ci sono persone regredite e che le piogge di sangue si sono estese. Ultima scena con i volti di gente arrabbiata che si sporge dai finestrini degli autobus di passaggio.

Nella casa della mia infanzia sono a pranzo con i miei genitori e uno dei miei fratelli. Nella stanza c'è un giovane cervo che si comporta come un cane che vuole giocare.

L’ambientazione del sogno, almeno quella iniziale, sembra familiare, senza particolari oggetti che non compensino razionalmente il ricordo di infanzia, quindi ci troviamo in un ambiente sereno, a cui si aggiunge un unico elemento discordante ma ben integrato dal sognante, il cervo che si comporta come un cane. Il simbologismo del cervo è molto forte e complesso. Normalmente il cervo esprime e porta con sé tutta una serie di energie legate alla sessualità, alla vitalità ed al vigore maschile. Ritrovare il puro istinto ormonale ed un po’ rude, canalizzato negli atteggiamenti più docili, mansueti e gestibili di un cane, è un segno di grande maturità, o quanto meno un sentore che ci dimostra di essere pronti a veicolare le energie sessuali e vitali con maggiore consapevolezza, o anche ad accoglierle semplicemente in sè.

Esco sulla porta e sta piovendo a cielo sereno, mio padre dice che è sangue ma io penso di no, poi lo vedo e mi convinco, rientro in casa e sporco dappertutto.

Altro elemento fortemente legato all’energia sessuale/vitale, il sangue che arriva sotto forma di pioggia ad impregnare il sognante e, per quanto egli cerchi di rientrare in casa ed evitare il contatto (che però non è causa né di disgusto, né di schifo, solo a quanto pare di preoccupazione per gli altri e per la casa), non riesce a non “portare dentro casa”, dunque nella sua vita di tutti i giorni (la famiglia ed il luogo dove si condividono attimi di quotidianità a tavola).

Ci troviamo poi imprigionati in una specie di villaggio inglese non rinchiusi ma sorvegliati e non possiamo uscire. Siamo in tre ma non conosco gli altri due, nel sogno siamo amici. Siamo in una specie di casa di riposo, chi rimane qui non invecchia e non muore ma regredisce mentalmente: sembra che più stiano qui più perdano pian piano le facoltà e l’indipendenza psicofisica, diventando più senzienti ma meno consapevoli, e ci sono delle piogge di sangue a intervalli regolari.

Qui c’è un cambio repentino di scena, l’ambiente diventa estraneo, una costrizione imposta, un luogo in cui il rischio di perdere qualcosa restando è forte e cosciente. E mette a disagio, spinge a trovar euna via di uscita, più che a lavorare su una possibile integrazione alternativa. La “casa di riposo” non viene descritta nei mobili, ma come un villaggio intero, uno spazio aperto, dove la costrizione non deriva da mura o prigionia, ma da qualcosa di più sottile (o subdolo…?) Dunque la necessità di andare via, per la propria salvezza, per la propria incolumità, per il puro spirito di sopravvivenza forse, ma indissolubilmente legato dall’emozione della paura, per cui spesso si preferisce rinunciare a percorsi nuovi o diversi da vie già camminate. Paura e spirito di sopravvivenza, coraggio e incoscienza. Viaggiano a due per due, tenendosi per mano ma a volte incolpandosi a vicenda. E’ così sottile il velo tra i due, che a volte ci risulta difficile capire quale dei due, di volta in volta, sta prendendo il sopravvento. Dovremo però sforzarci e, nel caso, spostare l’attenzione sul loro aspetto positivo e costruttivo, in modo da ricavarne qualcosa che ci serva davvero.

Approfittando di una pioggia riusciamo a rubare uno scooter salgono i miei amici ma vanno subito a sbattere, uno sembra farsi male. Recupero lo scooter e voglio far salire tutti ma non ci stiamo, un amico a terra, l'altra amica dice andiamo.

Comincia la fuga, rocambolesca e pericolosa, in cui la vita viene messa in pericolo per cadute ed incidenti, paradossalmente allo stesso modo che se si fosse rimasti nel villaggio, solo con modalità differenti e forse più “accettabili”. Qui il senso di dovere la fa da padrona, cercando di mettere in salvo tutti con il minor danno possibile: il soggetto non sceglie tra i due, ma aspetta che siano le situazioni a farlo per lui, adattandosi alla situazione con l’adrenalina in corpo. E la scelta diventa una conseguenza, e magicamente di libera di responsabilità.

Ci si avvicina una tizia e ci dà indicazioni per fuggire. Saliamo sullo scooter inizia sequenza da vertigini scendendo per stradine di un paesino di montagna ripidissime. Arriviamo sulla strada e siamo felici per la presenza di macchine.
La fuga continua, e diventa avventura, quasi da film, che sembra la trasposizione di un cammino che si rivela contorto ma pieno di scoperte, di paesaggi e scene particolari, se sono si ha il tempo di distogliere lo sguardo dalla meta e soffermarsi sulle meraviglie del viaggio stesso. Che sia il suo o di chi lui ama, fare un pezzo di viaggio insieme ha il potere di alleviare le paure di chi lo ha intrapreso e di regalarti emozioni che altrimenti ti sarebbero precluse dal momento che scegli di non condividerne neanche un pezzetto.

Ci troviamo su un autobus e dopo un po' ci rendiamo conto che anche qui ci sono persone regredite e che le piogge di sangue si sono estese. Ultima scena con i volti di gente arrabbiata che si sporge dai finestrini degli autobus di passaggio.
Quando il destino di un percorso è segnato, è difficile cambiare rotta volontariamente, è spesso pur essendo possibile è assolutamente deleterio. Questione di tempo, di distrazioni, di forzate volontà, ma non vedere, cercare una via alternativa non portano quasi mai ad allontanarsi davvero da ciò che ci aspetta. E se qualcosa arriva per noi è perché siamo pronti ad affrontarla. Anche se non ne siamo ancor apienamente consapevoli, anche se non ce ne siamo proprio resi conto. E così che il “problema” si ripropone, imponendosi con la stessa forza, e cercando una breccia nella consapevolezza del sognante, che pur avendolo rifuggito, ora non può far altro che accettarlo e farlo suo, anche un po’ per volta, anche con tutto il tempo che gli serve per abituarsi e non ignorarlo. Perché la stessa energia che impiegheremmo ad ignorarlo possiamo usarla per affrontarlo, e accoglierlo, e farlo nostro, e scoprire che può trasformarsi, senza neanche tutto questo sforzo, in una occasione di apprendimento e di scoperta.