The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

LITHA


Litha - La Luce della Riva

L'Origine di Litha
Nel nostro viaggio lungo le festività dell'anno, superato il cardine rappresentato da Beltaine, arriviamo all'altro solstizio, ossia Litha, nota anche come Mezz'estate (Midsummer in inglese).
Il termine con cui ci si riferisce a questa festività ha meritato una ricerca profonda e, ad adesso, tuttora inconclusa. Su molti siti si trova scritto che il nome derivi da una divinità del grano che era venerata tra le popolazioni sassoni, come cita anche Roberto Fattore su Feste Pagane. Ora posso affermare con una certa sicurezza che si tratti di una notizia falsa. Per consentirmi di giungere a queste conclusioni è stato necessario l'intervento di due persone esterne, la prima la chiamerò esclusivamente Edoardo, il quale mi ha chiesto info su questa dea perché non la conosceva e permettendomi così di ricordandomi delle ricerche che avevo fatto a riguardo ma che per problemi di tempo erano rimaste incompiute. Mi scuso quindi con chi ha letto l'articolo precedentemente al maggio 2013 e che ha quindi trovato notizie non corrette.
A riguardo del nome "litha" innanzitutto ci sarebbe da notare come i quattro sabba maggiori abbiano tutti un nome di origine celtica che ne spiega la funzione. Dei quattro minori solo i due solstizi si ritiene fossero festeggiati, mentre gli equinozi sono stati un'aggiunta della wicca per equilibrare le energie sulla ruota dell'anno. Nel corso dei precedenti articoli abbiamo visto come Yule derivi dal norreno "Hjol", ruota, pertanto perché "Litha" dovrebbe essere il nome di una presunta divinità sassone essendo, a quanto ho letto un termine norreno? In secondo luogo, oltre al fatto che a chiamare in questo modo questa festa siamo in ben pochi, dato che i britannici la chiamano "midsummer", e oltre a non trovare alcuna informazione su questa dea su nessun libro di antropologia e religione (Graves, Frazer, Ginzburg per dirne solo alcuni) nelle mie ricerche mi sono imbattuto in un testo latino di un monaco anglosassone: Beda il Venerabile. In questo testo, chiamato De temporum ratione, ossia il computo del tempo, nel capitolo quindici, intitolato De mensibus Anglorum troviamo elencati i diversi nomi dei mesi delle antiche popolazioni anglosassoni: "(...) quidem Latini Januarium vocant, dicitur Giuli. Deinde Februarius Sol-monath, Martius Rhed-monath, Aprilis Eostur-monath, Maius Thrimylchi, Junius Lida, Julius similiter Lida, Augustus Vueod-monath, September Haleg-monath, Oktober Vuinter-fylleth, November Blod-monath, December Giuli, eodem Januarius nomine, vocatur (...)". Pertanto Beda sostiene che "ciò che i latini chiamavano Junius, gli antichi popoli angli lo chiamavano Lida e ciò che chiamavano Julius, lo chiamavano sempre Lida". Detto questo non mi tornava il significato stesso della parola e pertanto non avevo inserito la nota in attesa di avere altre info.
Nella sua mail Edoardo mi ha così segnalato che un suo amico gli aveva fornito delle info che mi mancavano; Demetrius mi ha gentilmente contattato per garantirmi la possibilità di pubblicare quanto da lui scritto: Ronald Hutton, celebre studioso e storico, afferma che i termini oggi popolari tra i Wiccan/Neopagani (Americani, Spagnoli, Portoghesi, Francesi e Italiani) per indicare l'Equinozio d'Autunno e il Solstizio d'Estate, vennero per la prima volta utilizzati/coniati da Aidan Kelly (autore di Crafting the Art of Magic pubblicato nel 1991). Kelly ammette di aver coniato il termine moderno "Mabon" servendosi di fonti letterarie (in questo caso dalla mitologia Gallese del Mabinogion), e Litha dall'opera di Beda Il Venerabile De Temporum Ratione. Bosworth and Toller’s Old English Dictionary afferma che la prima parte di Litha (questo mese, pare, fosse di doppia lunghezza) fosse conosciuto come “se aerra Litha”, mentre la seconda parte “se aeftera Litha”. Kathleen Herbert sostiene che le informazioni in Bosworth and Toller vengono da Beda e da successivi commenti sull'opera da parte di studiosi posteriori al monaco Inglese, come Aelfric and Bryhtferth. Ma i termini ‘aerra’ e ‘aeftera’ non compaiono nel lavoro di Beda, quindi presumo che provengono da uno dei più tardi commentari.
Ora, "aerra" ricorda molto l'avverbio inglese "early", che indica l'inizio o la prima parte di qualcosa, mentre "aeftera" qualcosa che viene dopo (after). A mio modesto parere, il significato di “se aerra Litha” è più vicino a "il primo Litha/Giugno (o prima di Litha, concependolo cone solstizio n.d.r.), mentre “se aeftera Litha” a il tardo/la parte finale di Litha (o seguente a Litha n.d.r.). Beda scrive inoltre "Quando si verifica un anno embolismico (cioè, uno con 13 mesi lunari), essi (i primi Inglesi) assegnavano il mese extra all'estate, così che i tre mesi insieme portavano il nome di "Litha", da ciò essi chiamarono l'anno “Trilithi”.
Qui però ancora non ci torna il concetto di cosa significhi "Litha". Su questo ad adesso ho isolato due ipotesi che possono essere legate. La prima è di Beda, e sostiene che riporta ad una parola britannica: "lithe". Beda infatti dice: "Litha significa "dolce/mite" o "navigabile", perché in entrambi i mesi le tranquille brezze sono gentili, ed essi (i primi Inglesi, Anglo-Sassoni) erano soliti navigare sul mare calmo (liscio). In alcuni dizionari (consultabili anche on-line) la parola "lithe" viene tradotta come " amabile", "mite", " sereno", "gentile" e il verbo "lithan" come "andare" "viaggiare" "navigare", tutti coerenti con la dichiarazione di Beda.
La seconda è che invece derivi dal termine germanico "licht", che significa "luce". Si tratta infatti del solstizio, il giorno con più ore di luce di tutto l'anno e contrapposto a "Hjol". Perché due ipotesi? Stiamo parlando di anglo-sassoni. I sassoni e gli angli erano due popolazioni diverse che abitavano luoghi diversi. Gli Angli erano britannici, i sassoni erano germanici. Questi bellicosi barbari migrarono in Britannia nel quinto secolo assieme ad altri popoli, scontrandosi con le popolazioni dell'isola in più occasioni (narrate anche nel Mabinogion e nel poema di Re Artù) e in ultimo trovando una coesione, quindi fondendo due popolazioni diverse in una sola. È forse possibile supporre che questo termine possa avere declinazioni da entrambe le vie, dato che Beda parla di "Anglorum".
Ciò che, quindi, ad adesso posso affermare con una certa sicurezza è che non esiste alcuna dea sassone del grano che porti il nome di Litha. Il termine coincide con il solstizio per questioni temporali e grazie ad un pagano moderno, esattamente come quello che capita con gli equinozi.
Nel neodruidismo invece il solstizio è uno dei quattro Alban, le quattro "luci". In questo caso si parla di Alban Heruin, la "Luce della Riva". Questo termine deriva dall'interessante visione dello stacco tra il mare e la terra e di come la riva sabbiosa sia l'intersezione tra questi due universi differenti, nel quale possiamo trovare l'analogia della fluidità e la materialità, o il lato conscio e inconscio. Ed è anche un po' il ruolo che ha Litha in quanto è la festività di picco ascendente dell'anno solare, contrapposta a Yule che ne segna invece il picco discendente. Il Solstizio d'Estate segna infatti il momento in cui, lungo tutto l'anno astronomico, avremo più ore di luce in assoluto, oltre che un giorno di una durata maggiore rispetto alla notte. Ma dopo questo momento di massima estensione, ecco che le giornate cominceranno ad accorciarsi sempre di più per giungere alle minime ore di luce e massime di buio del solstizio d'inverno. Al Tropico del Cancro nel Solstizio d'Estate le case a mezzogiorno non proiettano alcuna ombra (come avviene al Tropico del Capricorno durante il solstizio invernale) ed è possibile vedere il sole riflesso nelle acque dei pozzi anche a decine di metri di profondità. Il Sole è a picco esatto, nel suo massimo zenit. Essendo una festività di tipo astronomico il Solstizio d'Estate cade in genere tra il 20 e il 21 di giugno.
Il tema della festa è la mietitura dei cereali. Infatti nelle regioni più mediterranee dell'Europa, il Solstizio d'Estate rappresenta il primo dei quattro raccolti che vengono svolti. In questo momento dell'anno il grano va a maturazione ed è pronto ad essere mietuto.
Il Solstizio d'Estate era sempre stata ritenuta una "porta", nel senso che era l'ingresso per un ciclo diverso: come tale per i romani era sacro a Giano Bifronte, il signore guardiano degli ingressi, come anche lo stesso solstizio di inverno. Un interessante aspetto di questa divinità ci arriva dall'etimologia stessa del suo nome: Giano (in latino Janus). Egli era infatti chiamato Ianitor che deriva dal latino ianua, porta. Il suo stesso culto presiedeva al sorgere e il discendere del Sole, quindi alle porte stesse del cielo: Januae caelestis aulae. Egli era infatti una divinità di tipo solare, molto antica e precedente allo stesso Giove.
Giano veniva rappresentato con due volti uno opposto all'altro che guardavano entrambi i passaggi della porta. A lui erano sacri anche gli archi a tutto sesto in quanto era il guardiano del cielo, quindi anche di tutto ciò che lo rappresenta, siano essi porte celesti o ingressi. Questo suo osservare e controllare era anche riferito al lato interno ed esterno di queste porte inteso come passaggio tra il passato ed il futuro. Tra le mani stringeva una chiave,perché suo era il compito di chiudere e aprire, e questo lo legava anche al concetto di iniziazione. I suoi due volti inoltre erano rappresentati su dischi solari, come le monete; su una delle due facce appariva come sbarbato e giovane e sull'altra invece barbuto e anziano. Secondo Macrobio questo aspetto duplice di Giano lo ricondurrebbe ad un lato androgino e gemellare che lo metterebbe in relazione con Jana, ossia Diana, la dea lunare venerata dalle janare, le streghe di paese: Janus e Jana, quindi, come due volti solare e lunare di inizio e di fine. In quanto dio delle porte (appunto januæ), suo era l'attributo di chiusura e apertura delle stesse, quindi clusius e patulcius, e questo era il suo legame con il ciclo astronomico solstiziale dal momento che apriva e chiudeva le porte del cielo. Le apriva in coincidenza con i Saturnalia e le chiudeva per il solstizio estivo e le feste di Fors Fortunae. Era quindi sia il dio degli inizi che quello delle fini: non per niente il mese di gennaio era sacro proprio a lui: januarius.
Quando l'avvento del cristianesimo soppiantò gli antichi culti agresti, il Solstizio d'Estate venne sovrapposto con la nascita di un santo molto importante nella Bibbia: S. Giovanni Battista. Come abbiamo visto anche nell'articolo su Yule: Un ulteriore punto di vista interessante lo troviamo nel fatto che di tutti santi martiri che vengono ricordati nel calendario Giuliano, le uniche due date di cui non viene commemorata una morte bensì una nascita sono il 24 dicembre e il 24 giugno, rispettivamente S.S. Natale e S. Giovanni. Ricordiamo infatti che Giovanni Battista era colui che aveva battezzato nel Giordano lo stesso Gesù Cristo e che, per un certo periodo, aveva una notorietà quasi paritaria al nazareno. Se non che, come leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni (3, 25-30): 25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo la purificazione. 26Andarono perciò da Giovanni e gli dissero: "Rabbì, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai reso testimonianza, ecco sta battezzando e tutti accorrono a lui". 27Giovanni rispose: "Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. 29Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. 30Egli deve crescere e io invece diminuire."
Questa è una curiosa similitudine con il solstizio. Vedendo Giovanni e Cristo come due diversi Soli (in linea teorica e mitica), verso la fine del regno di Giovanni "Egli deve crescere e io invece diminuire". Questa stessa similitudine la troviamo nella tradizione del Re Quercia e del Re Agrifoglio, entrambi fratelli e patroni di una metà dell'anno. Ad ogni solstizio i due re si affrontano e uno uccide simbolicamente l'altro che si reca nel regno sotterraneo dove riprende le forze per uccidere il fratello al solstizio seguente. A Yule il Re Quercia viene incoronato, uccide il Re Agrifoglio e regna per sei mesi sul trono della luce, essendo il patrono della metà luminosa dell'anno, attendendo di essere privato del regno e della corona dal fratello che lo ucciderà al Solstizio d'Estate."
In questo simbolismo torna il motivo dell'ascesa e della discesa della nostra stella lungo la sua traiettoria ascendente e poi discendente, ossia il moto apparente che ha nel cielo lungo il nostro anno astronomico. Tutto ciò che arriva ad un culmine di ascesa deve arrivare infine ad un culmine di discesa. I due solstizi in questo caso toccano i punti complementari di questo ciclo e per i greci e i latini ecco che torna l'allegoria della "porta" che collega i due mondi. Non per niente Litha è anche un momento magico per eccellenza, dove il regno dei Sidhe assottiglia i suoi confini e permette alle fate di entrare nel mondo degli uomini e farsi vedere. I due solstizi, quindi, come porte permetterebbero l'ingresso e l'uscita sia degli uomini che degli dei. In questo caso il Solstizio d'Estate è la "porta degli uomini", mentre quello d'inverno "la porta degli dei". E qui ecco che Giano Bifronte ruota sull'asse del terzo volto, quello che non è possibile vedere e che poi è il mondo stesso; associato ai due Re (agrifoglio e quercia) trova il simbolismo dei due aspetti della medesima persona: il lato oscuro e quello luminoso. A Litha il Re Agrifoglio uccide il fratello Re Quercia dopo averlo spodestato e regna sul mondo per sei mesi prima di morire e lasciare il posto al fratello: un gioco forza tra oscurità e luce che continua a ribaltare le energie lungo tutto l'anno solare, da solstizio a solstizio passando per gli equinozi.
Ritenendo che i due solstizi fossero quindi le due porte poste agli antipodi sulle quali, come abbiamo visto, faceva buona guardia il custode degli ingressi Giano, possiamo vedere come una di queste porte fosse dedicata alle divinità e agli esseri eletti ed immortali, mentre l'altra fosse riservata solamente a chi aveva come destino ultimo il finire tra le ombre dell'Averno. E la porta che si spalancava proprio durante il Solstizio d'Estate, quindi quando il calore e la luminisità raggiungeva il suo picco massimo, era dedicata ai mortali. Di questo argomento troviamo anche un appunto su Lunario di Alfredo Cattabiani: Omero descriveva nell’Odissea un misterioso antro dell’isola di Itaca nel quale si aprivano due porte. Il poeta spiegava che la porta degli uomini è rivolta a Borea, cioé a Nord (e infatti al solstizio estivo il sole si trova a nord dell’equatore celeste), mentre quella degli dèi e degli immortali è volta a Noto, ovvero a sud, perché l’astro al solstizio invernale si trova a sud dell’equatore. E se ci sono due porte, con relativi guardiani, allora sono presenti due confini, due varchi, due passaggi che portano su mondi differenti, uno dominato dal Giano che reca con sé il bastone, l'altro dal Giano che reca con sé la chiave. Questa visione è stata legata anche al cristianesimo, come ci fa notare sempre Alfredo Cattabiani, nel suo Calendario: a Luchon, in Francia, venne trovato un cartiglio risalente al quindicesimo secolo dipinto su una pagina strappata da un manoscritto ecclesiastico. Questo cartiglio è molto interessante e reca inciso il monogramma IHS. Sopra è stato rappresentato un cuore, mentre sotto un mezzobusto di Giano Bifronte con un volto barbuto e uno giovanile, in apparenza femminile o comunque androgino, che tiene nella mano destra lo scettro e nella sinistra la chiave. Perché scettro e chiave? Perché erano simboli di regalità e di sacerdozio. In questo caso simboli di poteri terreni e poteri celesti: le due porte. Il legame che si trova con il cristianesimo è chiaro nella quarta antifona che si trova nel Breviario Romano, dato che la liturgia, ci spiega sempre Cattabiani, lo celebra sulla scia di Giovanni: O Clavis David, et sceptrum domus Israel!... Tu sei, o Cristo atteso, la chiave di David e lo scettro della casa di Israele. Tu apri e nessuno può chiudere; e quando chiudi nessuno può aprire. Il legame che lega quindi Giovanni Battista al solstizio estivo è anche la presenza di un secondo Giovanni, l'evangelista, legato al Solstizio invernale. Uno è noto come il "Giovanni che ride", mentre l'altro come il "Giovanni che piange", ma in realtà è lo stesso Giano, duplice volto, che piange e che ride perché è il Sole che discende a Litha, quindi piange, e che risale a Yule, quindi ride. L'impossibilità di legare il Giovanni che ride al reale solstizio deriva dal fatto che il Sol Invictis, la nascita di Mitra avevano un ruolo più cardinale, quindi nell'Impero Romano fu posizionato nel sesto giorno delle calende di gennaio (mese di Giano), ossia il 27 dicembre.
Cattabiani ci fa quindi notare come nel cristianesimo Giano venne interpretato come l'immagine profetica del Cristo, via e signore dell'eternità, il custode delle due porte solstiziali. In una notizia non documentata, ci fa notare inoltre come René Guenon, esoterista francese del diciannovesimo secolo autore di Simboli della Scienza Sacra, sostiene che la festa di Giano fosse celebrata a Roma dai collegia fabrorum ai due solstizi: le feste sarebbero poi diventate quelle dei due Giovanni per la somiglianza fonetica fra il nome ianus e iohannus. I due Giovanni avrebbero così impersonato nei due solstizi le funzioni del Cristo come "chiave" delle due porte. Ma c'è una certezza su cui l'esimio autore di Calendario calca la mano, ossia l'etimologia ebraica del nome "Giovanni", che deriva da yahōhānān, composto da yahweh, termine che significa Dio e da hānān, termine che invece significa sia "misericordia" che "lode". Perciò Giovanni significa sia "misericordia di dio" che "lode a dio". Il primo senso può convenire al Battista, il Giovanni che piange, a causa del suo destino a cadere, discendere come il Sole, e l'altro al Giovanni che ride, l'evangelista, a causa del suo ascendere.
Ma perché spesso si sente dire che le streghe si alzavano in volo proprio nella notte del solstizio? Litha è una delle tre festività di "confine", insieme con Beltaine e Samhain. In questa notte la porta (a cui fa la guardia sempre Giano) si apre e i mondi si mescolano. È vicina ad essere una sorta di carnevale e proprio come Yule, durante cui le licenziosità sessuali e la promiscuità prendevano un picco. A Roma il Solstizio d'Estate era sacro a Fors Fortuna, e le festività dedicate a questa dea si tenevano proprio tra il 23 e il 24 di Giugno, ponendo il mondo, come con i Saturnalia, in una condizione di "malgoverno", ossia un momento dove tutte le leggi erano ribaltate. Ecco che qui si ritrovano i due aspetti delle diverse divinità che fanno braccio di ferro. Proprio al solstizio la quercia fiorisce, segnando l'inizio del declino dell'anno, quindi Bran torna a prendere il sopravvento lungo la metà discendente dell'anno.
Discostandoci quindi dal simbolismo del Solstizio d'Estate legato al raccolto e alla propiziazione del calore solare che cala, troviamo come sia forte il legame tra il mondo visibile e quello invisibile, tra il materiale e l'immateriale, e come i popoli agresti temessero questi confini, reputando quello in cui si assottigliavano un momento pericoloso di transizione dove le cose più curiose potevano avvenire, dove gli spiriti maligni erano liberi. Margaret Murray ne Il Dio delle Streghe ci fa notare che le streghe, viste come entità maligne, secondo lei erano delle iniziate ad un culto fertilitario pre-cristiano i cui riti vennero interpretati in modo sbagliato dagli ecclesiastici che desideravano soppiantare il paganesimo agreste con il cristianesimo. È interessante notare che la visione della strega e degli stregoni neri al seguito di diavoli e spettri era vista solo come portatrice di sterilità dei campi e di carestia. Nel libro dell'antropologo Carlo Ginzburg: I Benandanti troviamo come sia presente, soprattutto nel nord-est dell'Italia, la figura benigna di queste persone (i benandanti, appunto) che sono "nate con la camicia", ossia con il sacco amniotico sopra il volto, e come questo simbolo significhi tuttora essere a metà tra i due mondi, ossia possedere poteri medianici. Questi benandanti non furono mai visti come malvagi, bensì come guerrieri apotropaici di fertilità che in sogno fuoriuscivano dal corpo sotto forma di mosche o piccoli uccelli e si recavano nei campi al seguito di Diana e di lupi mannari a combattere con mazze di finocchio le entità malvagie. Quando la Chiesa Apostolica Romana diede un bel giro di vite con la bolla papale di Innocenzio VIII del 4 dicembre 1484, nota come Summis Desiderantes Affectibus, ossia "Desiderando con tutto il cuore", che sfociò poi nel Malleus Maleficarum tre anni dopo, gli inquisitori, privi ormai di qualsiasi freno possibile o immaginabile e lecito per amministrare il loro "dovere pastorale che la fede cattolica accresca e si diffonda ovunque e che ogni corruzione ereticale sia allontanata dalla Cristianità", mescolarono e ingarbugliarono tutto e identificarono sempre di più il sabba con il raduno del maligno che è poi passato nelle accuse e nelle confessioni estorte alle presunte streghe. Ma una volta i ruoli erano ben chiari, divisi come due eserciti diversi, uno al seguito di Diana e bonae res che portavano il loro amnio intorno al collo come un talismano protettivo, l'altro dei nemici della fertilità.
Secondo il Liber 777 di Aleister Crowley, riprendendo la tradizione dell'Heptameron di Pietro Albano, il solstizio d'estate è nel dominio dell'angelo Casmaran. Nella tradizione Cabbalistica invece l'arcangelo che domina questo periodo dell'anno è Uriele, che ha il dominio dell'elemento terra. È interessante notare come questo arcangelo subì una forte dose di ostracismo da parte della Chiesa Cattolica. Nella Bibbia infatti si nominano solo i nomi di tre arcangeli e quello di Uriel è il mancante. Questo evento è successivo all'ottavo secolo ed è dovuto ad una preghiera dell'arcivescovo Adalberto di Magdeburgo, che nominava, oltre ai quattro arcangeli biblici, alcuni altri nomi che fecero insospettire il papa allora in carica, che li considerò demoni. Sostenne quindi che fosse stato proprio Uriel a consigliarlo, considerando anche lui un demone come gli altri nuovi personaggi; le effigi che lo rappresentavano furono rimosse e le preghiere di Adalberto cancellate. Quest'ultimo venne incolpato di praticare atti magici e condannato. Ma la cosa interessante sta nel fatto che alcuni studiosi dell'antica mitologia sumera collegarono questo angelo ad una divinità della terra: Enki, il figlio di En e Ki poi chiamato Gilgamesh, come leggiamo nel poema accadico Epopea di Gilgamesh. Fu proprio lui che avvisò Uta-Napishtim del diluvio che avrebbe sconvolto il pianeta affinché costruisse la famosa arca per salvare la sua famiglia e gli animali adatti a ripopolare in seguito la Terra. Uta-Napishtim è infatti il nome sumero di Noè. Non mi dilungherò molto su questo dio ma ci tengo a precisare che Enki, in seguito, venne identificato dai cristiani come il Diavolo perché nel mito egli fu colui che si oppose alla distruzione degli esseri umani ad opera degli Annunaki e per questo fu scacciato durante uno scisma che interessò i poteri celesti. L'ostracismo mostrato nei confronti di Uriel qui prende quindi un significato ancora più profondo.

Come era calcolata la data di Litha
In quanto festa astronomica e solstiziale Litha nel mondo antico era calcolata con una certa precisione grazie al moto apparente del Sole nella volta celeste. Il solstizio segna l'inizio dell'estate astronomica, quindi solare, ma nella realtà ne segna la sua esatta metà, il suo culmine.
L'inizio dell'estate è segnato invece dalla festa cardine di Beltaine, contrapposta alla sua fine, che giunge a Samhain. Il caldo torrido che arriva nelle regioni continentali con giugno e luglio è dovuto ancora una volta alle correnti oceaniche transcontinentali. Non è infatti possibile per il Sole scaldare masse d'acqua così enormi in breve tempo e le correnti che portano le acque calde dal sud verso il nord impiegano ancora un mese e mezzo ad alzare la temperatura, lasciando quindi l'impressione che l'estate giunga con il solstizio. È anche per questo motivo che ci si riferisce alla notte di mezz'estate come Midsummer's Eve, ossia Vigilia di Mezz'estate. Lo stesso Shakespeare intitolò proprio una delle sue commedie più brillanti Midsummer Night's Dream, ossia Sogno d'Una Notte di Mezz'Estate, mescolando al suo interno, come vedremo più avanti, chiari simbolismi relativi al mondo fatato dei Sidhe.
Come tutti avremo studiato a scuola, l'astronomia era una materia molto in auge tra i popoli antichi, i quali osservavano il cielo notturno e diurno e svolgevano complessi calcoli anche se non in possesso di tecnologie avanzate come quelle di cui disponiamo oggi. Il calcolo solstiziale nell'età del ferro e del bronzo veniva effettuato grazie ai siti megalitici eretti in posizioni strategiche. In Britannia i celti pare usassero il famoso Stonehenge come calendario astronomico. È stato l'astronomo Gerald Hawkins, osservando questo sito megalitico di origine neolitica, ad ipotizzare che, dato che le pietre e gli archi che lo compongono sono allineati con il sorgere del sole proprio in coincidenza con l'evento astronomico del solstizio, si tratti di una sorta di antichissimo osservatorio utilizzato per calcolare appunto la data del solstizio. Il suo termine significa "pietra sospesa" ed è dovuto ai pesantissimi architravi di roccia arenarica di cui è composto. Si trova nella piana omonima nello Wiltshire, nei pressi di Amesbury.
Ci sono molte ipotesi su chi abbia costruito questo sito megalitico ed è escluso si tratti dei celti, dal momento che il loro arrivo in zona è da far risalire al quarto secolo prima di Cristo. È possibile che abbiano utilizzato quel sito per i loro calcoli ma lo stesso pare essere molto più vecchio.
Purtroppo c'è da considerare che quello che rimane a noi non è che ben poco, in confronto a ciò che c'era all'inizio. Storicamente infatti pare che non pochi siano quelli che si sono accaniti contro quelle pietre, sia per distruggerle che per prenderne come souvenir, e che molte siano state spostate e poi ripiazzate al loro posto, senza forse rispettare la mappa originale ormai perduta.
Il punto focale di interesse di Stonehenge è la famosa Pietra del Calcagno, un monolito di oltre trentacinque tonnellate posizionato in un punto isolato rispetto alla costruzione principale e che si erge come un pollice verso l'alto. All'alba del Solstizio d'Estate, posizionandosi al centro del cerchio e osservando questa pietra, si noterà come contrassegni approssimativamente (ma con una precisione sbalorditiva considerando che si sta parlando di quasi 5000 anni fa e che, come abbiamo visto, alcune pietre sono state spostate) il sorgere del Sole. La cosa che più lascia sbalorditi e che ha mosso l'interesse degli studiosi di archeologia e di astronomia preistorica è l'asse stessa su cui è stata costruita la struttura e che punta precisamente al solstizio, senza contare le oltre venti ulteriori sinergie di allineamenti solari e lunari che sono state riscontrate e scoperte nella struttura. Si presume pertanto che i loro antichi costruttori facessero di questo luogo il ritrovo tra le varie tribù britanniche.
Ma Stonehenge è solamente il più famoso dei siti megalitici usati per il calcolo delle date solstiziali ed equinoziali. Anche in Italia possiamo contare su un tempio proto-celtico di tutto rispetto, che si trova nella zona del comasco, su un monte a più di quattrocento metri di quota: il Monte Caprino. Questo antichissimo nucleo abitativo, distribuito quasi sull'attuale confine svizzero, è da far risalire all'età del bronzo ed è noto come Pianvalle. Ovunque su rocce e costoni è possibile trovare petroglifi di aspetto astronomico. Come leggiamo a riguardo sull'ottimo articolo di Adriano Gaspani, astronomo membro del GEOS (Gruppo Europeo d'Osservazione Stellare), apparso sul numero 210 di "Astronomia" (giugno 2000): Nella parte pianeggiante del sito, corrispondente al settore più elevato della grande roccia, sono presenti sei buche di circa 20-25 cm di diametro e profonde altrettanto, scavate nella roccia, in cui, in antico, furono infissi pali in legno. Cinque delle sei buche hanno sezione circolare, mentre la sesta è quadrata. La loro distribuzione irregolare fa ritenere improbabile che la funzione fosse quella di sostenere una copertura. È invece più verosimile che i sei pali venissero utilizzati quali segnacoli, oppure quali indicatori di direzioni importanti. Le rilevazioni dell'autore (primavera 1999) effettivamente suggeriscono la possibilità che le sei buche realizzino alcuni allineamenti astronomicamente significativi.
Due buche (la 5 e la 1) sono allineate nella direzione del tramonto del Sole all'orizzonte locale al Solstizio d'Estate. Nella direzione opposta si aveva la levata del Sole al solstizio d'inverno, ma i rilievi dell'orizzonte locale avrebbero anche potuto precludere l'osservazione del fenomeno; ciò non sorprende, poiché in tutti i luoghi sacri golasecchiani si trovano segnacoli corrispondenti a direzioni astronomicamente significative, anche se i punti di levata e di tramonto degli astri corrispondenti erano osservabili con difficoltà a causa sia della possibile forestazione (i luoghi erano generalmente ubicati nei boschi) sia di rilievi del terreno. è comunque assodata la tendenza degli insediamenti della Cultura di Golasecca a essere allungati con l'asse maggiore che punta verso la levata del Sole al solstizio d'inverno indipendentemente dal fatto che tale punto dell'orizzonte risultasse effettivamente visibile. L'accuratezza media degli allineamenti è dell'ordine di qualche grado.

Ma come si calcolava? I popoli antichi, affascinati dai cambiamenti e dalle mutazioni della natura, erano stati molto accorti a marcare alcune situazioni che si verificavano nel corso degli anni. In tutto il mondo, tra diversi popoli, quattro furono i principali metodi adottati dall'uomo preistorico per calcolare con una certa esattezza i fenomeni astronomici solari. Il primo di questi è quello che abbiamo visto con Stonehenge, ossia posizionare una pietra (nel caso di Stonhenge la pietra del calcagno), in una posizione fissa. Grazie all'osservazione di questo punto focale lungo l'asse dell'orizzonte al momento del tramonto o dell'alba si poteva notare come i punti più a nord di levata e calata eliaca erano legati ai due solstizi. Un altro è la costruzione di camere posizionate in luoghi strategici, dove il sole, sorgendo o tramontando colpiva con i suoi raggi pareti e punti particolari. Questo tipo di costruzioni ovviamente richiedeva anni di osservazioni per essere completate dal momento che il sole sorgeva o tramontava in quel punto solo una volta all'anno. Newgrage ad esempio, come abbiamo visto nell'articolo su Yule, si basa su questo principio per calcolare il solstizio invernale. Un altro metodo invece era la misurazione dell'ombra gettata da un pilastro nel momento di picco del Sole, a mezzogiorno. Nelle zone della terra scandite da un clima temperato, ossia sopra la linea equatoriale, l'ombra è più corta al Solstizio d'Estate e più lunga in inverno. Al contrario nella fascia sottostante. L'ultimo dei metodi è quello usato da molte popolazioni nei pressi, appunto, dell'equatore. In Perù ad esempio questo metodo è utilizzato in camere apposite che hanno un foro situato sulla sommità, a volte come un condotto (simile a quelli presenti nelle piramidi che puntano verso alcune stelle) e da cui i raggi solari, a mezzogiorno del solstizio, ossia quando il Sole è allo zenit, passano esattamente a picco e illuminano un punto appositamente posizionato. Questo ultimo metodo è quello utilizzato anche dal nuraghe Aiga di Abbasanta, al centro della Sardegna, in provincia di Oristano. Questo nuraghe è l'ulteriore dimostrazione di come non sia necessario andare fino nel Regno Unito per trovare luoghi magici di interesse storico e archeologico. Aiga è quello che è chiamato una costruzione "polilobata", ossia con cerchi concentrici tracciati. Pare che sorgesse anche un villaggio a ridosso e la vegetazione non l'ha nascosto impossibile da individuare. Anzi, pare in ottimo stato. Come leggiamo nel sito www.archeologiasarda.com: Durante il solstizio d'estate il sole a mezzogiorno entra all'interno della sala attraverso un foro praticato sulla sommità della tholos e coperto da una pietra movibile, creando un fascio di luce che colpisce la nicchia in asse con il finestrone del secondo livello.

Come si festeggiava Litha
In quanto giorno più lungo dell'anno, Litha è il momento di picco. Le energie naturali sono in piena esplosione, quindi si usava accendere falò per onorare il Dio al suo massimo picco di virilità. Anche Litha infatti è una delle feste ierogamiche. In quanto festa solare il fuoco, ancora una volta, trova un ruolo determinante nel sabba, ma sono molto importanti anche le erbe, oltre che l'acqua.
Come abbiamo visto nel sabba di Beltaine, altro momento cardine legato al fuoco, nove legni sacri venivano posti nelle buche nel terreno per favorire le fiamme dei falò, che formavano come un portale attraverso il quale il bestiame veniva fatto passare, liberandolo così dai parassiti e dandogli una "benedizione" di fertilità, spesso picchiandolo con bastoni, utili a scacciare gli spiriti maligni o, in termini sciamanici, i "vermi" della malattia, altre volte girando intorno con rami di erica o ginestra a cui si aveva dato fuoco. Litha era nota anche come Giorno della Ginestra appunto per questo. La misura apotropaica di protezione dei raccolti, delle persone, dei nascituri, dell'amore, dei matrimoni segna un bisogno degli uomini di assicurarsi un futuro in cui il Sole tornerà a splendere di nuovo con forza, in cui i raccolti saranno abbondanti e ci sarà possibilità di avere cibo, abbondanza e salute per tutti.
Dal momento che il Sole comincia a calare di potere, il fuoco del solstizio assume alcuni aspetti: quello fertilitario, quello protettivo e il ruolo propiziatorio al rinforzo stesso dell'astro in discesa, per indurlo a non cedere; questi fuochi si accendevano in tutta Europa e si accendono ancora adesso in molti luoghi d'Italia. In alcuni stati del nord c'era la tradizione di gettare in aria dei dischi di metallo surriscaldati e resi incandescenti, sempre con l'intento di propiziare il potere solare che va scemando. Si facevano rotolare giù dalle colline delle ruote di carro a cui si aveva dato fuoco a rappresentare sempre il cerchio solare. Come riti di fertilità si usava anche a Litha eleggere una reginetta d'estate e un re d'estate. Le coppie di innamorati si guardavano da una parte all'altra del fuoco per accertarsi della reciproca franchezza e per profetizzare chi si sarebbe sposato. Le stesse ghirlande di fiori che determinavano la "regalità" del solstizio venivano gettate nel fuoco chiedendo che la sventura bruciasse e quando le fiamme si abbassavano le si saltava per propiziare amore e fertilità e per prevenire le malattie. Anche le ceneri stesse, residui dei fuochi, venivano gettate sui campi come concime e in parte venivano invece raccolte in bottiglie per i loro poteri apotropaici per difendere le case dai fulmini, dalle malattie e dagli incendi e si faceva deviare il fumo dei fuochi perché benedicesse e consacrasse il grano. Un detto istriano dice che: "San Giovanno col su' fogo brusa le strighe, el moro e 'l lovo", ossia "San Giovanni con il suo fuoco brucia le streghe, il moro e il lupo". Quindi la richiesta era che il patrono di questa festività proteggesse i villani dal male, dalla sventura e dalle creature dannose come appunto quelle streghe che si temevano portassero la sterilità dei campi.
Un'altra tradizione del solstizio è la raccolta delle erbe. Si ritiene infatti che durante la notte precedente al solstizio le erbe siano al massimo del loro picco energetico. L'iperico fa sbocciare i suoi bellissimi fiori gialli proprio durante il solstizio. Questa peculiarità non poteva sfuggire ai popoli agresti che ricercavano simbolismi divini e vivevano tutt'uno con la natura. Infatti il fiore dell'iperico con i suoi cinque petali di color giallo intenso ha anche dei pistilli che spuntano, come raggi, al suo centro, richiamando chiaramente un forte simbolismo solare.
L'iperico è inoltre la pianta apotropaica per eccellenza, nota anche come "scacciadiavoli". Il suo nome latino, Hypericum perforatum è stato spiegato da Linneo come derivante dalle due parole greche ὑπὲρ (hyper) e εἰκὼν (eikon), rispettivamente sopra e immagine. Si ritiene che questo nome derivi dalle miracolose proprietà medicinali che venivano attribuite all'iperico, le quali erano "al di sopra dell'immaginario". Il suo uso apotropaico è legato alle sue forti proprietà antispasmodiche. Era usato contro l'isteria, le crisi depressive e le malattie mentali di stampo maniacale. Insomma tutto ciò che richiamava la possessione demoniaca. Ma come erano nove i legni che venivano bruciati a Bel, ecco che erano nove le piante bruciate a Litha.
Erano tutte piante che avevano un carattere di tipo protettivo e apotropaico e tutte inglobate nelle famose "erbe di S. Giovanni". È infatti errato affermare che l'Iperico sia l'unica erba di S. Giovanni, quando in verità sono molte e tutte hanno il loro massimo potere proprio durante il solstizio. La raccolta delle erbe durante la notte del solstizio era quindi un punto cardine e insieme all'Iperico si raccoglievano anche altre piante aromatiche, come Artemisia vulgaris, il finocchio selvatico Foeniculum vulgare, la lavanda Lavandula angustifolia, la piantaggine Plantago lanceolata, la ruta Ruta graveolen, il timo Thymus vulgaris, la verbena Verbena officinalis e ovviamente il vischio Viscum album. Queste nove erbe, legate tutte al sabba di Litha, hanno proprietà di tipo protettivo, fertilitario e propiziatorio. Alcuni sostengono che ci siano altre erbe che possono essere caratteristiche per Litha, come la Camomilla Matricaria chamomilla, la Bardana Arctium lappa, la Gramigna Cynodon dactylon, l'Achillea Achillea millefolium, l'Orchidea Orchis purpurea, il Licopodio Lycopodium clavatum, l'Edera Hedera helix, il Ribes nero Ribes nigrum, la Maggiorana Origanum majorana o anche il Girasole Helianthus annuus, il Ginestrone L'Ulex aeuropeus, la Radichiella dei Prati Crepis biennis, le cui radici secernono un fluido gelatinoso di colore scarlatto chiamato "Sangue di San Giovanni", il nocciolo Corylus avellana, che tagliato in questo momento è adatto a far bacchette, il cerfoglio Anthriscus cerefolium e la Mentuccia Calamintha nepeta per l'intenso profumo che emana.
Un'altra delle tradizioni di Litha è la divinazione. La più comune è quella con l'uovo. Si usava aprire un uovo di gallina crudo, mettere l'ambume in una bottiglia d'acqua e lasciarlo all'aperto la notte del solstizio. Al mattino, sospeso nel fluido l'uovo avrebbe mostrato il futuro a chi era in grado di interpretare i suoi segni. Fu proprio questo tipo di divinazione che, nel solstizio estivo del 1691, scatenò l'isteria di massa e la seguente caccia alle streghe più famosa della storia, che vide coinvolte le due ragazzine Abigail Williams e sua cugina Betty Parris, entrambe membri della piccola comunità puritana nella contea dell'Essex nel Massachussets, patria del famoso scrittore Nathaniel Hawthorne: Salem. Un'isteria che portò all'uccisione di venti persone e di oltre cinquanta torturati per un totale di più di duecento persone coinvolte. Ma i presagi del Solstizio si tenevano in molti altri modi e in genere tutti dalle donne che cercavano un uomo per la vita: si usavano le fave, come anche in altre festitivà, come abbiamo visto. Si usava metterne tre sotto il cuscino, di cui una sbucciata, una a metà e una intera e al mattino si cavava fuori una delle tre fave e in base a quella estratta (nel caso avesse o meno la buccia) si determinava la ricchezza del futuro marito. Le ragazze in cerca di marito gettavano inoltre del metallo fuso nelle padelle e cercavano di indovinare, in base a che forma prendeva, quale sarebbe stato il mestiere dell'uomo che le avrebbe sposate. Al tramonto si usava mettere due cardi, dei quali si aveva bruciato la testa, in un vaso sul davanzale della finestra. Uno lo si faceva puntare verso l'interno, l'altro verso l'esterno. In base a quale dei due si trovava dritto al mattino (quello esterno o quello interno) si poteva capire se la ragazza si sarebbe sposata entro l'anno con un forestiero o con un paesano. Un'altra usanza era quella di mettersi innanzi allo specchio la notte del solstizio per poter vedere dietro le proprie spalle, specchiato, il volto del proprio futuro sposo.
Un'altra tradizione di Litha è quella dell'acqua solstiziale o acqua delle fate. Si riteneva che questa notte sacra fosse un momento cardine di legame con il popolo fatato. Lo stesso Shakespeare ha dedicato una delle sue commedie più affascinanti proprio al legame misterioso tra gli uomini e il popolo fatato: Sogno d'una notte di mezz'estate. L'acqua delle fate, che abbiamo visto anche nell'articolo a lei dedicata di qualche tempo fa, è un'antica tradizione che riguarda la rugiada del primo mattino. "La raccolta avveniva in maniera complessa. Andava legata ad una corda un panno bianco asciutto e in prima mattina la si tendeva tra due persone facendo scivolare il panno sull'erba alta e bagnata. Il panno si bagnava e zuppava di rugiada, la quale veniva poi raccolta e tenuta da parte per decine di occasioni.
Secondo alcune tradizioni non bisognava parlare durante questo rito, in quanto la voce avrebbe alterato la sacralità dell'acqua stessa. Questo tipo di raccolta veniva fatta ad ogni plenilunio, in quanto la carica della rugiada era al pieno. Il termine di "Acqua delle Fate" ha quindi un secondo principio: la rugiada, che è secondo la tradizione è l'unica cosa con cui le fate possono dissetarsi.
La tradizione vuole che l'acqua raccolta venisse messa in un bacile e al suo interno venissero gettati dei fiori fresci ed erbe aromatiche di ogni tipo: iperico (erba di S. Giovanni), caprifoglio, lavanda, rosa, arancio, ginestra, finocchio selvatico, ruta, menta, limone, iris, rosmarino, timo, salvia, basilico, maggiorana, noce, alloro, scotano, tiglio, magnolia e lillà. I fiori e le erbe ammollo rilasciavano il loro principio odoroso all'interno dell'acqua che, lasciata a caricare per tutta la notte di S. Giovanni, veniva ritenuta una panacea per ogni tipo di malanno. Al mattino presto infatti, con quest'acqua sacra venivano svolte delle abluzioni sul corpo per prevenire malattie e malesseri, e si credeva inoltre che tenesse la pelle giovane ed elastica. Un detto marchigiano, della provincia di Ancona recita: "La guazza di Santo Gioanno fa guarì da ogni malanno". La guazza è ovviamente la rugiada.
" Grande impatto aveva quindi la rugiada che si depositava la notte di S. Giovanni, come del resto l'acqua stessa. Si riteneva che avesse infatti potenti poteri taumaturgici, apotropaici e propiziatori. Uno dei detti che è più diffuso in vari dialetti è "la notte di San Giovanni entra il mosto nel chicco". Il significato è che il chicco d'uva comincia a farsi turgido e a forare gli zuccheri in esso contenuti che permetteranno quindi la fermentazione che porterà poi al mosto.
Il solstizio cade sotto il segno del cancro, che, curiosamente, porta il doppio simbolo alchemico del tutto simile ad a quello cinese dello yin e dello yang: due segni simili a spirali che si pongono uno sopra l'altro come speculari. Questo potrebbe ricollegarsi al lato ierogamico della fesitività di Litha, quando l'abbondanza, la forza fertilitaria della natura straripa e la sessualità si accende come il fuoco. Non per niente a Giugno ci si sposa. Una delle interessanti tradizioni italiane legata appunto a Litha e riposta in questo connubio è quella osservata da James Frazer nel suo Ramo D'Oro: in Sardegna, in coincidenza con l'equinozio di primavera, era tradizione che un ragazzo si presentasse a bussare alla porta di casa di una ragazza chiedendole di divenire la sua "Comare di S. Giovanni". Se accettava (cosa che avveniva il più delle volte) alcune settimane dopo la ragazza si cimentava nella preparazione di un vaso di sughero colmo di terriccio dentro il quale piantava alcuni semi di grano. Quando era mezz'estate ormai i germogli erano maturi e insieme al suo marito di S. Giovanni si presentava innanzi alla porta della chiesa, accompagnata da un corteo cui partecipava tutto il paese e ritualmente scagliava il vaso contro l'ingresso, fracassandolo. Dopodiché ci si cimentava in danze e canti in onore dei due sposi. Frazer vide in questo un altro rito magico molto serio portato alla crescita della vegetazione e dei raccolti.

Litha come Festa di S. Giovanni nell'età e nel costume moderno
Come abbiamo visto il Calendario Gregoriano ha due festività legate a due diversi S. Giovanni. Il primo cade il 24 di giugno e l'altro il 27 di dicembre. Questa duplicità ha un ruolo esoterico e magico legato ai due solstizi. Quando si dovevano stabilire le date cardine della religione Cristiana, combinare le cose affinché tutto potesse essere assolutamente incastrato e lecito e quindi meno doloroso alle popolazioni pagane che avrebbero dovuto "assorbire" il colpo era una cosa fondamentale.
Quando quindi nel IV secolo a.d. venne decisa e fissata la data della natività del Cristo come l'ottavo giorno delle calende di Gennaio, ossia l'attuale 25 Dicembre, e in tale relazione la conseguente data di Annunciazione, ossia nove mesi spaccati prima, fu un gioco da ragazzi stabilire la data di nascita di Giovanni Battista, incrociando le informazioni sui Vangeli. Ed è una data che non andrebbe nemmeno presa in considerazione come festività dal momento che, come abbiamo visto, il giorno dedicato ai santi dovrebbe coincidere con quello della morte e non della nascita. L'ispirazione per questa decisione venne dal Vangelo di Matteo, nel quale si narra di come Gesù parlò alle folle nei riguardi del Battista riferendosi a lui come avente un ruolo cardine: "2Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: 3«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». 4Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: 5I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, 6e beato colui che non si scandalizza di me». 7Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! 9E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. 10Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te.
11In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire. 15Chi ha orecchi intenda.
". Nel vangelo secondo Luca si nota questo passo: "39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta nella regione montuosa, in una città di Giuda, 40ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel grembo; ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo, 42e ad alta voce esclamò: «Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno! 43Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? 44Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, per la gioia il bambino mi è balzato nel grembo.
45Beata è colei che ha creduto che quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento».
" Come ci fa notare Cattabiani nel suo Calendario, con questi due passi fu facile piazzare prima una poi l'altra data.
Ma come mai questa festa così pagana, apotropaica, fertilitaria, in termini cristiani è stata associata a S. Giovanni? Secondo Cattabiani la ricerca sarebbe da fare nelle usanze pagane che la chiesa ha tentato, invano a dirla tutta, di sradicare o quanto meno di rendere il più possibile incompatibili con la "Solennità"; una cosa inutile data l'enormità delle credenze e delle usanze che si sono stratificate lungo il corso del tempo, frutto di diversi frammenti di tradizioni arcaiche. Ma, nonostante si tratti di un momento cardine sia nel cristianesimo che nel paganesimo, questa festa è passata in secondo piano. La Solennità di Giovanni Battista, il precursore di Gesù: non era di sicuro un santo qualunque. Eppure, al contrario di altre festività, che in un modo o in un altro hanno trovato la loro collocazione nel calendario cristiano senza perdere del tutto il loro simbolismo, questa è stata in qualche modo dimenticata. Perché? Secondo Heinberg, l'autore dell'ottimo libro I Riti del Solstizio, i motivi sono due: il primo di tipo economico e sociale e secondo di tipo religioso. La prima spiegazione è che con la rivoluzione industriale il fiorire e l'esplosione del lavoro su larga scala, la richiesta di manodopera in crescita e l'accelerazione esponenziale del nostro stile di vita i giorni dedicati ai santi cristiani venissero onorati sempre meno e che quindi dagli oltre 150 giorni su 365 che segnavano celebrazioni religiose inizialmente ci si sia ridotti agli otto attuali. La seconda motivazione invece pare giunga dal fatto che, dal momento che il solstizio d'inverno, Yule, è legato alla nascita del Sole, Mitra, il Sol Invictis, quindi ad un principio maschile di fuoco, mezz'estate era legato invece ad un principio femminile di terra, quindi alla Dea Madre e al femminino sacro. Quando il culto semita si è diffuso ha sistematicamente lottato per annullare e sopprimere i rituali legati alla Dea Madre e al femminino sacro, insieme con le celebrazioni lunari. Tutto questo ovviamente nel costume comune, portando in forte auge il potere proiettivo e patriarcale del principio maschile ed eclissando quello femminile e ricettivo.
Ancora adesso S. Giovanni conserva però alcuni aspetti legati al Solstizio. La storia narra che fu figlio di Zaccaria ed Elisabetta, che si riteneva sterile, e nacque quando i genitori erano molto avanti negli anni. Il suo ingiungere fu dato dall'Arcangelo Gabriele a Maria quando questa, come abbiamo visto, andò a trovare Elisabetta; per aver conosciuto Gesù prima della nascita, Giovanni balzò nel ventre di sua madre. Per questo motivo la sua vita e quella di Gesù rimasero intrecciate per sempre e fu visto come precursore e profeta. Rimane, appunto, l'unico santo, assieme a Maria, di cui si celebra la nascita oltre che la morte. E fu proprio la sua morte a segnare un momento cardine nella storia, per molti motivi. Egli infatti morì decapitato per aver criticato la condotta di Erode il Gande, Re della Giudea, che viveva con la cognata Erodiade, la quale aveva come figlia Salomé. Quest'ultima, dopo aver danzato ad un banchetto, chiese al re che la testa del santo rotolasse, e così fu fatto.
Si dice che Erodiade, come smacco, volle baciare la bocca della testa mozzata del santo, ma un gelido alito di vento la investì in pieno gettandola a gambe all'aria e costringendola, da quel momento in poi, a volare per sempre con i demoni notturni assieme alla figlia. Ancora adesso si dice che nei pressi della Basilica a Roma le ombre cariche di catene di Erodiade e Salomé si aggirino la notte chiamandosi e incolpandosi l'un l'altra. Interessante è qui la connessione che a questo punto Leland fa con Aradia, figlia di Diana e Lucifero, ed Erodiade, ma ancora adesso non ho mai trovato alcun riscontro, nonostante ne abbia cercati, di culti stregoneschi italiani che veneravano Lucifero, Diana e la figlia Aradia come si narra nel Vangelo delle Streghe.
Sempre a Roma perdurò per tutto l'800 l'usanza dei festeggiamenti tenuti durante la notte di S. Giovanni, che si estendevano da Piazza Laterano fino alla Fonte dell'Acqua Santa presso l'Appia, proprio dove il saggio Re Numa incontrava la ninfa Egeria. Le celebrazioni avvenivano mediante abluzioni, canti, danze, innalzandosi ad un baccanale apotropaico, fertilitario e propiziatorio di tutto rispetto. I giovani, sia maschi che femmine, facevano il bagno nelle fontane, accendevano fuochi intorno ai quali si ballava e le donne in cerca di una gravidanza si rotolavano nude sull'erba bagnata di rugiada per ricevere la benedizione che le avrebbe rese feconde. Questa tradizione è rimasta fino agli anni '70 quando le vecchie donne consigliavano alle spose sterili di andare a sedersi nei pressi della Basilica con una gonna larga e sedersi sull'erba piena di rugiada per ricevere una "sacra abluzione". In seguotl, l'imposizione del cattivo costume gridato allo scandalo soprattutto dai funzionari ecclesiastici fu tale che questa tradizione morì e venne abbandonata.
Nonostante ciò, la visione arcaica del cambiamento, legata alla tradizione cristiana del legame battesimale tra Battista e Gesù si è vista paragonata e connessa alla simbologia stessa, antica e ritrovata, dell'intreccio che ha portato anche a quelli che sono i legami parentali, sociali delle comunità, degli amici, delle famiglie e che hanno in seguito portato al bouquet, al pane intrecciato, alle composizioni floreali e al gazebo cosparso di fiori rampicanti sotto i quali ci si sposa.
L'evento della decapitazione del Santo rispecchia quindi il disco solare colpito a morte che comincia la sua discesa. Una testa che rotola via, insomma. Ed egli è appunto il Giovanni che Piange, colui che si sta allontanando, si sta indebolendo, sta morendo, mentre il Giovanni che Ride è il Sole del solstizio invernale, che sta invece rinforzandosi, rinascendo e cominciando a crescere.

Litha nella tradizione gastronomica
Come abbiamo visto, i rituali solstiziali sono legati al raccolto del frumento, ma non ancora alla sua trasformazione come potrebbe avvenire con Lammas per le zone più a bassa quota e Mabon per quelle ad alta quota. Il raccolto di Litha deve essere mietuto, trebbiato, macinato, prima che sia possibile ottenere del pane. Il cibo più vicino alla tradizione di Litha è quello che ha legami apotropaici, come aglio, cipolla e lumache oltre che frutta estiva, come le fragole o i frutti di bosco. Ma perché l'aglio e la cipolla? Già Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia consiglia l'uso dell'aglio nella cura di oltre sessanta malattie. Più indietro ancora ne è stata trovata traccia in un papiro egizio antico di 3500 anni che lo consigliava per le sue peculiarità antisettiche, antibiotiche, balsamiche, espettoranti e vaso dilatatorie. Fu proprio questa sua peculiarità a portarlo ad essere quasi una panacea. Anche Erodoto ne riconosce il potere ricostituente. Contiene in esso i poteri curativi della piantaggine, della zucca, della malva, del timo e dell'edera per la cura delle infezioni e delle bronchiti ed è utile per scacciare i vermi. L'aglio, come ben sappiamo, è graveolente. Shakespeare, nel suo Sogno d'una Notte di Mezza Estate, ricorda: attori, anime mie, badate a non mangiar aglio o cipolla, ché dobbiamo esalare tutti un alito che deve riuscir dolce e gradevole. Come spesso abbiamo visto, ciò che fa bene al corpo, nella cultura popolare, ha la stessa funzione anche per quanto riguarda la sfera spirituale. Questa peculiarità dello scacciare, tenere lontano, prende quindi l'aspetto che conosciamo: l'aglio tiene lontani i parassiti, è antisettico, antibiotico naturale, quindi di conseguenza tiene lontano il male, i vampiri, gli spiriti maligni, le streghe e secondo Plinio anche serpenti e scorpioni; porta quindi con sé un grande potere esorcistico, pari al sale. E con esso anche le cipolle, che indicativamente hanno lo stesso elevatissimo potere antibiotico e ricostituente.
Sullo sfondo quindi di fuochi accesi sulle colline nella notte, mentre si fa l'amore nel bosco, ci si rotola nudi nell'erba colma di rugida per ricevere fecondità, mentre le danze si fanno frenetiche e i giovani appena adolescenti saltano i fuochi e camminano sui carboni ardenti per mostrare la loro impavidità giovanile, ecco che il cibo di Litha diventano le cipolle cotte alla brace direttamente sui sassi vicino al falò, o le fette di pane tostato cosparse d'olio, aglio, pepe e pomodori o teste d'aglio stesso arrostito direttamente sul fuoco, infilzate sulla cima di un legno con spighe di grano arrostite. La consumazione delle primizie del raccolto riveste quindi una funzione eucaristica oltre che apotropaica.
Un'altra tradizione sono le lumache, ossia le chiocciole, che portano con loro il simbolo superstizioso delle corna. Come ci racconta Rossano Nistri nel suo articolo Erbe e Cibi contro le Streghe del Solstizio, nelle campagne comasche c'è tuttora l'usanza di consumare le chiocciole, note come lumaach, proprio in coincidenza con S. Giovanni. Le si mangiano in umido, aromatizzate con erbe di S. Giovanni: finocchio, salvia, borragine e la cui ricetta, come fa notare Nistri, "tradisce subito, nella totale assenza di pomodoro, la fissazione della ricetta tradizionale in epoca anteriore alla metà del diciottesimo secolo, così come il piatto della festa romana, che prevede, oltre al prezzemolo, alla mentuccia e all'aglio, l'addensamento con il pomodoro, rivela una formulazione della ricetta di epoca a noi più vicina (potremmo ipotizzare tra l'inizio e la metà del diciannovesimo secolo, proprio in parallelo con l'istituzionalizzazione borghese dei festeggiamenti solstiziali)". Una volta consumate le lumache, i gusci vuoti divenivano lumaghitt e finivano sui davanzali, davanti alle porte, ovunque fosse possibile, pieni di olio di linosa, ravizzone di noce e d'oliva e li si accendevano o, messi a galleggiare su pezzi di legno, le si lasciava andare sul lago, illuminando la notte.
Come abbiamo visto anche i frutti di bosco sono legati a Litha e tra tutti i ribes. Queste bacche rosse sono note anche con il nome di bacche di S. Giovanni e si ritiene che possiedano il potere di proteggere chi le mangia dai malefici, gli incantesimi e i sortilegi.
Ma anche le noci lasciano un segno. Colte la notte di S. Giovanni, venivano usate per fare il "nocino", un ottimo liquore dal sapore corposo. Per farlo era necessario raccoglierle in un numero esatto: 24, come la data in cui le si raccoglie e solo le donne potevano farlo. Venivano poi tenute nell'acool per alcune settimane con l'aggiunta di spezie, come chiodi di garofano e cannella, e infine filtrate. La noce era simbolo di fertilità, richiamando il testicolo maschile, e anche perché si riteneva che fosse ermafrodita, dal momento che il seme contiene dentro di sé entrambi i sessi. In principio si riteneva che potesse avvelenare il terreno, così veniva piantato lontano dai campi e questo fu poi il motivo che lo collegò alle streghe e, ovviamente, al famoso Noce di Benevento sotto il quale si ritrovavano.

Litha nella spiritualità Wiccan e Neopagana
A questo punto direi che abbiamo visto come Litha sia una festa strettamente legata al declino del Sole. Il simbolismo del passaggio tra il confine dei due mondi è chiaro, forte e imperativo. Da una parte abbiamo il mondo determinato e terreno, quello dove lo spazio e il tempo sono punti chiari, e dall'altra invece il luogo dove lo spazio e il tempo sono aspetti non condivisibili. Se mettiamo quindi Yule e Litha uno di fronte all'altro, scopriamo come il primo è dedicato alla spiritualità, quindi a tutti quegli stati che vanno oltre alla nostra stessa individualità: è la porta per il mondo divino, come diceva Omero. Il secondo è invece dedicato alla terra, a ciò che è il nostro conforto, il nostro potere individuale e comunitario.
Ad un primo sguardo, in un momento in cui la luce è così sfolgorante, in cui la natura si riempie di fiori bellissimi, profumati e colorati, quando i frutti si gonfiano di succhi facendo curvare i rami, quando la scuola finisce e le giornate invece sono sempre così lunghe, quando le vacanze sono dietro l'angolo e si avvicina a grandi passi il momento in cui potremo finalmente riposarci, ci pare assolutamente assurdo e paradossale credere che sia un momento di declino. Non sarebbe più facile parlare di un ciclo in cui l'inizio del declino arriva intorno a fine settembre, quando cominciamo a percepirlo veramente? Vedendo un ciclo come altalenante invece è palese che sia proprio al massimo picco ascendente che cominci il lento discendere.
Nella spiritualità e quindi nella ritualità wiccan e neopagana Litha rappresenta uno dei quattro sabba minori, ossia quelli non strettamente legati al ciclo agreste. Litha segna il massimo sbocciare, esplodere della natura. I fiori femminili, fecondati in diversi momenti precedenti a questo, cominciano a cambiare e l'ovario muta in quegli stessi frutti, così diversi l'uno dall'altro, che permetteranno la trasmissione dei semi e la riproduzione delle piante. La natura completa il suo ciclo riproduttivo e gli animali, nel pieno vigore, generano figli.
Siamo quindi giunti alla sesta tappa lungo la ruota dell'anno per il nostro seme spirituale; liberatosi dell'involucro e dopo aver messo radici e germogliato e aver lasciato che l'energia vitale lo investisse, ha sviluppato organi riproduttivi, è stato fecondato e finalmente ha fruttificato. Nel nostro lungo cammino spirituale e iniziatico abbiamo cominciato discendendo nella più profonda oscurità di noi stessi per capire quali fossero le chimere dei nostri lati ombra a Samhain, li abbiamo portati allo scoperto a Yule, li abbiamo purificati e liberati di ciò che era superfluo a Imbolc, li abbiamo fatti germogliare e crescere a Oestara, li abbiamo fatti maturare e fecondare a Bel e adesso possono finalmente fruttificare, generare, riprodursi per poter essere poi colti a Lammas e permetterci di avere di che seminare a Mabon, pronti per un nuovo ciclo.
Qual è l'intento di Litha? Proteggere ciò che è appena nato perché, anche se la pianta spirituale dovrebbe essere forte e vigorosa, affinché ci sia possibile raccogliere i frutti di ciò che abbiamo coltivato dobbiamo proteggerla e lasciarla maturare come si deve. Questo momento delicato richiede un impegno particolare. Anche se il bel tempo, le giornate calde, la brezza ancora fresca e i temporali estivi ci urlano di divertirci, spassarcela, rotolarci nell'erba, dobbiamo ricordare che affinché qualcosa viva, qualcosa è destino che muoia.
Questo momento ci ricorda che il sacrificio necessario è quello del Re Quercia, che ha regnato per sei mesi l'anno, permettendo al mondo di fruttificare, crescere e dare da mangiare a tutte le creature viventi, anche nei momenti più impegnativi. Litha ci ricorda che nel vigore massimo il sacrificio del Sole, nel suo discendere, ci permetterà di avere la vita e la luce. E la luce come tale può essere vista sotto tanti di quegli aspetti diversi che non avrebbe alcun senso nemmeno mettersi ad elencarli, ma tutti legati ad aspetti alti e, appunto, radiosi. Uno di questi è appunto la saggezza. Non è corretto affermare che l'uomo "teme" l'oscurità, ma dato che è comunque costituito in forme diverse legate e annodate tra loro la luce di Litha è il momento della maturazione, quindi la rivelazione. Non per niente è un sabba dedicato alla divinazione e non per niente si dice che "San Giuan fa minga ingann", ossia "S. Giovanni non fa inganni". Se poniamo l'accento sul punto di vista iniziatico quindi una crescita e uno sviluppo personale sul lato cognitivo, coscienziale di elevazione ed evoluzione spirituale, quello che può essere definito il punto di vista culturale cambia totalmente, come dalla sera alla mattina, e ci riporta sempre al sacrificio di sé per crescere. Nel momento quindi di massima luce, al pieno delle proprie facoltà, la nostra pianta spirituale dà tutta l'energia che ha accumulato nei mesi precedenti, sin da quando era seme, sotto la coltre di neve come un sudario gelido, a quel piccolo frutto. E cos'è quel frutto se non l'investimento, il figlio, il preservarsi attraverso la morte e la rinascita? E come figlio, investimento, rinascita è il simbolo stesso dell'evoluzione; è l'espressione stessa del nostro sviluppo culturale.
Litha incarna quindi il primo passo del sacrificio di sé. Quel sacrificio che avverrà veramente solo al prossimo sabba: proiettando la propria essenza nel seme, si abbandona la forma e la funzione e ci si eleva, cominciando un nuovo ciclo. Dopotutto se metà dell'anno è dedicato alla crescita e al rinforzarci (da Samhain a Beltaine), l'altra metà è dedicata al deperimento (da Beltaine a Samhain) e al rendere questa forza da dove l'abbiamo presa per poterla riavere quando sarà il momento. È tutto, quindi, un principio di scambio. Prendo, mi rinforzo per creare e poi, dopo aver creato, rendo e mi indebolisco.
La luce di Litha, dentro di noi, non è solo quella che è capace di illuminare, innestata quindi solo nel principio di radiosità dello spettro che ci permette di capire, vedere, concettualizzare e quindi conoscere ed imparare, come può esserlo a Yule. Questa è qualcosa che fa splendere e risuonare dentro noi la nostra stessa natura e fa diversificare e modificare. È la luce della trasformazione, un principio quindi dedicato al fuoco della terra, dei punti bassi e femminili. Ed è proprio la riscoperta e la rivalutazione del femminile che ci permette di trasformarci e cominciare a mettere via ciò che ci serve per snodarci nel lungo labirinto infero che ci attende. Dopotutto la luce che cosa fa? Allontana l'ombra, o comunque la rende diversa. E l'uomo che è privo di luce è abbandonato nella sua oscurità, privato quindi di una conoscenza. È proprio su questo massimo picco ascendente che cominciamo a guardare in basso e vedere gli abissi che si aprono dinanzi e dobbiamo cominciare a discendere, lentamente.
Il principio di Litha ci ricorda che siamo fatti di duplice polarità, sia maschile che femminile. Quello che abbiamo fatto per secoli è stato arroccarci sul nostro lato e proiettare le nostre repressioni verso il sesso opposto, quando esse incarnano prettamente ciò che siamo, ciò che desideriamo e molto spesso ciò di cui abbiamo bisogno. Un uomo lo fa con una donna, una donna lo fa con un uomo. E tutto perché quando si è alla ricerca dell'equilibrio il primo scontro che si ha è raffrontarci con i nostri squilibri interiori, quindi vediamo in chi ci compara ciò che noi abbiamo deciso di reprimere dentro di noi e lo cerchiamo disperatamente, ma senza saperlo, intuirlo o capirlo, molto spesso non vediamo o accettiamo la persona che abbiamo di fronte per quello che è: in sostanza, luce e verità, ma vediamo la proiezione di ciò che desideriamo e ciò che temiamo. Questo principio è applicabile alle culture, ai popoli e all'intera umanità rispecchiata nel suo rapporto con il mondo naturale, sacro e divino. Il lento, lentissimo riscoprire di un principio naturale e di un rispetto per la natura, di una visione più vicina al bisogno dell'uomo integrato in un ciclo naturale e non al di sopra di esso, non quindi carne creata e abbandonata, ma parte del creato stesso in quanto "creatura", non coincide con la visione pagana e neopagana solo per stimolo di infallibilità e ciclicità, ma perché è legata alla rivalutazione del nostro lato femminile che è stato castrato, distrutto e su di esso è stata proiettata tutta la nostra paura, il nostro risentimento, il nostro bisogno di sentirci giustificati come dominatori incontrastati e depositari del beneficio di decretare, in base al nostro bisogno, chi ha più o meno diritto di vivere, esistere, procreare, evolversi. E chi non era utile attivamente o non coincideva con la nostra visione di utilità, quando si trovava sulla nostra strada era destinato a perire. Mors tua vita mea era il detto. Ed era un detto che vale ancora nell'ambito amorale sul quale esiste la natura: la famosa legge della giungla, ma che l'uomo ha usato a proprio uso e consumo per spazzare via gli antagonisti religiosi, politici, naturali, che si trovava di fronte, cercando di uscire dal ciclo naturale ritenendosi superiore per elezione divina, imponendosi sulla c alimentare e creando così uno squilibrio del quale paghiamo lo scotto ogni giorno. Come dice Heinberg: Smetteremo di distruggere Madre Natura solo quando smetteremo di proiettare su di lei i desideri e le paure che sentiamo nei confronti degli aspetti femminili repressi di noi stessi e della nostra cultura.
I popoli antichi, più vicini al culto naturale di quanto mai potremmo esserlo noi, incastrati in questa bara infernale di metallo e cemento che ci siamo costruiti intorno, celebravano diversi culti vicini l'uno all'altro ma che avevano tutti un unico comun denominatore: il sacrificio di sé per crescere. E questo comun denominatore è poi stato anche inglobato nel mito eucaristico legato alla morte-rinascita cristiano. Nel mito nordico questo è incarnato da Baldr, figlio di Frigga e di Odino. Era ritenuto il migliore tra tutti gli Æsir ed era un dio solare, legato alla poesia e la bellezza. Ebbe un presagio della sua morte e, spaventato da questo ruolo, chiese a sua madre Frigga di poter ottenere una possibilità che questa premonizione non si verificasse. La dea chiese quindi una promessa agli elementi: fuoco, acqua, terra e aria, a tutti i metalli, ad ogni singolo albero, animale, veleno, pietra e anche alle malattie stesse che nessuno avrebbe mai ferito suo figlio Baldr. Reso così invincibile, invulnerabile ed immune a qualsiasi ferita o decadimento, gli dei passavano il tempo a divertirsi tirandogli addosso qualsiasi cosa, scagliandogli sul petto armi, frecce e oggetti di ogni tipo che in qualsiasi modo gli rimbalzavano addosso. Fu in quel momento che giuse Loki, il dio dell'inganno, della discordia, ma soprattutto del caos, il "Re del Malgoverno", come lo chiamerebbe Robert Graves. Camuffato da anziana donna (in quanto signore degli inganni gli era semplice mutare sembianze), chiese a Frigga se suo figlio fosse veramente immune a qualsiasi cosa e lei, forse colta alla sprovvista o comunque sincera, confessò che non aveva considerato l'idea di chiedere una promessa di immunità anche al vischio, dal momento che era morbido e debole. Loki trovò un ramo di vischio (secondo alcuni una freccia di frassino) e, avvicinatosi di nascosto al dio cieco Hodr, glielo diede invitandolo a scagliarlo contro Baldr. Quando questi si rifiutò sostenendo che essendo cieco a lui non era concesso partecipare a questo gioco, lo persuase guidando la sua mano e aiutandolo a colpire Baldr. Hodr, con l'aiuto di Loki, ma totalmente ignaro, scagliò il ramo o la freccia contro il petto del dio, che venne trafitto e morì sul colpo. Dopo il primo smarrimento che assalì gli Æsir, seguito dallo sgomento totale per la morte del campione, vennero organizzate le esequie. Il suo corpo venne portato in pompa magna, steso su uno scudo tenuto a braccia dagli dei, come si soleva fare per i valorosi, fino ad un drakkar arenato sulla spiaggia. La nave era così pesante che per muoverla e spingerla in mare fu chiesto l'intervento di una gigantessa che gli diede un colpo tale che finì immediatamente tra i flutti, dove le fu dato fuoco assieme col corpo e gli effetti personali, come il cavallo e le cuncubine, come era consuetudine dei grandi guerrieri. Le lacrime versate dalla madre Frigga per la perdita di Baldr si tramutarono in bacche di vischio (secondo altri in stille di miele) e da quel momento la pianta divenne sacra.
Quello stesso vischio che cosa rappresenta? Il potere della morte ad uno scopo più alto. Il vischio infatti è un sempreverde che vive in modo parassitario sulle querce, quelle stesse querce che proprio a Litha fioriscono ma che poi abbandonano le foglie e muoiono e con loro il Re Quercia che le rappresenta, dando spazio al Re Agrifoglio. James Frazer impiegò dodici volumi e tutta la vita per spiegare perché un sacerdote di Artemide in un bosco di alberi non ben specificati nei pressi di Nemi dovesse morire per il suo sacerdozio mediante l'uccisione da parte del suo successore, il quale ne prendeva il posto solo dopo aver colto un "Ramo D'Oro", lo stesso che, nel quarto libro dell'Eneide di Virgilio, Enea colse su suggerimento della Sibilla perché gli sarebbe stato utile per placare le divinità infere durante la sua catabasi. Io, che di mio di sicuro ho un pessimo carattere e sono arrogante e saccente ma che sopra ogni altra cosa ho questo immane difetto di non comprendere che cosa voglia dire la gente quando mi dice: "impara il dono del sintetismo", cercherò di spiegare ciò che ho capito di tutto questo in poche righe: il vischio rappresenta il tramite, la staffetta. È il ramo che uccide il dio, ma è quello che permette al dio di rinascere. È il legame tra la vita e la morte. Quando la quercia muore, il vischio rimane verde, continuando a sopravvivere, e nel momento in cui fruttifica, ossia a Yule, segna l'inizio del regno del Re Quercia. Il vischio è quindi il topos della fertilità e della vita nel momento di discesa, e di morte e rinascita nel momento dell'ascesa. Morte e rinascita del dio arboreo legato al raccolto. Qui, con questo, si aprono un sacco di collegamenti mitologici con divinità arboree e agresti come Tammuz, Dumuzi, Adone, Attis, lo stesso Odino e anche Gesù Cristo. Non per niente il vischio, dorato, si regala a natale per tenerlo in casa con simbolismo apotropaico.
Il mito di Adone incarna perfettamente il ruolo del dio arboreo. Questo dio si dice fosse figlio del destino. Nacque infatti per un capriccio di Afrodite che, per una vendetta personale legata alla sua gelosia, fece innamorare di suo padre la giovane Mirra, figlia di Candreide e di Cinira, regnanti su Cipro. Confessata questa sua ardente passione alla madre, questa, durante la festa dedicata a Demetra, porto la figlia nell'oscurità del talamo del marito il quale, inebriato dal vino giacque con la figlia per nove notti prima di rendersi conto, spinto dalla curiosità, di ciò che stava avvenendo e, inorridito, cercò di ucciderla. Mirra scappò e per nascondersi dal padre chiese agli dei di divenire invisibile. Impietosita, Afrodite la trasformò in una pianta (la Commiphora myrrha da cui si estrae la gommaresina che veniva bruciata appunto nei rituali in onore di Adone) e questa, dopo una gestazione di nove mesi, mise al mondo un bambino nel tronco che però la madre non poteva spezzare per liberarlo. Lucina, la dea del parto, si avvicinò e posò le mani sul tronco curvo del ventre, permettendo al bambino, bellissimo, di uscire ed essere allevato dalle naiadi. Afrodite, vedendolo, se ne innamorò perdutamente e per proteggerlo dal geloso Ares (il suo amante, dal momento che era sposa di Efesto) lo nascose in un sarcofago che affidò a Persefone affinché lo conservasse negli inferi. La dea, però, aprì il sarcofago e vedendo la bellezza del giovane se ne innamorò perdutamente e si rifiutò di renderlo ad Afrodite. Così, ancora una volta, venne coinvolto Zeus per sistemare la questione, ma, dato che sapeva benissimo che niente avrebbe frenato la dea dell'amore dal desiderio che provava per Adone, decretò che sarebbe stata una musa a giudicare cosa fosse giusto fare, e affidò il tribunale a Calliope che stabilì che entrambe dovessero avere parità: Adone avrebbe passato quattro mesi l'anno negli inferi con Persefone, quattro mesi alla luce del sole con Afrodite e per i restanti quattro mesi era libero di scegliere. Finì prematuramente ucciso da un cinghiale, scagliato dal geloso Ares (o secondo alcuni il dio stesso trasformato) e dal suo sangue versato nacquero gli anemoni a lui sacri. Ma sacre a lui sono anche le rose, che dapprima erano bianche ma che divennero rosse perché vennero pestate accidentalmente da Afrodite mentre correva dal suo amato ferito e il suo sangue sacro si insinuò nella pianta macchiandola per sempre di scarlatto. Lo stesso anemone deriva dal termine arabo naaman che significa "diletto" e fiorisce proprio a Pasqua.
Adone, come segnala Frazer, è un dio semitico e il suo nome è Tammuz. Il termine sarebbe solo un epiteto e significherebbe "Signore", come del resto anche il termine Adonai. Il suo culto si teneva proprio in estate e si usava gettare le sue effigi in mare e veniva osservato un lutto cittadino. Si dice che il presagio funesto che gettò ombra sulla più meravigliosa flotta che Atene avesse mai varato per combattere Siracusa fu proprio quello dei lamenti che si alzavano dalla città quando questa lasciò il porto, a Giugno. Il ciclo di morte di Adone/Tammuz è quindi una chiara rappresentazione della decadenza e del ciclo vegetale di morte e rinascita. I popoli agresti lo osservavano e sentivano la necessità di combattere la fame, onorandolo. Per questo si sacrificavano vittime sui campi di grano. Un tempo era più logico pensare ad un genius loci (o Adon, signore) legato ad ogni singola pianta, sasso, cespuglio che ad uno spirito naturale complessivo. Vedendo quindi le piante e gli esseri viventi come "contenitori abitati dagli spiriti", o comunque "case", quando tagliavano il grano per mangiare dovevano placare lo spirito offeso mediante un sacrificio, versando del sangue. Questo spirito che viveva nel sangue stesso andava a nutrire il grano che sarebbe ricresciuto, nascosto nella terra, per poi finire mietuto e ucciso così due volte; una cosa che anche Gardner volle rappresentare nel suo Libro delle Ombre con la discesa di Inannà, la Signora del Cielo che affronta la sorella Ereshkigal e che muore ma torna in vita, sfuggendo così alla presa dei demoni inferi. E per qualcosa che vive, qualcosa deve morire; ogni volta che questi demoni cercavano di prendere una vita legata a lei e diverse divinità, Inannà si metteva in mezzo e le salvava, fino a quando tornando a casa da Dumuzi (Tammuz/Adone), e vedendo che costui non la onorava come si doveva, la irriverente giovane dea lo consegnò ai demoni inferi, completando così il ciclo di chi deve morire al posto di qualcun altro. In altre versioni più tarde Inannà discende per recuperare Dumuzi e, in sua assenza, la morte si stende sul mondo: il toro non monta più la vacca, l'asino non ingravida più l'asina, per le vie l'uomo non ingravida più la fanciulla.
Il legame con il mito si rispecchia nel domicilio stesso della luna nel segno del Cancro, giorno in cui cade il solstizio. La formazione stessa dello stato sottile segna ciò che è la porta per il nostro mondo individuale. Si tratta del primo segno d'acqua dall'inizio dell'anno astrologico, e come sappiamo l'acqua è legata al ventre, alla caverna e alla porta che ci conduce alla generazione e la fruttificazione di quello che è il nostro fiore spirituale, come la caverna stessa di Itaca, dove Omero sosteneva si trovassero le porte solstiziali. Tra questi due accessi il cambiamento ha atto, la magia prende vita. L'ovulo fecondato germina e si trasforma creando intrecci, e i legami più forti della nostra vita sono proprio le decisioni nei riguardi stessi della generazione della vita: mettere al mondo dei figli, creare una famiglia: aprirsi alla trasformazione dall'età adolescenziale a quella adulta, il matrimonio tra il Sole dal potere proiettivo e focale e la Luna, dal potere ricettivo acquatico.
Narra una leggenda negli antichi erbari che in questa notte, solo in questa notte, proprio nel cuore stesso del solstizio, quando la porta si apre, ossia a mezzanotte, la felce fiorisca. Chiunque abbia nozioni di botanica sa bene che stiamo parlando della pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno o della pietra filosofale: la felce non è infatti un angiosperma, ossia non si riproduce mediante il seme, ma mediante le spore, di conseguenza non ha fiore, non ha frutto. Ma è proprio qui che sta il segreto iniziatico. Si sostiene infatti che il fiore si apra illuminando intensamente il buio intorno ad esso e che per poterlo cogliere bisognerebbe in un certo qual modo raggirare il Diavolo stesso che apparirebbe per prendere quel fiore. Per farlo bisognerebbe tracciare un cerchio protettivo intorno a se stessi e intorno alla pianta e non staccare gli occhi dalla felce per nessun motivo, anche se si sente qualcuno chiamarci con la voce di un parente.
La runa dedicata a Litha, secondo ddrwydd del Tempio di Ara, consultato per l'occasione, è Dagaz, ritenuta la runa di mezzogiorno e del solstizio d'estate, contrapposta a Jera, legata al sostizio invernale. Mentre Jera rimette in circolo le energie, Dagaz le trasforma, esattamente come nei campi le piante si trasformano e donano i frutti in estate. Dagaz rappresenta l'uccisione di Baldur, il declino del sole, e l'accorciarsi dei giorni.
Il simbolo iniziatico di Litha è quindi il "frutto". Le divinità ad essa associate sono quelle arboree come Attis, Dumuzi, Tammuz, Adone. Ma anche le divinità legate alla quercia come Odino, Zeus, Giove. Anche Giano e Duir, come guardiani della porta solstiziale e Llyr, Lludd e Thor e le divinità solari come Apollo, Elio o quelle legate alla ferilità come Priapo, Pan, Fauno, Baldr. Le divinità femminili sono Afrodite, Inanna, Ishtar, Persefone, Demetra, Cerere, Bona Dea, Cibele ma anche Nudd, la dea marina madre di Creiddylad, Cardea, Vesta, e la controparte greca Estia e Arianrhod, la dea della ruota infuocata, ma anche Cerridwen, la Dea Bianca del fuoco e della trasformazione, Diana e Jana e Frigga.