The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

OESTARA

 

Oestara - La Stella dell'Est

L'Origine di Oestara

La quarta festività, il quarto nodo sulla nostra ruota che incontriamo nel nostro viaggio lungo le festività dell'anno è Oestara, ossia il primo equinozio. In genere la data oscilla tra il 20 e il 24 di marzo, ma per lo più cade il 21.
Il termine che usiamo per riferirci a questa festività è preso da una divinità germanica dei fiori, Oestara, nota come Eostre ai romani. L'etimologia della parola è germanica ed è composta da aus o aes che significa "est", ossia la direzione cardinale del sorgere, e da star che ancora adesso significa "stella" in inglese. Oestara è quindi la "Stella dell'Est"; questo termine, oltre a riferirsi all'Equinozio, serviva per definire anche la prima stella (o pianeta) che ha il tramonto eliaco, ossia Venere, che prende il nome della dea Romana dell'amore. Il nome Oestara, dea sassone, associata a questa festività è un'idea di Aidan Kelly, autore di Crafting the Art of Magic.
Secondo ddrwydd del tempio di Ara, come sempre coinvolto sull'argomento della runa più adatta al sabba, ha osservato che l'equinozio primaverile è fondamentalmente un simbolo di rinascita e di cambiamento, un cambiamento positivo e di speranza e rappresenta la rigenerazione della vita, il risveglio della natura, la fertilità della terra sia letteralmente che simbolicamente. Dal momento che l'arrivo della primavera è un matrimonio tra cielo e terra, tra il Dio e la Dea, un inno alla fertilità, la runa che è più appropriata da associare a Oestara è Othila, la Runa della famiglia, degli antenati e delle nuove generazioni. Per inciso, esiste anche un preciso riferimento su un testo di Frank Joseph e Ian Daniels: Gods of the Runes: The Divine Shapers of Fate.
Per la tradizione neodruidica questa festa è una dei quattro Alban: Alban Eiler, la "Luce della Terra". In antichità rappresentava soprattutto il momento della fertilità, dello sbocciare dei fiori. Oestara infatti era la Dea della primavera, dei fiori e della fecondittà, era la dea giovane in cerca di marito, non più la bambina. La festa di Oestara infatti celebra il potere generativo della terra, la vita che torna a prendere il sopravvento con forza. Le ultime gelate si ritirano e i fiori sbocciano sui rami, riempiendo di colore e germogli la natura che si sveglia, non più timida; solo alcuni animali ancora si attardano nelle tane. Gli uccellini cantano e cominciano i primi rituali amorosi. La vita animale freme, preda del bisogno di accoppiarsi.
Oltre ai fiori, i simboli di Oestara sono la lepre e le uova, che rappresentano nascita e fecondità oltre che capacità e rapidità riproduttiva. Un'antica leggenda infatti narra che un coniglio, seguace e adoratore di questa dea primaverile, lasciasse cestini colmi di uova colorate in giro per la foresta attendendo che la dea si accorgesse di lui. Una volta che ebbe ottenuto la sua attenzione, Oestara lo elesse a suo animale-totem insieme con le uova. Un'altra versione del mito narra che la dea, durante una delle sue passeggiate verso la fine dell'inverno, trovò un uccellino morente a terra e per permettergli di vivere lo trasformò in una lepre, così che potesse superare la stagione fredda. La trasformazione gli consentì di mantenere la capacità naturale che aveva prima di deporre uova, che donava alla Dea come ringraziamento per la sua benevolenza.
Questa storiella, troverebbe però una spiegazione più semplice e naturale, come sempre. In primavera, le lepri svolgono un curioso rituale di corteggiamento. I maschi, per arrogarsi il diritto di accoppiarsi con le femmine, si cimentano in una lotta molto aggressiva a colpi di zampe e spiccando anche salti molto alti. Nei buchi che le lepri lasciavano con le zampe nella neve durante questi rituali, alcuni tipi di uccelli erano soliti depositare uova. Questa attitudine, osservata dalle popolazioni germaniche, ha portato alla credenza che fossero le lepri stesse a covare o deporre le uova.
L'equinozio di primavera quindi era un momento di potere fecondo, il suo fulcro. Nel mondo celtico infatti la primavera iniziava ad Imbolc, aveva il suo cuore a Oestara e la sua esplosione nell'estate per Beltaine. A Roma era l'equinozio di primavera a segnare il principio: era infatti con "Marzo", mese dedicato a Marte, che il calendario aveva inizio. A Roma, durante l'equinozio si celebravano le divinità fecondatrici, come Attis e Cibele. Le festitivà, note come Hilaria, si celebravano il 25 marzo ed erano in onore di Cibele, la Grande Madre. Tenuto in considerazione che l'equinozio era il momento di assoluta dualità ed equilibrio tra la luce e le tenebre, tra il giorno e la notte, il 25 marzo era il primo giorno in cui il disequilibrio faceva pendere l'ago della bilancia dalla parte della luce. Si onoravano così i giorni di luce e il ritorno della vita nel mondo. Gli Hilaria, dal termine latino hilaris che significa "felice", erano il culmine del momento in cui, in seguito ai Saturnalia e poi ai Lupercalia era concesso vestirsi e mascherarsi ed uscire dal regime costituito: gli scherzi erano all'ordine del giorno, insomma, e sembra anche che qualcuno usasse questa scusa per poter compiere atti normalmente condannati. Secondo quanto ritrovato nel Historia Augusta di Erodiano, pare che l'Imperatore Commodo rischiò l'omicidio durante queste festività per una premeditazione della sorella Annia Lucilla e del prefetto Tarrutenio Materno. Il complotto consisteva nell'uso dei travestimenti per permettere a quest'ultimo ed alcuni suoi complici di introdursi non notati in camera di Commodo camuffati da Guardie Pretoriane e ucciderlo. Uno dei complici però tradì Materno ritenendo che fosse preferibile avere un imperatore legittimo, per quanto tiranno, piuttosto che un usurpatore. Lo stesso Commodo fece poi sacrificare i cospiratori alla dea Cibele proprio durante la festività.
L'equinozio era anche il momento delle ierogamie, ossia i matrimoni divini tra cielo e terra. Il termine infatti deriva dal greco hieros e gamos ossia, "nozze sacre". Questo tipo di tradizione si onorava in Grecia con le nozze tra Adone e Afrodite ed a Babilonia con quelle tra Tammuz e Ishtar. Ma era anche il periodo, nel Misteri Eleusini, in cui Persefone ritrovava la via del ritorno dal mondo infero di Ade (acquisita però dentro sé la diversità del mondo sotterraneo mangiando il melograno). Connesso a questo frutto abbiamo anche il mito di Attis. Originariamente frigio, il culto legato alla dea Cibele, la Magna Mater romana, veniva tenuto nella città di Pessinunte, e più precisamente su una scogliera dove era precipitata una pietra di origine meteorica che era sacra alla Dea della Terra. In seguito si diffuse in tutto il Mediterraneo. Secondo il mito, durante un violento amplesso con il padre degli dei, che lei rifiutò categoricamente, il seme di quest'ultimo precipitò sulla terra dando vita ad una divinità bisessuale e malvagia, nota come Agdistis. Costuti era violento e crudele e Dioniso, deciso a dargli una lezione, lo fece ubriacare fino a che si addormentò su un ramo di melograno. Dopodiché legò il fallo di quest'ultimo all'albero e prese a scuoterlo violentemente facendolo precipitare e, di conseguenza, evirandolo. Il sangue che schizzò dalla ferita macchiò il tronco dell'albero. Secondo alcuni questo albero era invece un mandorlo. Entrambi sono frutti di tipo femminile e vaginali. In qualsiasi modo, la ninfa Nana del fiume Sangarios (quindi nota anche come Sangaride), mangiò un frutto dell'albero e rimase incinta di Attis, che nacque il 25 dicembre e venne chiamato appunto così perché venne allattato da una capra, che in frigio si chiama attos. Cacciato dalle montagne dove crebbe e divenne il servitore che guidava il carro di Cibele, Attis e Agdistis divennero compagni di caccia fino a quando Attis venne mandato a Pessinunte per sposare la figlia del re Mida. Durante le sue nozze Agdistis, innamorato di lui, fece impazzire gli sposi. Attis si evirò sotto un pino, mentre la sposa si tagliò i seni. Dal sangue di Attis crebbero viole. In seguito alla autoinflitta amputazione, donò i suoi genitali ad Agdistis come riscatto, mentre la sposa si gettò da una rupe. Al che anche Attis si gettò e si dice che Cibele lo prese per i capelli prima che toccasse terra, tramutandolo appunto in un pino, mantenendo così, per intercessione con gli dei, il corpo integro.
Quando il mito divenne pelasgico, Cibele divenne amante/madre di Attis. Estremamente gelosa, lo seguiva sempre sul suo cocchio trainato da leoni. Quando lo vide giacere con una donna mortale all'ombra di un pino, convinto che lo riparasse dal suo sguardo, lui fu colto dal rimorso e si evirò. Secondo altri fu proprio Cibele a far impazzire Attis, che si evirò sotto il mandorlo/pino al suo matrimonio perché la dea era gelosa del matrimonio con la figlia di Mida. Secondo altri il mandorlo crebbe dal suo sangue versato.
Il culto comunque divenne misterico e importato a Roma in seguito ad una profezia contenuta nei Libri Sibillini. Tito Livio, negli Ab Urbe Condita, ci narra come durante la seconda guerra punica, secondo l'interpretazione estrapolata da questi testi profetici, l'unico modo per vincere il nemico pareva fosse quello importare il culto della Grande Madre alla capitale. Pare inoltre che ci fu una pioggia meteorica in quel periodo e questo collegò inevitabilmente a Cibele. La pietra nera del culto di Cibele fu portata dalla scogliera di Agdo, in Frigia, al Palatino e vennero istituiti i misteri primaverili, i ludi megalenses. Al culmine della loro iniziazione gli stessi sacerdoti di Cibele si eviravano in ricordo del sacrificio del figlio durante i misteri in un rito che si teneva proprio dove ora sorge la Basilica di S. Pietro. Anche il mito di Attis, quindi, ha un nesso con l'equinozio. Una ierogamia che a Roma era festeggiata come Sanguem, a ricordo del fatto che la Madre/Amante aveva portato il figlio alla follia durante la festa di matrimonio con la figlia del re Mida, dove per gelosia lo costrinse ad evirarsi all'ombra di un pino. Come abbiamo visto dal sangue che uscì dalla ferita crebbe un mandorlo, il cui frutto rimanda allo stesso tempo al glande (mandorla chiusa) ed alla vagina (mandorla aperta) o viole, anche loro frutti fiori che ricordano la vagina. Secondo le versioni del mito che ritenevano che l'albero fosse un pino, il simbolo era quello di eternità e immortalità; un pino che proprio durante gli Hilaria veniva tagliato e portato al tempio di Cibele e addobbato, in una sorta di "richiamo" mediterraneo all'abete nordico di Yule. Gli stessi culti cibelici di questa dea che non aveva nome perché era la Grande Madre, venivano svolti creando fenditure nella roccia delle montagne per richiamare un ideale misterico-sessuale ierogamico. Troviamo quindi nell'equinozio un tema sacrificale oltre che ierogamico, che è poi stato trasposto anche nella visione Cristiana della passione del Cristo sulla croce e la seguente resurrezione: il potere della morte che porta la vita. Questi stessi sacrifici e castrazioni avvenivano proprio tra il 22 e il 25 di Marzo, giorni in cui, secondo il Calendario Gregoriano, Cristo sarebbe risorto.
Mentre per altre feste i diversi culti hanno portato diverse interpretazioni, l'equinozio di primavera è pressoché lo stesso momento in tutto il mondo, tranne che nell'emisfero australe, dove è invertito con quello d'autunno. Troviamo quindi moltissime altre feste in altri luoghi del mondo che celebrano il risveglio della natura, e tutte sono legate all'amore, alla fertilità e ai fiori. In questo momento infatti la natura ha cominciato ad "esplodere": i boccioli si aprono, i fiori sbocciano da un giorno all'altro. È chiaro, moto solare o no, che il ritorno della vita è nel suo pieno lavorio. La rigenerazione da ciò che era morto, favorito dal calore, è richiamata dai poteri del fuoco.
Il potere generativo di questa festa trova la sua massima espressione nell'uovo cosmico, il potere primordiale da cui nasce il mondo: il "Due volte nato", noto in questo modo perché è stato deposto dalla dea e covato dal dio. In antichità l'uovo rappresentava il mondo in quanto si vedeva la Terra e il Cielo come il guscio esterno che conteneva il nucleo. Il simbolo solare dell'uovo ritorna anche nel tuorlo stesso, di colore giallo intenso. In antichità, sia in Egitto che in Persia si usava regalare cesti di uova di gallina con l'ingiungere della primavera come buon auspicio e come segno di rinascita della natura. Il costume quindi, ancora vivo, di donare le uova in concomitanza con la Pasqua cristiana (coincidente e legata all'equinozio) è molto antico, poiché anche questa festa è stata, riadattata per rappresentare la rinascita di Cristo, che sarebbe risorto proprio in questo periodo dopo la morte per crocifissione.
L'usanza germanica e anglosassone è proprio quella di nascondere delle uova sode colorate e permettere ai bambini di andarne alla ricerca e di donarle. A Roma invece l'uovo veniva dipinto di rosso e poi sepolto a propiziare la fertilità del terreno. Questa decorazione delle uova sode di gallina è una pratica gastronomica tipica di Oestara: lo si fa con colori accesi e simboli primaverili a ricordare l'inizio della stagione bella e dello sbocciare dei fiori.
Il mandorlo, legato ad Attis, è uno dei simboli di Oestara insieme con il coniglio/lepre e con le uova. È in effetti il primo albero a fiorire, ma anche il trifoglio o shamrock, che si ricongiunge col triskele solare e che è simbolo dell'Irlanda è un altro legame con questa festività. Il trifoglio è simbolo protettivo celtico in quanto riportava al potere della triplice madre, ossia tre cuori legati ad un gambo. In seguito è rimasto legato a S. Patrizio, patrono d'Irlanda che, secondo il mito, pare usasse questa pianta per infiltrare il concetto della SS Trinità nelle menti dei pagani non ancora convertiti. La forma di cuore, il grande potere germinativo e la forza stessa della pianta lo hanno portato a simbolo dell'amore e dell'eternità e al potere della resurrezione oltre che al potere della vita che sovrasta ogni cosa.
Il simbolismo ierogamico di Oestara è presente per lo più nelle regioni più mediterranee e mediorientali, quindi mesopotamiche. Nel Nord Europa, dove il clima è meno temperato, è Beltaine ad essere più incentrata su questo simbolismo. Nella zona mediterranea dell'Europa è intorno ad aprile che le nubi di semi si alzano nell'aria portate dal vento e gli uccelli depongono le uova. Da qui viene anche il mito di Brahma, il Creatore, nato da un uovo splendente poggiato a galleggiare sulle acque dall'Assoluto, che ricollega ad un simbolismo materno di origine: il brodo primordiale, le acque oceaniche culla della vita.
L'equinozio di primavera, nel Liber 777 di Aleister Crowley è legato all'angelo Taloi o Talui, come sostiene anche Pietro Albano nell'Heptameron. Nella tradizione Cabalistica l'arcangelo ad esso associato è invece Gabriele, colui che possiede la sovranità sulla sfera del regno fisico ed è legato all'elemento acqua.

Come era calcolata la data di Oestara
L'Equinozio di primavera segna un momento astronomico molto particolare. La parola stessa etimologicamente deriva dal latino æquus nox che significa "notte uguale". In termini astronomici l'equinozio di primavera è uno dei due momenti in cui la Terra, nella sua orbita proiettata sulla sfera celeste, incrocia il Sole sul piano equatoriale. La nostra stella quindi, nel suo moto apparente nel cielo, si va a trovare esattamente ad est nel suo sorgere ed esattamente ad ovest nel suo tramontare e il giorno e la notte hanno una precisa durata di dodici ore ciascuno. La posizione del Sole quindi si trova ad essere solo un istante, che viene calcolato esattamente. A causa dell'inclinazione terrestre anche il piano equatoriale che incrocia il Sole è inclinato rispetto all'eclittica, ossia il cerchio tracciato dall'apparente moto solare nel cielo.
Come abbiamo visto anche per Yule, la precedente festa di tipo astronomico-solare, l'astronomia era un'arte molto in uso dalle popolazioni antiche. A differenza però del calcolo dei solstizi che determinavano momenti cardine e non di passaggio nell'anno celtico, gli equinozi avevano un ruolo meno importante. Secondo Janet Farrar infatti, le popolazioni celtiche onoravano sei ricorrenze, ossia le quattro feste agresti-pastorali principali più i due solstizi, invernale ed estivo. In effetti, per quanto ci sia un nome per ognuno dei quattro punti mobili nel moto solare apparente in lingua gaelica, si possono trovare siti megalitici che servivano a calcolare e ad onorare lo scorrere e l'avvenire dei solstizi, ma nessuno o pochi per gli equinozi.
Attualmente il Druid Order londinese, oltre a svolgere i rituali per i due solstizi al sito megalitico di Stonehenge, si raduna alla Tower Hill di Londra per celebrare il rito misterico dell'equinozio di primavera. Pare infatti che quello fosse un luogo pari a Stonehenge per il solstizio d'estate, Newgrange per quello invernale e Primerose Hill per l'equinozio d'autunno e che questi luoghi fossero collegati mediante antiche gallerie sotterranee.
Tower Hill è uno dei luoghi più antichi di Londra. Ad adesso ospita un'anticha chiesa che ha ancora al suo interno parti di architettura di origine romana: All Hallows-by-the-Tower. In questo luogo sono stati trovati del siti archeologici risalenti all'età del bronzo, periodo in cui le celebrazioni druidiche avevano un picco; pare quindi che lì sorgesse un Nemeton, termine che in lingua gallica significa "santuario". In gaelico il termine è Nemed, che significa sacro. Alcuni dei nemeton utili al calcolo solstiziale ed equinoziale sono quello di Libenice e l'acropoli di Zavist, in Boemia. Il primo è opera di una tribù celtica molto diffusa, i Boi, quelli che arrivarono anche fino al centro-Italia. Un astronomo cecoslovacco durante uno studio di questo sito scoprì alcune interessanti analogie con l'orientamento solare solstiziale. Come troviamo scritto nel sito http://www.celticworld.it/: "Il nemeton di Libenice, vicino a Praga venne costruito e utilizzato dai Celti della tribù dei Boi che lo abbandonarono intorno al 400 a.C in seguito alle migrazioni che li spinsero verso l'Italia centrale. Il santuario era un recinto rettangolare di 24m x 80m circa delimitato da un fossato.
Presso il lato sud-orientale era stata ricavata una zona infossata nel terreno, grosso modo a forma di 8, nella quale erano stati posti un menhir alto circa due metri e altri più piccoli che costituivano la zona di culto principale.
Già dalle prime analisi, condotte negli anni sessanta, l'astronomo cecoslovacco Holub mise in evidenza che la progettazione era stata eseguita sulla base di criteri astronomici. Holub riconobbe alcuni elementi che suggerivano la presenza di possibili orientazioni verso il punto di sorgere del Sole al solstizio d'inverno.
L'asse del recinto rettangolare del nemeton nel suo complesso risulta orientato 24 gradi a sud rispetto alla direzione equinoziale (la Est-Ovest) calcolata per il V secolo a.C. nonostante che dall'analisi della topografia del luogo sia risultato che nessun impedimento geografico o topografico limitasse la costruzione del recinto sacro con l'asse maggiore rivolto verso altre direzioni.
Escludendo la costruzione e l'orientazione mediante criteri casuali in quanto era abitudine dei Celti utilizzare linee di riferimento rituali o magiche per le costruzioni dei luoghi sacri, allora il fatto di aver scelto una orientazione intermedia tra la direzione di sorgere del Sole agli equinozi e quella dalla levata solare solstiziale invernale implica chiaramente che la direzione verso cui l'asse del nemeton di Libenice è orientato è astronomicamente importante, ma non di natura solare.
"

Come si festeggiava Oestara
Oestara, come abbiamo visto, è una festa diffusa ovunque con nomi e usi diversi e, nel Mediterraneo, è legata al culto di Cibele/Cerere, ed è anche una festa sacrificale, misterica e ierogamica. Proprio a Roma in questo periodo venivano svolti i Misteri Eleusini, che celebravano la speranza della vita dopo la morte. I riti, misterici appunto, furono importati dalla città ellenica di Eleusi e venivano svolti in antichità nel tempio sacro alla dea madre del raccolto, Demetra, sorella di Zeus e madre di Kore. Importati quindi a Roma, vennero associati alla sua controparte romana, Cerere (che poi è ancora la frigia Cibele). I misteri eleusini, di tipo pre-ellenico, suddivisi in due diverse parti distinte (una veniva celebrata con l'equinozio autunnale), celebravano quello che è noto come "il rapimento di Persefone", narrato nelle Teogonie di Esiodo e in seguito da Claudiano. Questi misteri erano basati sul mito che vedeva protagoniste tre divinità ctonie: Ade, fratello di Zeus, signore degli inferi, la loro sorella Demetra, signora del grano e Kore (che significa vergine-fanciulla) avuta da quest'ultima in unione con Zeus. Ade, grazie al consenso del fratello (ma non della madre), rapì Kore mentre raccoglieva fiori sul monte Enna insieme alle oceanine affinché potesse averla in moglie. Dopo l'iniziale disperazione cercando la figlia scomparsa in lungo e in largo, Demetra giunse a conoscenza del complotto e maledisse la terra impedendo al grano di crescere e costringendo così il fratello Zeus ad intervenire perché il mondo moriva di fame ed a giungere ad un accordo: Kore sarebbe tornata in superficie a patto che non mangiasse alcun cibo della mensa infera. Ma la giovane (secondo alcuni per inganno, secondo altri per affetto scoperto verso Ade e secondo altri ancora per accettazione del lato oscuro) si nutrì di alcuni semi di melagrana che la tennero legata al regno sotterraneo. Ella divenne così Persefone, la signora degli inferi e dell'oscurità e divenne madre di sua madre; avrebbe così passato un terzo dell'anno nel regno dell'oltretomba a fianco dello sposo Ade e due terzi in superficie con Demetra. I Misteri Eleusini inizialmente avevano lo scopo principale di propiziare il potere germinativo dei campi coltivati, ma col tempo assunsero un principio e un senso più misterico, ossia il potere della vita e della morte nell'aspetto di una Dea che scendeva e risaliva, trasformandosi e accettando e vivendo nel bilico, essendo sia figlia che madre di sé stessa.
Chi seguiva questi misteri, che si tenevano proprio in concomitanza con l'equinozio nel loro aspetto di purificazione, quindi i "Piccoli Misteri", aveva la possibilità di ottenere un'iniziazione che avrebbe assicurato una sopravvivenza oltre la morte non come vita oltre la vita, ma come rinascita e trasformazione.
Questo legame "vita dalla morte o morte che porta la vita" è anche legato ai Misteri Orfici. Questo tipo di visione misterica ci giunge da un altro aspetto di una divinità infera legata ai misteri: Dioniso. Egli, figlio di Zeus e di Semele, prende il nome di Zagreo ossia "Cacciatore di Anime". Tentato dai Titani, istigati da Hera, la moglie tradita di Zeus, che volevano ottenere il trono del mondo ricevuto in prestito dal padre, affinché divenisse loro alleato Zagreo riuscì a resistere fino a quando, mutatosi in toro, venne sbranato vivo. L'unico pezzo dello smembramento che sopravvisse fu il cuore, salvato in extremis dalla dea della giustizia , la quale lo portò a Zeus che lo ingoiò e, per partenogenesi, permise la rinascita di Dioniso, il nuovo Zagreo. A causa del loro orrendo crimine i Titani vennero puniti da Zeus ed inceneriti; infine, da quelle ceneri vennero generati quegli stessi umani che in seguito Zeus volle sterminare perché troppo arroganti e che vennero salvati dal primo filantropo dei miti greci: Prometeo.
I Misteri Orfici hanno questo nome in ricordo del mito di un'eroe tracio: Orfeo. La sua storia è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi e parla di un cantore di eccezionale e divina bravura che ricevette in dono una lira (uno strumento musicale simile all'arpa) dal dio Apollo in persona. Divenne così straordinaria la sua capacità nel suonare questo strumento che decise di implementarlo aggiungendo due ulteriori corde con le quali poté ottenere melodie ancora più soavi. La capacità interpretativa di Orfeo con la lira era talmente leggendaria che entrò a far parte della missione di Giasone a bordo della nave Argo per recuperare il vello d'oro (narrata da Apollonio Rodio nelle Argonautiche e toccata anche da Seneca ed Euripide in Medea). Fu infatti suonando la lira che, durante l'avvicinamento alle isole delle tre sirene, i marinai ebbero la speranza di salvarsi dal loro canto sublime e mortale che li avrebbe invero condotti ad una morte certa. Il mito più noto di Orfeo però, che richiama i Misteri Orfici, è quello che lo lega alla sua innamorata Euridice, donna di straordinaria bellezza figlia di Nereo, (un proto-dio marino figlio del titano Gea e di Ponto) e di Doride, una ninfa (una delle cinquanta oceanine), figlia ella stessa dei due titani Oceano e Teti (a sua volta moglie di Peleo e madre di Achille). Secondo il mito, una delle storie d'amore più tragiche e romantiche che io, personalmente, abbia mai letto e del quale abbia cantato (cantavo per una band che lavorava ad un concept album sul mito orfico che portava per titolo il nome dell'eroe tracio, gli Helreidh), Orfeo ed Euridice si sposarono, ma il loro amore ebbe una vita breve e soprattutto finì in modo tragico. Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, che era innamorato della fanciulla, la inseguì per sedurla e lei, nel fuggire tra l'erba alta, mise accidentalmente il piede su un aspide che, molestato, la morsicò avvelenandola e portandola alla morte. Orfeo, impazzito dal dolore e incapace di accettare la perdita del suo amore, decise di sfidare il potere degli inferi e affrontò la discesa nell'oltretomba. Per pagare l'obolo al traghettatore Caronte il cantore usò la sua musica e attraversò così l'oscuro fiume sotterraneo fino al cospetto dei due sposi inferi, Ade e Persefone e lì cominciò il suo canto di dolore e disperazione. Ovidio ci racconta che raggiunse una tale profondità nella sua volitiva espressività che per la prima volta ivi si conobbe la pietà: "Né la regale sposa, nè colui che governa l'abisso opposero rifiuto all'infelice che li pregava e richiamarono Euridice. Costei che si trovava tra le Ombre dei morti da poco tempo, si avanzò, camminando a passo lento per causa della ferita. Il tracio Orfeo la riebbe, a patto che non si voltasse indietro a guardarla prima di essere uscito dalla valle infernale". I due dei accettarono quindi di lasciare che la donna tornasse in superficie a patto che Orfeo non si voltasse a guardarla prima di essere all'aperto. La lunga risalita li condusse fino all'esterno, ma al momento in cui mosse i primi passi alla luce, Orfeo, preso dal sospetto che potesse trattarsi di un inganno e che stesse portando con sé un'ombra infera, si voltò e vide Euridice sparire: “Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo amata? Porse la marito l'estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e ripiombò di nuovo nel luogo donde s'era mossa"
Questi misteri non erano quindi volti solo ad una forma mentis, ma anche legati ad un certo modus operandi. Orfeo stesso, infatti, dopo aver fallito nel riportare indietro Euridice, tentò più volte di convincere nuovamente Caronte, ma a nulla servirono i suoi tentativi ed infine si autoesiliò nel suo dolore sulla cima di una collina, dove incorse nelle ire delle baccanti per aver rifiutato le loro offerte seduttive e fu fatto a pezzi da quell'orda inferocita. Questo sacrificio rituale, legato al culto di Dioniso, può essere visto come un parallelismo con lo stesso Dioniso-Zagreo, fatto a pezzi dai Titani. La rinascita quindi era sì legata alla discesa, ma anche al preciso comportamento in vita che determinava una salvezza. Secondo la dottrina orfica, ogni essere umano non è altro che un daimon incarnato in forma materiale che è costretto a procedere con cicli e cicli di vita-morte-rinascita; la liberazione, l'uscita da questo ciclo infinito che includeva anche la trasmigrazione (ossia l'incarnazione in animale) poteva essere raggiunta solamente portando a conclusione l'epica lotta con la materialità: ossia l'abbandono dei piaceri e il conseguimento di una vita di rettitudine, giustizia e moralità illibate. Solo in questo modo il carnale e lo spirituale si sarebbero disgiunti e il daimon prigioniero del corpo materiale dell'uomo avrebbe potuto essere libero di ascendere ai piani celesti.
L'assonanza che troviamo è molto vicina al regime cristiano di privazione che si usa nella quaresima, i quaranta giorni di privazione della carne, degli alcolici e dei rapporti sessuali ma anche alla vita monastica francescana, pia, priva di averi, tentazioni e piaceri carnali, completamente dedicata alla contemplazione del divino.
Oestara, o comunque l'equinozio, segna una delle feste del fuoco. La tradizione della ruota solare è ripresa da moltissime popolazioni in tutto il mondo e ha una stretta connessione con i cicli stagionali stessi. L'accensione del fuoco era vista come un tentativo di "rinforzo" dell'astro che stava scalando la sua crescita lungo l'arco dell'anno. Come ci fa notare Frazer nel Ramo D'Oro: la stessa prova più antica dell'esistenza dei falò primaverili in Europa settentrionale ci viene proprio dai tentativi dei sinodi cristiani nell'VIII secolo, di abolirli come retaggio del paganesimo. Non è raro che su questi falò si brucino delle effigi, o si faccia mostra di bruciare una persona viva; c'è anzi motivo di ritenere che, in tempi antichi, si usasse effettivamente ardere vittime umane in quelle occasioni.. Ancora adesso è uso accendere fuochi, in molte parti d'Europa, proprio in concomitanza con la prima domenica di quaresima. Sempre secondo Frazer, in questi olocausti si rivive il sacrificio del dio arboreo rappresentato dal mito di Baldr il magnifico, trafitto dal ramo del morbido vischio per mano del dio cieco Hodhr ma per l'ordito di Loki, il signore dell'inganno, e nelle celebrazioni dei fuochi c'è anche il bisogno di praticare rituali apotropaici contro incendi e fulmini e propiziatori per ottenere un raccolto abbondante mediante danze e canti intorno ai falò. Si usava anche portare i fuochi nei frutteti e nei campi per propiziare la crescita a l'abbondanza. Ancora adesso i falò brillano sulle colline nelle notti precedenti la domenica di Pasqua in Germania, Francia, Olanda, Svezia e Scozia.

Oestara come Pasqua nell'età e nel costume moderno
Come quasi tutte le altre festività pagane, anche Oestara è stata inglobata, sia come date che come simbolismo, nella tradizione cattolica dopo il Concilio di Nicea.
Il legame che troviamo è quello con la Pasqua. Questa festività di origine ebraica mantiene il simbolismo utile alla "rinascita" e al "rinnovamento" e al potere apotropaico di redenzione mediante il sacrificio, la morte e il ritorno alla vita.
Per gli ebrei questa festività, chiamata Pesach, celebra la liberazione del popolo d'Israele dal giogo egizio; il termine infatti significa "oltrepassare". Il significato ci giunge dal mito, narratoci nel libro dell'Esodo e nella Torah, secondo il quale il Dio ebraico decise di ascoltare il lamento del popolo eletto. Per farlo usò Mosé, un ebreo scampato dalla persecuzione egizia ed allevato a corte dalla principessa e poi auto esiliatosi per aver commesso l'omicidio di un sorvegliante. Dopo aver preso moglie in una provincia, mentre faceva pascolare le pecore venne attratto da un roveto ardente che non si consumava bruciando e che gli parlò con la voce del suo dio. Questi gli ordinò di recarsi in terra egizia e di portare alla libertà il popolo di Israele. Nonostante le prime discussioni, alla fine Mosé accettò ed ottenne l'aiuto di suo fratello e il prodigioso potere, attraverso il suo bastone pastorale, di convincere il Faraone d'Egitto (all'epoca si presume Ramesse II) a liberare gli ebrei che teneva in schiavitù nel suo regno minacciandolo con ripetute ritorsioni apocalittiche. Le dieci piaghe descritte nella Bibbia si scrono una dopo l'altra dopo ogni negazione da parte di Ramesse II di acconsentire alla liberazione e alla conseguente partenza degli schiavi ebrei; cominciarono con la trasmutazione dell'acqua del Nilo in sangue, per passare ad un'invasione di rane, di zanzare e di tafani, la moria del bestiame, un'epidemia ulcerosa, la grandine, l'assalto delle cavallette, l'oscurità ed infine l'uccisione dei primogeniti maschi delle famiglie egizie, tra cui anche il principe, figlio di Ramses, atto che concluse la vendetta del dio ebraico sull'Egitto e che portò il Faraone ad acconsentire all'esodo. Per attuare quest'ultimo prodigio l'Angelo della Morte fu scagliato sulla città dal Signore stesso e, affinché riconoscesse ed ignorasse le case dove abitavano gli ebrei, fu dato ordine a Mosé di far dipingere col sangue di agnello le porte, così che lo spirito della vendetta sapesse dove dovesse "passare oltre": Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta la comunità d'Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello secondo quanto ciascuno può mangiare. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo custodirete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà tra i due vespri. Preso un po' del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco, la mangeranno con azzimi ed erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. è la pasqua del Signore! In quella notte io passerò nel paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirà il paese d'Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete con un rito perenne. In una sola casa si mangerà: non ne porterai la carne fuori di casa; non ne spezzerete alcun osso. Esodo (12,1-14,46).
Secondo Filone D'Alessandria, filosofo ebraico, il significato della Pasqua, oltre a quello della liberazione del popolo israelita dalla schiavitù egizia, è anche quello di purificazione spirituale. Essa è un "passaggio", il terzo dei quattro, che porterà alla fine del mondo.
Per i Cristiani invece la Pasqua coincide con la resurrezione di Cristo dal Santo Sepolcro. Secondo il mito narratoci dalla Bibbia, sarebbe proprio in questo periodo che avvenne la crocifissione, il venerdì santo e, dopo tre giorni, il ritorno alla vita del messia. Un messia che gli ebrei non riconoscono e di cui stanno ancora attendendo la venuta: in parole povere il dilemma di incomprensione religiosa che ha causato forse il più alto numero di genocidi nella storia dell'umanità.
La celebrazione della Pasqua, sia ebraica che cristiana, è mobile ed è basata sul calendario lunisolare antico. La chiave del calcolo della Pasqua è, guarda caso, proprio l'equinozio di primavera. La Pasqua ebraica infatti viene celebrata il quattordicesimo giorno del primo mese: il 14 di Nisan (calendario ebraico). Questa data, essendo presa da un calendario lunare, è la prima luna piena dopo l'equinozio. La Pasqua cristiana invece, stabilita dal Concilio di Nicea nel 325, cade la prima domenica (giorno in cui Gesù risorse) dopo quella ebraica. Si stabilì, secondo quanto scritto nei vangeli, che la Pasqua sarebbe stata legata alla visita al Santo Sepolcro, che, trovato vuoto, avrebbe costituito la prova che Gesù era tornato in vita.
La Pasqua è quindi legata anche al simbolismo eucaristico del sacrificio. Questo rituale ricorda infatti l'ultima cena che Gesù tenne con i suoi discepoli, il giovedì santo della sua passione e prima della crocifissione, e viene ricreata simbolicamente tramite il rito magico della transustanziazione, la mutazione che va oltre la sostanza stessa, dal latino la trans-substantia: consacrare e trasformare il pane e il vino come corpo e sangue di Cristo offerti come redenzione per il peccato originale di cui l'intera umanità è afflitta sin dal momento in cui Eva si nutrì del frutto proibito e ne diede ad Adamo, violando le regole del giardino dell'Eden su consiglio del serpente tentatore. E qual è questo frutto? Alcuni sostengono un pomo, una mela (simbolo mestruale e femminile) ma pare che ciò derivi da un difetto di trascrizione e che in realtà il frutto fosse un melograno. Esso è infatti il simbolo della fecondità, della fertilità e dell'abbondanza, ed era diffusissimo in Mesopotamia (dove si collocherebbe il giardino dell'Eden). Si tratta di un ulteriore legame con i Misteri Eleusini, con il mito di Persefone e con quello di Attis/Tammuz/Adone e quind Gesù Cristo. Secondo altri sarebbe un fico (ancora una volta un frutto mestruale e femminile), dato che successivamente al peccato Adamo ed Eva si vestirono con le foglie di questa pianta per coprire le nudità.
Ma torniamo all'eucarestia: essa annuncia la Pasqua in quanto il messia, proprio durante quel pasto rituale, avrebbe profetizzato il tradimento di Giuda, la rinnegazione di Pietro e la sua morte e resurrezione: "23 Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. 27Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. 28Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; 29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna." Corinzi (11,23-29).
Come vediamo il rituale Pasquale riconduce non solo ad una morte-rinascita ma anche ad una purificazione. La Pasqua cristiana germoglia così dalla Pesach ebraica. Il calice dell'alleanza contenente il sangue del salvatore riconferma l'antico patto stipulato tra Abramo e il Dio degli ebrei, e lo fa mediante il sacrificio e l'eucarestia. Ecco qui spuntare il simbolismo dell'Agnello che "toglie i peccati del mondo", lo stesso che Dio diede ordine agli ebrei di arrostire e sporcare le porte con il suo sangue prima che scagliasse il suo Angelo della Morte sulla terra d'Egitto.
Il rituale misterico dell'eucarestia e anche la liturgia della parola richiama chiaramente, come abbiamo visto, la visione infera dei misteri orfici, dionisiaci ed eleusini: un dio che muore per far sì che la terra possa continuare nel suo ciclo vitale. E chi segue la dottrina di questo mistero, chi quindi beve dal sacro calice in modo degno (rispettando i codici morali, liturgici e i dettami contenuti nelle scritture - in primis i dieci comandamenti) secondo questo filone religioso, otterrà la vita eterna.
Questa forte assonanza con il mito sacrificale e infero ha permesso di legare il mito di rinascita, comprensione e discesa che troviamo in moltissimi altri culti mediterranei e pagani e inglobare i simbolismi delle antiche tradizioni pagane con quella nascente cristiana quando venne istituita come religione di stato da Costantino.
Il termine stesso con cui ci si riferisce alla Pasqua nei paesi anglosassoni, Easter, richiama il nome della dea Eostre e riporta ancora il nome sul termine "Est" per riferirsi al tramonto eliaco di Venere. Il collegamento che si trova con questa divinità germanica della primavera ha collegato il simbolismo dell'Uovo covato da un coniglio al "dono" delle uova colorate come buon auspicio di nuovo inizio alla cultura cristiana della Pasqua, così come anche la lepre stessa da cui Oestara viene rappresentata, trasformata in un coniglio. Un animale impuro invero, secondo la versione ebraica, ossia un animale di cui non si può mangiare la carne.
La tradizione attuale è quella di donare uova di cioccolato con l'interno cavo e contenenti un piccolo dono. Il simbolo quindi del potere della rinascita della primavera viene associato al simbolismo della rinascita e della santità di Cristo risorto, annunciato da un angelo e profetizzato dallo stesso messia durante l'ultima cena.
Due ulteriori simboli che troviamo legati alla Pasqua e che riconducono al culto pagano sono due piante: la palma e l'ulivo. La prima dà nome anche alla domenica che precede la Pasqua, la "domenica delle Palme". Il motivo per cui questa ricorrenza porta questo nome conduce ancora al significato purificatore e rigenerativo dell'intera festività. Gli egizi infatti ritenevano questa pianta sacra ad Iside, la dea madre solilunare della magia e della trasformazione, sposa di Osiride e madre di Horus. Seguendo inoltre l'analogia portata dalla famosa "Eresia Murray" dell'egittologa Margaret Murray, questo sarebbe un ulteriore simbolo di connessione tra il culto misterico isiaco e quello cristiano: Iside come Madre e Horus come il Cristo salvatore. La palma era sacra anche ad Hathor la Celeste, un'altra dea madre. Ma anche Ishtar e Astarte erano legate alla madre e alla palma come anche il dio cananeo Baal il fecondatore, trasformato, insieme a molti altri, in un demone della coorte di Satana. In greco la palma è nota come Phoinix, che significa "fenice": ed era proprio su quell'albero che ogni cinquecento anni quell'uccello mitico e rigenerativo tornava a costruire il suo nido con rami di mirra intrecciati e poi, lasciando che il sole l'incendiasse, moriva tra le fiamme deponendo tra le ceneri del suo corpo un uovo da cui sarebbe rinata. Il simbolismo dell'uovo figlio di se stesso quindi è legato ancora alla palma da questo anello: la palma era anche un simbolo di rigenerazione, fertilità, di resistenza e longevità e di immortalità, essendo un sempreverde.
Per i Cristiani ricorda il momento in cui Gesù, a cavallo di un asino, entrò a Gerusalemme. I fedeli infatti lo salutarono agitando rami di palma. Attualmente il rituale prevede la benedizione di rami di palma od ulivo e una processione che conduce fin dentro la chiesa dove avverrà una messa in cui verrà letta dalle scritture la passione di Cristo.
Anche l'ulivo, quindi, è simbolo pasquale ed è ritenuto sacro perché è grazie all'olio che avviene l'unzione dei sacramenti come la cresima o, appunto, l'estrema unzione. Lo stesso nome greco con cui viene riconosciuto Gesù è proprio Christhòs che significa: "unto". Alla domenica delle Palme fuori dalla chiesa infatti vengono venduti rametti di ulivo che, benedetti, preserverebbero dal male le case. Questa tradizione richiama anche l'olio che viene usato per divinare il malocchio e per toglierlo.
L'ulivo ha anche il simbolismo della pace e del ritorno della vita, per questo viene donato a Pasqua. È proprio per questo motivo che questa pianta fa un'altra comparsa nella tradizione Cristiana: nella Genesi troviamo come Noé, dopo aver navigato sull'Arca costruita sotto le direttive del Signore insieme con sette esemplari delle specie animali e alcuni eletti della razza umana, si salvò per la durata del diluvio: 6E, in capo di quaranta giorni, Noè aperse la finestra dell'Arca, ch'egli avea fatta. 7E mandò fuori il corvo, il quale usciva del continuo fuori, e tornava, fin che le acque furono asciutte d'in su la terra. 8Poi mandò d'appresso a sè la colomba, per veder se le acque erano scemate d'in su la faccia della terra. 9Ma la colomba, non trovando ove posar la pianta del piè, se ne ritornò a lui dentro l'Arca; perciocchè v'erano ancora delle acque sopra la faccia di tutta la terra. Ed egli, stesa la mano, la prese, e l'accolse a sè, dentro l'Arca. 10Ed egli aspettò sette altri giorni, e di nuovo mandò la colomba fuor dell'Arca. 11Ed in sul tempo del vespro, la colomba ritornò a lui; ed ecco, avea nel becco una fronde spiccata di un ulivo; onde Noè conobbe che le acque erano scemate d'in su la terra. 12Ed egli aspettò sette altri giorni, e mandò fuori la colomba, ed essa non ritornò più a lui.
Genesi (8-6,12)
Da quel momento questo uccello prese il simbolo dello Spirito Santo e ancora adesso la colomba con l'ulivo in bocca rappresenta il simbolo della pace stipulata tra Dio e gli abitanti della Terra. Ma era proprio un uliveto lo stesso giardino dei Getsemani dove, prima della passione, Gesù andò a meditare attendendo l'arrivo dei legionari romani che lo arrestarono dopo il tradimento di Giuda Iscariota.
L'ulivo era anche il simbolo dell'immortalità e della rinascita. Infatti esso era l'albero sotto il quale nacquero i due fratelli divini Apollo e Artemide. Lo stesso Aristeo, l'innamorato geloso di Euridice che ne causò la morte, imparò grazie alle ninfe ad ottenere l'abbondanza dall'innesto dell'ulivo selvatico ed a frangere le olive per estrarne l'olio. Era di legno d'ulivo anche il letto nuziale di Ulisse, come ci narra Omero nell'opera che lo decanta. La pianta stessa era un dono di alla sua città quando si contendeva il predominio dell'Attica con Poseidone. Per ingraziarsi gli abitanti di Atene entrambi offrirono un dono. Poseidone fece comparire una pozza d'acqua marina con un colpo del suo tridente dorato a simboleggiare il dominio navale di Attica sul bacino del Mediterraneo, mentre , percuotendo la terra con la lancia, fece apparire un ulivo: questo gesto fece pendere la bilancia verso la dea che diede il nome alla città: Atene.

Oestara nella tradizione gastronomica
Il cibo tradizionale di questo periodo sono di sicuro le uova e la carne di capra o di agnello, nonché le fragole e i frutti primaverili. La tradizione delle uova, con il simbolismo della rinascita, si accompagna a questa festività. Un'interessante visione pagana di questo aspetto la troviamo nel libro di Johanne Harris: "Chocolat", poi trasposto ottimamente in un film con Johnny Depp. Proprio nei pressi della quaresima, quando Lansquenet avrebbe dovuto osservare il rigido digiuno preparatorio che il vicario (nel film il sindaco) impone e segue con coerenza quasi maniacale, Vianne, la proprietaria della cioccolateria La Célest Praline, espone in vetrina delizie di cioccolato rappresentanti galline, uova, e soprattutto, nel film, una bellissima statua in cioccolato di Venere completamente nuda. Il vicario/sindaco, dominato dalla privazione del digiuno e dalla frustrazione perché il suo gregge sembra sbandare a causa di quel negozio, con l'intento di distruggere questo nemico si ritrova infine a cedere e a mangiare cioccolato in perfetto stile bacchico: sdraiato sui dolci gettandosi cioccolatini direttamente in bocca come acini d'uva.
L'agnello e il capretto sono altre due tradizioni gastronomiche di Oestara. In popolazioni dedite alla pastorizia come possono essere state quelle europee dell'antichità la carne di questi questi animali giovani era una prelibatezza. Il simbolismo lo ritroviamo anche nei culti dionisiaci delle baccanti: la capra infatti era sacra a Dioniso e non mancava spesso che nei riti orgiastici un capretto venisse fatto a pezzi a mani nude dalle invasate che vi partecipavano. Come abbiamo visto, inoltre, i misteri Dionisiaci e Orfici di morte/resurrezione hanno una forte componente legata all'equinozio.
L'agnello come simbolo di remissione dei peccati per il cristianesimo (lo troviamo nell'Esodo) è legato paganamente alla lattazione di Imbolc, periodo in cui venivano partoriti e allattati. Verso l'equinozio quindi erano cresciuti abbastanza per finire al macello e per nutrire le famiglie. La cucina con la componente di carne di agnello e di capretto è una tradizione ortodossa anche in Grecia e in tutto il bacino del Mediterraneo dove ancora la pastorizia e l'allevamento di questi animali è una realtà diffusissima.

Oestara nella spiritualità Wiccan e Neopagana
Come abbiamo visto, Oestara nella spiritualità pagana e nella religione Wiccan rappresenta uno dei due equinozi, quindi uno dei quattro sabba "minori". Nel cerchio della nostra ruota rappresenta lo sbocciare della vita, il potere in crescita della forza vitale.
Nel nostro cammino spirituale iniziato a Samhain, proseguito a Yule e ad Imbolc, Oestara è la quarta tappa. Il seme, liberatosi dell'involucro e dopo aver germinato e messo radici, ha creato un germoglio forte e alto nel quale il fuoco vitale scorre in ogni sua parte. Oestara segna quindi l'ingresso nella completa estensione della forma. In questa festa si è parte di tutti e tre i mondi completi: quello infero, quello intermedio e materiale e quello elevato e sottile. Il potere della magia risiede nella forma del "mezzo". Il potere dell'equinozio è a metà, come stare sul bilico di una linea. Un piede nell'oscurità e uno nella luce, in perfetta, identica, simmetrica armonia.
Oestara segna il primo passo della formazione ierogamica della "coppia divina", il potere fecondativo degli opposti che generano la vita, la trasformano, la rendono unica nella sua manifestazione. Con questo sabba la rigenerazione della vita diventa evidente nel pieno risveglio di ciò che siamo. La fertilità, rappresentata in "ciò che sono", trova la sua via di manifestazione nell'accettazione di noi e nella ricerca di qualcosa che ci accomuni e che ci completi, sia esso un progetto, una persona, una via spirituale, una conoscenza di noi.
Dopo l'oscurità che è stata spezzata a Imbolc, Oestara segna l'infanzia dei primi amori, leggeri. I fiori si aprono e sbocciano sui rami, ricordandoci che la vita è dolce, bella e che vale la pena godersi ciò che si ha nella sua intrinseca semplicità.
Nel nostro lungo percorso spirituale e iniziatico abbiamo cominciato discendendo nell'oscurità più profonda per trovare i nostri aspetti più oscuri con Samhain, li abbiamo trascinati alla luce della verità con Yule, li abbiamo purificati e trasformati liberandoli da ciò che non ci serviva con Imbolc e ora, con Oestara, nella loro essenza li facciamo germogliare, crescere. Quando saranno maturi verranno fecondati a Bel, fruttificheranno a Litha e noi li coglieremo a Lammas, così che i semi possano attendere il nuovo ciclo nella terra da Mabon.
Oestara è il primo momento in cui comincia a mostrarsi una risposta a ciò che sono stati i nostri sforzi nei tre sabba passati. Se abbiamo fatto un buon lavoro lo vediamo ora. Se la nostra pianta spirituale è amorfa, priva di forze o se il seme non germina significa che non abbiamo fatto del nostro meglio, che abbiamo lasciato indietro qualcosa. Se, al contrario, cresce sana e forte e se l'arbusto mette fiori allora significa che il lavoro di purificazione e di conoscenza di noi sta denotando i primi segni che possiamo cogliere e goderci, abbiamo un terreno fertile su cui qualcosa può crescere. Il significato del fiore però è quello di "attrazione". I fiori, belli, colorati e profumati hanno principalmente la funzione di attrarre gli animali impollinatori, nella fattispecie le api, che permettono, grazie alla cattura del succoso e zuccherino nettare, di portare i principi fecondatori da un fiore all'altro e favorire così la procreazione e la diffusione della vita. Il nostro nettare simbolico deve attrarre le nostre api simboliche.
Il risveglio della natura riattiva il bisogno di innamorarsi nel simbolismo in cui tutto questo può essere trasformato. La primavera è il principio, l'apertura, non per niente la parola Aprile deriva dal latino aprilis e quindi dal termine aperire che significa aprire. Ma secondo alcuni questo nome deriverebbe dal greco aphròs che significa "spuma", ossia la schiuma del mare da cui sarebbe nata Afrodite/Venere, la stessa "East - Star", stella dell'est, che riporta anche al nome stesso di Eostre, Oestara e poi anche a Ishtar e Astarte. Sono tutte dee dell'amore, della verginità meravigliosa e della passione incondizionata, sono le coppie ierogamiche. Non a caso, ancora, il mese di Marzo deriva da martius, che sin da Romolo era dedicato al Dio Marte; sterile sì, ma signore del fuoco e dei metalli e amante di Venere e contrapposto in due aspetti: quello guerrafondaio e sanguinario e quello invece paterno che difende la sua famiglia.
L'energia fecondativa dentro di noi ci permette di continuare la trasformazione che abbiamo cominciato nella seconda delle quattro fasi del nostro cammino. Il Sole, caldo e in crescita, permette al vivo germe di innalzarsi nella sua grandezza, verso il cielo, alla ricerca della luce che ha scoperto esserci al di fuori del tunnel. Questa ricerca porta alla libertà del pensiero coniugato al contatto che abbiamo vissuto con i sabba precedenti. Dopo l'accettazione del lato oscuro Oestara ci permette di rivalutare il potere che abbiamo dentro di noi. Il senso dell'amore ierogamico diventa una partenogenesi, come Narciso Oestara è lo specchiarsi nella fonte vicino a Donacone ma senza cadere per affogare, solo innamorarci di ciò che siamo nel profondo di noi, sia nei lati negativi che in quelli positivi. E nell'innamorarsi rifecondarsi e poterci così permettere di avere frutti da cogliere nella nostra elevazione spirituale. Oestara rappresenta il passo intermedio, il primo innamoramento, quello platonico, l'amoreggiare puro e incontaminato che ci fa alzare dal terreno come se avessimo le ali. È quello che vediamo in natura: gli animali cominciano a diventare irrequieti per cercare un compagno o una compagna.
Oestara rappresenta anche il potere di sfogarsi. Dopo la purificazione di Imbolc siamo pronti a mostrarci senza fronzoli, perché ciò che è morto e inutile è andato. In onore a questo nostro potere si danza picchiando i piedi a terra; dobbiamo risvegliare ciò che ancora dorme, i pensieri e i poteri ritardatari, come una macchina che impiega un po' a scaldarsi. Questo incitarci serve per arrivare pronti alla fecondazione passionale di Bel. È il momento del gioco e delle danze di corteggiamento, quelle che precedono l'accoppiamento. Ci si rincorre, ci si aggira per trovare le uova nascoste, simbolo del rinnovamento, della rinascita.
Le divinità stesse di Oestara sono quelle primaverili, belle e giovani, sono le divinità dell'amore adolescente. Il mito del rapimento di Persefone ci fa capire che è ancora Kore una delle divinità di questa festa, appena risalita dal mondo infero, dove ha lasciato la maschera della conoscenza del potere spirituale e ctonio che deve portare per tre/sei mesi all'anno. La Dea è nel suo aspetto di "prima stella della sera", quindi Venere, Afrodite, Ishtar, Astarte, gli aspetti di Eostre, Oestara. Anche Blodeuwedd, la dea celtica di cui si parla nel Mabinogion, colei che è nata da "nove fiori e da nove poteri". Ovviamente abbiamo Cibele, Cerere, Demetra, Hera e tutte le divinità madri, nei loro aspetti ierogamici.
Per gli dei abbiamo tutti i giovani e potenti come Adone, Attis, Tammuz, ma anche Apollo e Dioniso, i signori ctonii della terra. Anche le coppie ierogamiche come Venere e Marte, Iside e Osiride, Ares e Afrodite, Eros e Psiche hanno una loro attinenza con questa festività. Per i popoli nordici la divinità è Freya, colei che aveva lepri come servitori e Baldr, il signore ucciso.
Il mistero della generazione della vita dalla morte quindi, come vediamo, è radicato pienamente nei culti mediterranei e misterici. Ed è anche qui che la dualità portata dall'equinozio è ben espressa dal simbolo dell'uovo cosmico, ripreso nel mito della nascita di Brahma, la prima persona della trinità indù nota come Trimurti. Un uovo d'oro dal quale, schiusosi, modellò la volta celeste e la Terra. E questa divinità, nata dall'uovo e creatore con lo stesso uovo, quando generò Saraswati fu così pervaso dalla sua bellezza che gli crebbero altre due teste: Vishnu e Shiva, così che potesse guardarla in ogni momento. In ultimo divenne suo sposo e con lei generò l'umanità. Brahma è il padre che nel momento in cui dorme non permette l'esistenza di nulla e che rende forma al mondo al suo risveglio.
Questo mito del triplice dio è legato al ciclo della creazione, conservazione e distruzione di cui la Trimurti è il simbolo in Brahma, Vishnu e Shiva è ripreso nella trinità cristiana e nella visione divina di altri aspetti di pantheon sia mediterranei che più nordici, a constatare che, anche a distanza di migliaia di chilometri, il divino trino lascia una chiara impronta in quasi tutte le culture, sia quelle monoteiste che quelle panteiste o politeiste. E questo stesso aspetto triplice è chiaramente legato al simbolismo della creazione come ciclo di perfezione.
La visione dell'uovo come principio universale è quindi chiaramente triplice in quanto composta da tre diversi aspetti: il tuorlo, che rappresenta il maschile; l'albume, che rappresenta il femminile, e il guscio esterno che è l'unione dei due aspetti. E ogni cosa nasce dall'uovo, perché l'uovo è una cellula. I pesci, gli uccelli, i mammiferi, gli insetti, i rettili, la stessa vita vegetale si trasforma dal principio dell'uovo (nella sua concezione germinativa).
In un equilibrio di opposti, Oestara è uno dei due momenti, nella calata e nella discesa di questa altalena di energie luminose e vitali, in cui il potere dell'oscurità (legato al femminile) e della luce (legata al maschile) hanno il suo confrontarsi in perfetta parità.
In coincidenza con il solstizio, Kore risale dagli inferi rinata, rinvigorita, pronta a far rinascere la terra al suo passaggio, a far sbocciare fiori e vita dove cammina. Da questo momento in poi la durata della luce sarà in crescita fino al solstizio d'estate, quando raggiungerà il suo picco per poi calare al nuovo punto di equilibrio, ossia la discesa negli inferi: l'equinozio d'autunno, quando rispettando il patto dovrà discendere di nuovo nei regni sotterranei lasciando che la natura, piangente, muoia per la sua perdita.
Il simbolo iniziatico e spirituale di Oestara è "il germoglio": il potere vivo, giovane e verde della fertilità che cresce ad una velocità incredibile, che è sì debole e fragile, ma che tiene dentro sé la capacità di scavarsi fuori dal terreno ed emergere nella luce, ad accogliere i caldi raggi del Sole. Quel germoglio è la nostra capacità di trovare la nostra strada e di rinforzarci, rappresenta la nostra perseveranza nel sopravvivere, nel resistere, nel crescere, la lotta indefessa della vita che muta, si trasforma. Il nostro uovo, né di padre né di madre, contiene entrambi gli intrinsechi significati e primordiali geni perché è fecondato da noi stessi che lo abbiamo deposto. E dentro quell'uovo, nel profondo, sta il nostro intento, la nostra via, il nostro cuore morbido che dobbiamo difendere perché è aperto e il suo involucro si è dischiuso. In questo delicato momento dobbiamo proteggerlo perché possa crescere sano e forte e avere radici sempre più salde.
Ciò che abbiamo distrutto e trasformato a Imbolc ci ha permesso di fertilizzare il terreno, di preparare la strada perché questo uovo mettesse radici e, se abbiamo pulito bene, state certi che lo ha fatto. È nella sua natura. Adesso dobbiamo difenderlo perché sia pronto all'accoppiamento fisico, e non solo mentale, con il seme di sé stesso, così che la fecondità che si porta dentro possa permettere di passare alla terza fase del suo ciclo: la riproduzione.
Nel mondo pagano Oestara è il momento della semina. I rituali sono portati alla coltivazione. È la "Luce della Terra", Alban Eiler. Il grande simbolismo del "seminare per raccogliere" si esprime proprio adesso. Le uova colorate saranno un invito ad accogliere dentro noi la fecondità dei nuovi progetti, delle nuove imprese. Donare un uovo decorato ad una persona diventa un modo per invitare l'augurio di poter far germinare dentro quella stessa persona il progetto che sta portando avanti, di realizzare il proprio progetto, il proprio sogno.