The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Poseidone il Tiranno

Poseidone il Tiranno


Che cos'è il tiranno? Con questo termine ci riferiamo ad una figura di padre distruttiva. Il tiranno è colui che impedisce al figlio o alla figlia di crescere. Non è colui che disconosce l'amore ma è colui che deve mantenere le cose sotto un forte controllo e senza lasciare lo spazio di azione e libertà sia ai figli che alla consorte. Non ha quindi un accesso intellettuale elevato e puro, ossia libero da "mostri interiori": bensì è pervaso da una forte introspezione, ed è dominato dalle proprie paure, che lo costringono ad agire con un comportamento restrittivo proprio del dittatore. Chi non delega, non mostra fiducia, non concede la possibilità di sbagliare senza punire severamente e anche oltre il necessario rientra in questa categoria.

Nella mitologia questo aspetto è richiamato da Poseidone, il Signore Olimpico delle Acque, dei fiumi, dei corsi d'acqua e degli abissi marini. Il nome stesso di questo dio ha un'etimologia che lo riporta molto indietro nel tempo in confronto a quando lo si conosce come fratello di Zeus e figlio di Crono: ossia un periodo in cui il regime era matriarcale e non patriarcale, quindi la geneaologia era matrilineare. In rilievi molto antichi in scrittura Lineare B di epoca Micenea trovati a Pilo, si vede come Poseidone fosse marito di Demetra. Queste iscrizioni si riferiscono ad una richiesta divina e si vedono i nomi di queste due divinità messi in parallelo. Le due scritte recitano PO-SE-DA-WO-NE e DA-MA-TE, e sarebbero un riferimento ai due dove, come abbiamo visto "Da" è una particella legata al dono, quindi il nome di Poseidone, in radice potei-da, significherebbe letteralmente: "Marito di Da", o "Consorte di Colei che Elargisce". Da notare c'è infatti che Poseidone era un dio legato ai cavalli e ai terremoti e la stessa Demetra, in Arcadia, era venerata in forma zoomorfa con la testa equina. Secondo quando ci dice Karol Kerenyi nel suo Gli Dei della Grecia: "Da era un nome antichissimo per Ga, Gea, De-meter o Da-mater portava quel nome probabilmente nella sua qualità di madre-terra, e in questa stessa qualità aveva come sposo Poseidone. Le due divinità erano particolarmente legate ad una forma di vita greca e ai suoi prodotti, esse erano legate anche alle cose che formavano tale genere di vita e che in parte esse avevano prodotto: la dea al frumento, il dio al cavallo, da quando esso era stato allevato in Grecia. Nella sua unione nuziale con Zeus, Demetra era piuttosto un alter ego della Grande Madre Rea che col proprio figlio aveva generato Persefone nella quale era rinata lei stessa - mistero di cui apertamente si raccontava poco - mentre nell'unione con Poseidone essa era la terra, madre delle piante e di animali, che perciò poteva assumere anche l'aspetto di una spiga o di una giumenta.

Si raccontava che Demetra fosse già alla ricerca della figlia rapita Persefone, quando Poseidone incominciò a perseguitarla con la sua brama amorosa. La dea si trasformò in una giumenta e si mischiò ai cavalli pascolanti del re Onkios. Poseidone però si accorse dell'inganno e si congiunse a lei sotto forma di uno stallone. La dea adirata diventò una Erinys, dea dell'ira, e si chiamò Demeter Erinys fino a quando non si purificò della sua ira nel fiume Ladone, assumendo dopo quel bagno l'appellativo di Lusia. A Poseidone essa partorì una figlia che non si doveva nominare nei misteri e partorì contemporaneamente anche il celebre cavallo Arione o Erion, dalla criniera nera, criniera che aveva ereditato da Poseidone - così si comcepiva già nell'antichità questa storia. (...) Demetra si perpetuò in una figlia di cui non si doveva fare il nome  - e in ciò si riconosce anche qui il racconto misterico -, Poseidone invece in un cavallo."

Poseidone è l'aspetto oscuro del padre: nervoso, irascibile e vendicativo. Non per niente è patrono degli oceani, quindi degli abissi e dell'inconscio e delle forze telluriche grazie a cui gli era sacro il cavallo. Come Zeus e come Ade era anch'egli figlio di Crono e di Rhea. Ci sono quattro miti che riguardano la sua nascita. Il primo lo vede divorato dal padre insieme agli altri fratelli, il secondo gettato negli abissi, così come Ade finì nel Tartaro, e il terzo invece tenuto celato da Rhea, che diede da mangiare a Crono un puledro al posto del figlio e che lo nascose in una mandria equina o secondo alcuni ovina. L'ultimo è quello narrato da Callimaco nel suo Inno a Delo e confermato da Diodoro Siculo. Esaminiamoli.

Come anche altre divinità, vediamo come Poseidone sia legato ad aspetti zoomorfi di tutto rispetto, di cui il cavallo è solo uno dei due. Se notiamo, tutte le divinità greche olimpiche hanno rapporti con ovini o bovidi. Zeus viene allattato da una capra e ne porta l'egida, Pan stesso, antichissimo, è l'unico dio che mantiene un aspetto zoomorfo caprino. Dioniso nasce come un serpente con corna da montone, così come anche Ermes e Apollo. Secondo Pausania, nella sua Periegesi della Grecia, come abbiamo visto, Poseidone venne nascosto da Rhea in una mandria ovina e, come capitò anche con Zeus, nascosto sul monte Liceo nell'aspetto lupino e sul monte Aigaion nell'aspetto caprino, ecco che Poseidone venne celato nei pressi della fonte Arne, che significa, appunto, "pecora". Rhea diede quindi a Poseidone un puledro al posto del figlio quando questi chiese di averlo per mangiarlo.

Nel mito narrato da Esiodo nella Teogonia, Poseidone venne divorato da Crono insieme agli altri fratelli e rigurgitato grazie all'intervento di Zeus che, come coppiere divino, diede da bere al padre del vino miscelato con erbe emetiche. Nel mito orfico invece, Poseidone venne esiliato negli abissi, così come Ade fu esiliato nel Tartaro.

Più che con altre divinità olimpiche, questo dio mantiene un legame con gli animali, il che mostra ancora di più l'aspetto più inconscio, indomito e rancoroso che si manifesta anche nei suoi figli, che spesso sono mostruosi o comunque non completamente umani, come Tritone, avuto dalla nereide Anfitrite, o il ciclope Polifemo, Glauco o veri e propri mostri come Cariddi e se vogliamo, in linea indiretta, anche il minotauro e Pegaso, il cavallo alato. Questo "generare mostri" è segno di un potere profondo e oscuro, del tutto legato all'inconscio. E questo si ritrova anche nel simbolo del cavallo bianco, che nel concetto onirico rappresenta la liberazione degli istinti primari.

Una volta libero, Poseidone lottò contro i Titani insieme ai fratelli e, quando Zeus liberò i ciclopi, ottenne da loro il Tridente, a simboleggiare il suo potere marino. Grazie a questa arma potentissima, minacciò Crono privato dalle armi da Ade, che si era introdotto nelle sue camere non visto grazie all'elmo in pelle di lupo che donava invisibilità, permettendo così a Zeus di fulminarlo con la folgore. Lo stesso tridente, come la folgore e il bastone biforcuto di Ade, sono simboli fallici di potere.

Per i dieci anni di guerra, Poseidone combatté a fianco dei fratelli contro i Titani e costruì le mura stesse del Tartaro, che li avrebbe tenuti prigionieri una volta sconfitti. Quando infine si spartirono i regni, egli fu l'ultimo a scegliere e a lui toccò il regno sommerso. Iroso e scontroso si allontanò subito e cominciò immediatamente a costruire il suo palazzo negli abissi al largo di Egea, in Eubea. E come ci narra Omero, nell'Iliade, nelle sue stalle spaziose albergano bianchi cavalli con zoccoli di bronzo e criniere d'oro, e un aureo cocchio al cui apparire subito cessano le tempeste, mentre mostri marini emergono dalle onde e gli fanno da scorta. Nonostante ciò, è da notare che Poseidone non nasce come divinità marina, ma come divinità tellurica, di cui conserva ancora i tratti, essendo legato ai cavalli. Secondo l'antica via matrilineare, acquisì il dominio sul regno acqueo solo con il matrimonio con Afitrite, la figlia di Oceano. In questo contesto è quindi ragionevole pensare che il tridente, l'arma che lo caratterizza, sia quindi un simbolo mediamente tardo, ossia di quando il suo ruolo come Olimpio dei mari, degli oceani e dei fiumi si fu radicato a dovere.

Nonostante ciò, Igino, nelle Fabulae ci racconta di come prima di andare in sposa ad Anfitrite, che fu per Poseidone quello che Era fu per Zeus, questi ebbe una moglie di nome Teofane, principessa macedone figlia di Bisalte che era desiderata da molti pretendenti. Per garantirsi l'amore di questa donna, il dio dei mari la rapì e la portò sull'isola di Crumissa, il cui nome significa "Isola dell'Ariete". Per celarsi dai pretendenti, il dio trasformò la sua sposa in una pecora e si sposò con lei sotto forma di ariete. Secondo Igino trasformò anche tutti gli isolani in pecore, ma i pretendenti cominciarono a mangiarle, perciò li ritrasformò in lupi che a loro volta li sbranarono, per accertarsi così la tranquillità. Da questa unione nacque un famoso ariete con il vello d'oro e con il dono del volo e della parola che portava il nome di Crisomallo. Questo stesso animale era destinato a portare Frisso in Colchide e a scatenare poi la notissima missione degli Argonauti capitanata da Giasone e narrata da Apollonio Rodio nelle Argonautiche.

Callimaco, nel suo Inno a Delo, ci dà una versione ancora nuova, seppur solo menzionata: ci parla di come Poseidone fosse stato messo in salvo dalla madre su un'isola dove viveva un'antica popolazione nota come i Telchini:

Canterò forse come le pendici

Col temprato tridente dai Telchini

Nettuno sollevò dalle radici?

E riversando in mar giù nei marini

Fondi legò le poderose some

Tutti i terrestri ad obliar confini?
 

A raccontarci in realtà questo evento fu Diodoro Siculo, nella sua Biblioteca Storica, il quale asserisce che Rhea portò il piccolo alla ninfa oceanina Cefira su un'isola del mare Egeo, dove gli abitanti, abili fabbri, forgiarono per lui il tridente. Una di quelle che Diodoro Siculo nomina come "sorelle" dei Telchini era Alia, ritenuta una dea marina di cui Poseidone si invaghì e che sposò, generando da lei sei figli e una figlia. Questa stessa bambina prese nome Rhodos e diede poi anche il titolo all'isola stessa, che tuttora è nota come Rodi. I sei figli di Poseidone però, a quanto ci arriva dal racconto, erano spregevoli e, quando Afrodite emerse dal mare, cercarono di impedirle di giungere alla loro isola, come ci narra anche Callimaco, nell'inno sopra citato:

Quarta è Sardegna, e da sezzo procede

Quella a cui riparossi il dì, che a terra

Dalle spume del mar Venere diede.

Per punire la loro superbia, Afrodite instillò in loro la follia e li indusse a violentare la stessa madre, e così facendo, ingiungere nelle ire del padre che, per l'affonto imposto ad Alia, con un colpo di tridente li sprofondò nelle profondità della terra, mentre la madre si gettò in mare divenendo una dea marina di nome Leucotea. Ma, come ci fa notarer Karol Kérenyi nel suo Gli Dei e gli Eroi della Grecia: "Della detta dea Leucotea si sentirà ancora una storia completamente diversa. La figlia di Alia, Rodo, non è diversa da Roda, cui vengono attribuite madri anche Afrodite ed Anfitrite. Tutti e tre i nomi - Alia, Afrodite, Anfitrite e anche Cafira - indicano probabilmente una stessa grande dea. Sulle isole mediterranee situate più a nord essa si chiamava anche Ecate, Cabira, Demetra Cabiria ed era considerata madre dei Cabiri".

Come abbiamo visto all'inizio dell'articolo, durante l'esame dell'etimologia del nome di Poseidone, e come ci torna anche nell'osservazione di Kérenyi, Demetra e Poseidone avevano un legame molto importante. Il loro rapporto si consumò, secondo Pausania nella Periegesi della Grecia, quando la dea, stanca e scoraggiata, era alla ricerca della figlia Kore. Inseguita dalle brame del dio, dato che non aveva alcuna intenzione di unirsi con alcun dio o titano, decise di trasformarsi in una giumenta e si mescolò ad un branco di proprietà del dio Onco, in pascolo ad Onceo, in Arcadia. Lo stratagemma non servì completamente allo scopo, in quanto Poseidone si tramutò in stallone e la prese in forma animale mentre lei era tramutata in una Erinne, nota come Demeter Erinys. Da questa unione nacque un cavallo dalla criniera nera di nome Arione e una figlia di cui non si poteva pronunciare il nome se non nei mysteria che si tenevano ad Eleusi e che erano dedicati proprio a lei. Il nome di questa dea era Despena. Ma chi è Despena? In realtà è un epiteto della dea Kore, e il suo nome deriva dal greco-miceneo des-potnia e ha radice nel proto-indoeuropeo dem-dom, che significa casa, dimora e potni, padrona, signora. Pertanto Signora della Casa. Questo riaprirebbe ancora il concetto dei natali della dea Kore. Ma torniamo ad Arione, che dopo essere appartenuto ad Onco finì al servizio di Eracle, quando si scontrò contro Cicno a Elide e poi andò in dono ad Adrasto, a cui il cavallo elargì una rapida fuga durante l'assedio di Tebe portandolo in salvo fino in Attica.

Poseidone era noto per molti eventi che lo interessarono nella mitologia; uno tra i molti è la caparbietà con cui veniva descritto quando decideva di avere per sé una donna o una dea. Il suo forte aspetto oscuro, oltre a generare mostri e animali, ha la capacità di condurre alla follia le persone, come ci riporta Ippocrate, che lo ritiene responsabile dell'epilessia. Ciò nonostante era molto venerato, soprattutto dai naviganti, perché ritenuto responsabile dell'affiorare di nuove isole per far sì che i marinai potessero trovarvi approdo e salvezza. Ad Atene era secondo solo alla dea che diede il nome alla città, per la quale sorse una forte disputa proprio con la dea Atena. Secondo Varrone, quando si doveva decidere che nome dare alla città dell'Attica che veniva fondata, le due divinità si contesero l'adorazione degli abitanti offrendo un dono. Poseidone fece comparire una pozza d'acqua marina con un colpo del suo tridente dorato a simboleggiare il dominio navale dell'Attica sul bacino del Mediterraneo, mentre Atena, percuotendo la terra con la lancia, fece apparire un ulivo. Cecrope, il Re, indì quindi una votazione a tutti i cittadini. I maschi proclamarono come vincitore Poseidone mentre le femmine Atena. Ma fu proprio quest'ultima a vincere dal momento che le femmine beneficiarono di un singolo voto in più. Però Poseidone si infuriò, non accettando la sconfitta, e fece innalzare enormi onde marine con le quali inondò i campi di Atene, distruggendoli. Per far sì che la sua ira fosse placata, alle donne fu proibito il voto, nessun figlio avrebbe ereditato il nome materno e nessuna figlia avrebbe mai portato il nome di Atena.

Secondo Apollodoro furono invece gli Olimpi stessi a giudicare e vinse Atena perché aveva piantato l'ulivo prima che Poseidone facesse apparire la pozza d'acqua. Atene rimase comunque una potentissima forza navale anche senza la benedizione del dio dei mari, invocato con un sistema gerarchico patrilineare. Questo aspetto richiama chiaramente la visione tirannica del padre che, sconfitto in equità, cerca comunque la sua vendetta.

Questa rivalità con Atena lo portò anche a insinuare ad Efesto che la dea volesse giacere con lui in cambio dell'armatura per scendere in campo durante la guerra di Troia, portando ancora il centro su quanto appaia rancoroso e vendicativo. Tra le altre cose fu anche una delle tre divinità che istigarono gli dei contro Zeus, assieme ad Era ed Apollo, e fu pertanto punito da Zeus e costretto a costruire le mura di Troia per il re Laomedonte che in cambio gli aveva promesso una ricompensa. Una promessa che però non mantenne, facendolo infuriare e aizzando un tremendo mostro marino contro la città, come ci narra Igino nelle Fabulae: "Nettuno e Apollo costruirono le mura di Troia ma il re Laomedonte negò loro la ricompensa promessa per avarizia, allora Nettuno mandò un mostro marino a tormentare Troia. Per decreto oracolare al mostro dovevano essere offerte vergini troiane incatenate. Il mostro divorò molte fanciulle finché Esione fu salvata da Eracle e Telamone che uccisero il mostro. Esione, figlia di Laomedonte, fu restituita al padre con l'impegno che quando i due eroi, che stavano partecipando all'impresa degli argonauti, fossero tornati, ella li avrebbe seguiti nella loro patria. Anche in questo caso Laomedonte non mantenne la promessa, allora Ercole, organizzata una flotta, attaccò Troia, uccise Laomedonte ed affidò il regno al figlio di lui Podarce (poi detto Priamo), prese Esione e la fece sposare a Telamone". Pare che sia per questo motivo che nell'Iliade, al contrario di Apollo che con la pestilenza che scatenò sulla città e si disse soddisfatto, Poseidone prese le parti dei greci, anche se Omero sostiene che intercesse a salvare Enea quando Achille stava per ucciderlo. Inoltre quando il pelide uccise suo figlio Cicno strangolandolo con i lacci di cuoio del suo elmo, dato che era ritenuto invulnerabile al fuoco e al ferro e pertanto invincibile tra i troiani, Poseidone impedì che potesse defraudare il suo corpo delle armi, facendolo svanire e incarnandolo in un cigno.

Questo suo rimanere "tradito" da chi chiede favori, li riceve e poi non mantiene i patti è un concetto che ritorna anche nelle vicende che interessano il mito di Teseo e del Minotauro. Vediamo cosa accadde. Minosse era figlio di Zeus e di Europa. Quest'ultima sposò Asterie, re di Creta, ma dato che il matrimonio non generò figli, decisero di adottare i tre fratelli avuti dalla regina con il Padre degli dei. Dopo la morte di Asterie, di ritorno dall'Asia Minore, dove aveva fondato Mileto, Minosse succedette al trono di Creta assurgendo a questo diritto sostenendo che gli dei gli avrebbero esaudito qualsiasi desiderio. Per dimostrarlo chiese a Poseidone di far apparire un toro dal mare che potesse poi essere sacrificato e, con sommo sgomento della popolazione, un bellissimo bovino bianco latte apparve dai flutti. Grazie a questo prodigioso segno di rispetto da parte degli Olimpi, ogni voce opposta al suo insediamento fu taciuta e gli fu così accordato il trono.

Minosse stesso però fu talmente colpito dalla vista di questo animale che non ebbe cuore di ucciderlo e in sua vece sacrificò un altro toro. Questo sgarro tuttavia gli costò molto caro, dal momento che l'ira di Poseidone fu tremenda e machiavellica. Per ottenere ciò che bramava e che gli era stato garantito, indusse nella regina Pasifae, figlia di Elio e Creta, un solletico animalesco che la spinse a desiderare di giacere con il toro bianco latte che era destinato, in principio, al sacrifico. La regina confidò quindi questa perversa attrazione a Dedalo, l'architetto ateniese di corte in esilio a Cnosso, il quale accettò di aiutarla costruendo una vacca in legno, dotata di ruote, cava all'interno e rivestita da una pelle bovina dentro cui lei poteva inserirsi, riuscendo così a ingannare il toro e saziare il suo appetito. In questo modo, all'oscuro del marito, mentre il toro sacro pascolava sui verdi prati, Dedalo spinse la vacca di legno con al suo interno la regina fino a che il bovino, vedendola, non fu preso dal calore e la montò, soddisfacendo così il desiderio della donna al suo interno.

Non tutto però andò come previsto. Nel mito non emerge se fosse interesse di Poseidone o meno, ma Pasifae rimase gravida di questo amplesso e diede alla luce il Minotauro, un mostruoso umanoide con la testa taurina. Inorridito, Minosse chiese ad un oracolo cosa fosse giusto fare per evitare uno scandalo a corte. La risposta fu di ordinare a Dedalo di costruire un labirinto dentro il quale imprigionare il mostro insieme alla regina. Così fu fatto e l'architetto ateniese dedicò il resto della sua vita a svolgere questo compito.

Durante una guerra con Atene, il figlio di Minosse, Androgeo, venne assassinato e, dopo svariate vicissitudini, questi pregò il padre Zeus di scatenare un terremoto su Atene; richiesta che venne esaudita. Per far cessare le tremende scosse, l'oracolo di Delfi annunciò agli ateniesi che avrebbero dovuto sottostare al tributo richiesto dal re di Creta: ogni nove anni sette fanciulli e sette fanciulle sarebbero dovuti entrare nel labirinto come nutrimento per il Minotauro.

Al terzo tributo, col favore di Afrodite, sulla nave che salpava per Cnosso, destinata al tributo, si unì come volontario anche Teseo, figlio di Poseidone. Giunto a Creta fu sottoposto alla prova di Minosse che, al suo proporsi come figlio del Dio dei mari giunto per uccidere il minotauro, gettò il suo anello tra le onde e gli disse di recuperarlo. Teseo senza indugio si tuffò tra i flutti e, aiutato dalle nereidi, tornò in superficie in piedi sulle schiene di due delfini non solo in possesso dell'anello che Minosse aveva gettato in mare, ma anche di una corona ingioiellata donatagli da Teti e destinata alla donna che avrebbe desiderato sposare. A quel punto fu chiaro a tutti come il favore del dio degli abissi fosse con lui.

Arianna stessa, la figlia di Minosse, si innamorò di Teseo e decise di aiutarlo nell'impresa. Questi giurò quindi di sposarla donandole come pegno d'amore la corona avuta in dono da Teti. Su suggerimento di Dedalo, che prima di morire le aveva donato un gomitolo di filo magico che si sarebbe srotolato fino al centro del labirinto, Arianna istruì Teseo che, grazie a questo stratagemma, avrebbe potuto raggiungere il centro del labirinto senza perdersi, e una volta giunto fino al Minotauro addormentato, ucciderlo nel sonno per ritrovare la via del ritorno semplicemente riavvolgendo il rocchetto di filo. L'eroe si introdusse nel labirinto, uccise il mostro sacrificandolo a suo padre e ne riportò fuori la testa mozzata. Insieme ad Arianna e agli altri fanciulli destinati al sacrificio ripartì per Atene, inseguito dai cretesi. Per ragioni mai spiegate, sull'isola di Dia, l'attuale Nasso, Teseo abbandonò la dormiente Arianna, figlia di Minosse, dove fu raggiunta da Dioniso che la prese in moglie.

Non appena avvenne la spartizione del mondo e dopo che ebbe costruito il suo palazzo abissale al largo nel mar Egeo, Poseidone cercò una moglie. Il dio dei mari ebbe molti amori e molte mogli, in quanto paritario a Zeus, ma una sola rimane legata a lui: la nereide Anfitrite, che abbiamo già nominato in più occasioni in questo articolo e che, come ci ha fatto notare Kérenyi, riporta ad un concetto di medesima dea assieme con Afrodite, Cefira, Demetra ed Ecate. Come ci racconta Apollodoro e Igino nella Astronomia Poetica, Poseidone, in quanto legato ai mari dalla sorte, cercò una moglie che fosse affine, come lui, agli abissi. La sua prima scelta cadde su Teti. Si parlava però di una profezia che avrebbe visto il figlio avuto da lei superare in fama lo stesso padre, perciò, per evitare il triste compimento di questo vaticinio, lasciò che fosse un mortale a sposarla: Peleo, re di Ftia, in Tessaglia. Le nozze di Teti e Peleo, a cui assistettero tutti gli dei tranne Eris, la dea della discordia, fanno da preambolo alla famosa Guerra di Troia e all'Iliade omerica, in quanto questa dea gettò una mela destinata alla più bella per cui Era, Atena e Afrodite si misero a litigare. Per il giudizio venne incaricato il principe troiano Paride che, dopo aver ricevuto offerte da tutte e tre le divinità, scelse il dono della dea dell'amore, che gli promise la donna più bella del mondo: Elena, moglie dell'acheo Menelao. Paride, rapendo Elena, scatenò la guerra a cui partecipò anche Achille, figlio di Peleo e Teti.

Ma torniamo a Poseidone che, scartata l'ipotesi di Teti, optò per Anfitrite, anche lei figlia di Nereo, la quale in primis rifiutò le sue richieste e si nascose sul monte Atlante. Là, grazie a Delfino, che gli fece da messaggero supportando la sua causa, riuscì nell'intento di convincerla a sposarlo. Da questo matrimonio Poseidone ebbe tre figli: Tritone, Roda e Bentesicima. Il primo dei tre conserva gli antichi tratti zoomorfi, infatti ha le squame da pesce e ha la pelle completamente verde. In realtà questo dio deriva da Dagon, antichissima divinità mesopotamica della fertilità, inglobata nel pantheon fenicio e quindi portata in Grecia, mantenendo l'aspetto semiumano e divenendo il dio dei fiumi e delle correnti che suonava nella sua conchiglia per placare le tempeste e fare da araldo al padre. Roda, invece, è ancora Rhodos, di cui abbiamo parlato prima, che in questo contesto ha come madre Anfitrite invece che Alia. L'ultima è Bentesicima, considerata la dea delle onde. In alcuni aspetti vediamo come sia Roda che Bentesicima siano aspetti diversi della madre stessa.

Poseidone non fu, però, un marito fedele, come invece si rivelò essere per lui sua moglie. Ebbe anzi molte amanti come la Gorgone Medusa, che prese in un tempio di Atena e che, vanesia, tenne il volto coperto durante l'amplesso. Per aver insozzato il suo luogo sacro e per aver mostrato vanità la dea infine la maledì a pietrificare chiunque con il solo sguardo, ad avere veleno al posto del sangue e ad avere la testa completamente ricoperta di serpenti invece di capelli. Un'altra delle amanti di Poseidone fu Scilla, figlia di Forcide, che venne maledetta dalla stessa Anfitrite con uno stratagemma ingegnoso: mise a mollo delle particolari erbe magiche nella fonte dove lei solitamente faceva il bagno; una volta che si immerse queste la mutarono in un mostro terribile con molteplici teste e zampe. Secondo alcuni questa ninfa fu trasformata da Circe in quanto desiderava Glauco, zoomorfo figlio di Poseidone, che era innamorato di lei. Ad ogni modo per l'orrore Scilla si tuffò in mare e trovò rifugio in un antro scoglioso che sta di fronte a dove Cariddi, un'altra figlia del dio degli abissi punita per la sua voracità, ingoiava acqua e la risputava, dando origine ad un gorgo che, anche nell'Odissea era ritenuto pericolosissimo, come ci narra Omero: "L _ altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo, vicini uno all _ altro, dall _ uno potresti colpir l _ altro di freccia. Su questo c _ è un fico grande, ricco di foglie; e sotto Cariddi gloriosa l _ acqua livida assorbe. Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe paurosamente. Ah, che tu non sia là quando riassorbe _ .

Possiamo definire con una certa sicurezza Poseidone come un dio oscuro con la possibilità di redenzione. In particolare lo si può notare dal forte aspetto fallimentare dovuto dalle sue relazioni e dalle sue conquiste, come avvenne con la città di Atene e di Trezene, disputata con Atena, con Nasso, che cercò di sottrarre a Dioniso, con Corinto, di proprietà di Elio e dell'Argolide, che invece era sotto il dominio di Era. In questa ultima disputa quando venne indetto un giudizio olimpico, Poseidone si rifiutò di partecipare in quanto si sentiva vittima di una congiura e percepiva una forte chiusura nei suoi cofronti. Perciò Zeus affidò il tribunale agli dei fluviali Inaco, Cefiso e Asterione, che però parteggiarono contro di lui. Per cercare una vendetta, dato che, memore di ciò che avvenne ad Atene, il Padre degli dei gli aveva impedito di inondare la città, Poseisone seccò tutti i fiumi. Ciò nonostante Platone, nel Crizia lo definisce con sicurezza come patrono della perduta civiltà di Atlantide.

Anche al di fuori delle braccia di Anfitrite il dio dei mari non ebbe molta fortuna, perché spesso i suoi figli erano generati in modo mostruoso e finirono uccisi da altri eroi, come accadde al ciclope Polifemo, avuto dalla ninfa Toosa e accecato da Odisseo; gesto che procurò al re di Itaca, per sua sventura, la perpetua inimicizia del dio dei mari che cercò sempre di ostacolarlo nei suoi viaggi. Ma con Gea Poseidone generò anche uno di quegli stessi giganti che, in seguito, attaccarono l'Olimpo durante la Gigantomachia: Anteo, che era invincibile fintanto che toccava la terra, e che fu sconfitto da Eracle sollevandolo mentre lo strangolava. In questa stessa guerra il dio degli abissi non si trasse in disparte nonostante dovesse trovarsi a combattere contro i suoi figli e anzi, contribuì all'uccisione di Polibote strappando con il tridente un pezzo dell'isola di Coo e scagliandoglielo contro. Una sorte analoga toccò ai figli avuti con Ifimedia, innamoratasi di Poseidone e che rimase gravida versandosi l'acqua del mare sul grembo. I due giganti che nacquero, chiamati Aloidi perché la madre andò in sposa ad Aloeo, figlio di Elio e re beota, crebbero in modo spropositato e si dice che a nove anni dichiararono guerra agli Olimpi giurando sullo Stige (su cui solo gli dei giuravano) che avrebbero preso con la forza le dee olimpiche Era e Artemide.

Questi due giganti, secondo una profezia, non potevano essere uccisi da nessuno, nemmeno da un dio, e grazie a questo potere ritenevano che fosse possibile far breccia sull'Olimpo. Pianificando la loro strategia prima rinchiusero Ares in un magico vaso e poi cercarono di prendere Afrodite, Era ed Atena con la violenza. Le tre dee riuscirono a sfuggire appena in tempo, mentre i giganti impilavano i monti Ossa e Pelio minacciando di gettarli in mare prosciugandolo.

Su suggerimento di Apollo, Artemide mandò un messaggio ad Oto sostenendo che se avesse fermato l'assedio si sarebbe dato a lui. Ma Efialte, geloso, fece partire una disputa e i due cominciarono a litigare quando apparve Artemide sotto forma di cerbiatta. Per dimostrare la propria supremazia sull'altro i due giganti presero a lanciarle giavellotti, ma la dea, saltando continuamente tra loro, li portò a ferirsi e uccidersi da soli, soddisfacendo così la profezia che li voleva impossibili da uccidere da umani o dei.

Molti altri furono figli di Poseidone nacquero come mortali, ma spesso di indole vile e violenta, come Busiride, re d'Egitto e figlio di Menfi, la ninfa del Nilo, e di Epafo, a sua volta figlio di Zeus ed Io, che per divertimento sacrificava viaggiatori a Zeus, il quale non accettava per nulla questi doni e indusse Eracle ad ucciderlo. Amico, ottimo pugile avuto dalla ninfa frassinea Malia, morì per saccenza in uno scontro sportivo contro Polluce, figlio di Zeus, durante il viaggio degli Argonauti, o anche Cercione e Scirone, definiti due malandrini di Corinto, a sua volta vennero uccisi da Teseo, ancora figlio di Poseidone. Per quanto considerato un eroe, nemmeno costui mostrò in realtà un carattere particolarmente altruista in quanto abbandonò Arianna dopo averne sfruttato l'aiuto e l'amore per uccidere il mostruoso Minotauro con facilità. In ultimo ricordiamo Alirrozio, che cercò di violentare Alcippe, e che morì ucciso dal padre di lei Ares e, durante il processo, in assenza di testimoni tranne la stessa figlia del dio della guerra, questi venne assolto.

Quando Perseo, figlio di Zeus, decapitò la Gorgone Medusa, dal sangue sgorgato dal tronco diviso dal capo nacquerò Pegaso, il cavallo alato e Crisaore, entrambi considerati figli di Poseidone. Il secondo, tra tutti, fu forse il figlio più nobile che il dio dei mari potesse vantare ed infatti andava talmente fiero di lui che gli concesse di tenere la sua arma sacra. Crisaore era un eroe giusto, pronto a punire i malvagi per le loro gesta. Unitosi con l'oceanina Calliroe, ebbe da lei Gerione e la mostruosa Echidna che, in seguito ebbero un ruolo nelle dieci fatiche di Eracle.

Poseidone, in quanto dio degli abissi, mantiene un filo conduttore in tutto il suo mito: spesso ci appare come incompreso e ingiuriato per il suo legame con il lato istintuale, imprevedibile e animalesco. Troviamo questo stesso atteggiamento verificarsi anche ai danni di Ares, disonorato in ogni scontro con altri dei e reputato un dio sanguigno e iroso. Il segnale che ci arriva, quindi, è sempre il concetto greco di preferire un atteggiamento distaccato, mentale e riflessivo più che uno istintuale, che spesso invece rimane condannato. La figura tirannide in cui questo dio viene rappresentato è relegata ad un punto di vista aureo e ad un regno dominato dal potere inconscio del sonno della ragione che, come ben si dice, partorisce mostri.

Come possiamo notare, non esiste alcun dio o dea, al di fuori forse di Estia, che non abbia punito in modo divinamente terribile qualche ninfa o essere umano, perciò la crudeltà di Poseidone fa intendere che il frutto, dopotutto, non cade mai troppo lontano dall'albero. Ciò nonostante là dove spesso alcune divinità trovano soddisfazione nella misura della loro vendetta, l'ira di questo dio nei confronti dei suoi nemici è molto più difficile da placare, anche perché spesso viene raggirata dai favori di altre divinità, come accadde con Odisseo, che aveva tenuto lontano da casa per anni come vendetta per la morte di Polifemo. In seguito ad una sua assenza per visitare l'Etiopia, scoprì che Zeus aveva intercesso con Calipso per lasciarlo libero e, al suo ritorno, lo trovò sulla rotta di Itaca. Infuriato, Poseidone lo fece naufragare e per poco non affogò. Tuttavia, mentre il dio tornava al suo palazzo sottomarino, in extremis intervenne Atena, che per lui mostrava una sorta di amore platonico e che lo fece attraccare sull'isola dei Feaci, dove anche gli Argonauti avevano trovato ospitalità. Lì il re dell'isola, Alcinoo, dopo aver ascoltato le gesta dell'eroe, gli diede una nave con cui tornare a casa, finalmente. Poseidone, vedendosi ancora una volta raggirato nei suoi propositi di vendetta, colpì la nave feace che faceva ritorno da Itaca dopo aver sbarcato Odisseo e così facendo la tramutò in pietra con tutto l'equipaggio.

Ancora una volta emerge una forte rivalità tra Atena e Poseidone. Un legame che non passa inosservato. Infatti è interessante notare come, secondo Erodoto, tra i due in realtà corresse una parentela diretta, e che si trattasse quindi di sua figlia, avuta in questo caso dalla ninfa della palude Tritonide, che darebbe anche poi il nome alla dea Tritogenia. In questo troviamo anche un riconoscimento da parte di Pausania. Ma vediamo cosa ci dice Gabriella Ottone nell'articolo: Un episodio della saga di Cadmo alla luce delle tradizioni mitiche di Cirene apparso nel Quaderno di Archeologia promosso e finanziato dal Patrocinio del Dipartimento delle Antichità della Giamahiriyya Araba Libica: "Proprio nella sfera ippica si registra in Cirenaica la convergenza di Posidone con Atena. Significativo pare a questo proposito il frammento di Mnasea desunto dal lessico di Arpocrazione, che afferma che (..) l'Atena Ippia fosse figlia di Posidone e di Corife, la figlia di Oceano, e che per aver apprestato per prima il carro ricevette l'epiteto di 'Ippia'. (...) Anche in questo passo Mnasea ribadiva lo stretto legame tra Posidone, Atena e l'arte ippica, in particolare l'abilità di guidare i carri.

Secondo la testimonianza raccolta da Erodoto, Atena sarebbe nata da Posidone e dalla palude Tritonide e, a causa di uno screzio con il padre, sarebbe stata adottata da Zeus: ancora una volta, quindi, una divinità autoctnona, che lo storico non esitava ad identificare con l'Atena greca, sarebbe stata connotata da legami molto stretti con Posidone, tanto da esserne addirittura la figlia, in contrasto con la più diffusa geneaologia che voleva la dea nata per partenogenesi dalla testa di Zeus. La tradizione della nascita di Atena da Posidone e da Tritonide era conosciuta anche da Pausania, che la riferiva collegandola alla credenza "libica", secondo la quale il colore ceruleo degli occhi della dea sarebbe derivato da quello del padre Posidone.
"

In nessun punto si riesce ad intendere quale fu questo screzio mitologico, ma considerando il carattere con cui viene sempre rappresentata la dea non sarebbe anomalo riflettere sul fatto che, ancora una volta, il culto perfezionista e mentale greco dia risalto ad un'attitudine di favore nei confronti di divinità riflessive più che a dei istintuali.

Una divinità concettualmente simile al padre Tiranno è il norreno Loki. Anch'egli è un padre di mostri, infatti. Anche se ad un primo acchito non appare dominato dalle regole in quanto dio del caos, in realtà è strettamente legato all'equilibrio prima del Ragnarok; egli è infatti il male che deve equilibrare il bene prima della battaglia finale. Se però il male si squilibra è costretto a combattere per ribaltare la situazione perché il suo ruolo è quello dello squilibrio equilibrante. Egli è infatti indipendente, privo di scopo reale se non quello di creare fastidio atto a portare il disequilibrio che serve all'equilibrio per attuarsi.

Loki è un dio particolare, androgino e strettamente legato ad Odino e non suo figlio come molti fanno intendere. Con lui ha un patto di sangue molto particolare. Egli è figlio di Laufey, un'Asi, e di un gigante del gelo: Farbauti. Nacque perché quest'ultimo scagliò un fulmine sulla prima che in seguito partorì Loki. Rimane quindi un dio che mantiene un piede da una parte e uno dall'altra e legato all'imprevedibilità del fuoco stesso. Il suo legame con Odino è narrato nel poema Lokasenna:
 

Ricordati, Odino, che noi due al principio dei tempi

mischiammo il nostro sangue;

birra non avresti mai consumato, dicevi,

se insieme a me non l'avessi presa

 

Ed infatti i due rispecchiano le due facce della stessa medaglia, in quanto se Odino è un dio viaggiatore che si traveste per controllare il mondo, Loki è un dio ingannatore che si traveste per creare scompiglio. Sarebbe inconcepibile vederlo tra gli Asi se non avesse un ruolo reale in quello che deve venire. E Odino, che è a conoscenza di tutto ciò, per questo accetta questa parte distruttiva.

Al contrario quindi di come si pensa Loki non è figlio di Odino, ma più un gemello oscuro. È il Fuoco dove Odino è l'Aria. La concezione di Loki come dio del male è assolutamente limitatoria e sbagliata. Loki sfrutta le sue abilità magiche per i suoi fini e non per ciò che c'è di più alto, ma aiuta Thor a recuperare il martello Mjollnir travestendosi da donna o si trasforma in giumenta per distrarre il cavallo del gigante che costruì le mura di Asgard, impedendogli così di terminare il lavoro in tempo e di ottenere Freya in sposa.

Proprio in questo modo Loki dimostra una duplicità sia maschile che femminile. Ad esempio mutandosi in giumenta venne montato dallo stallone Svaрilf_S ri e generò Sleipnir, il cavallo a otto zampe che Odino conduce in battaglia e che l'ha portato lungo il viaggio per i nove mondi. Rimase incinta mangiando il cuore di una gigantessa bruciata e partorì così le streghe. Ma ebbe anche figli come maschio, sia mostruosi che eroici, a seconda di chi era la sposa, dimostrando così di essere di duplice natura, come la maschera del teatro greco che da un lato piange e dall'altro ride. Ad esempio insieme alla gigantessa Angrboрa ebbe il lupo Fenrir, che venne legato dagli dei con una catena nanica, che mangiò la mano del dio Tyr e che, con l'ingiungere del Crepuscolo degli Dei, divorerà lo stesso Odino. Generò Jцrmungandr, il serpente che con le sue spire avvolge gli oceani attorno a Midgardr e che verrà ucciso da Thor, che come ci narra l'Edda Poetica morirà appena dopo a causa del suo veleno, e infine Hel, la dea della morte dal duplice volto: gelido e decomposto. Ma, come dicevamo, ebbe anche divinità buone da Sigyn, come Vali e Narfi. E sarà proprio Sygin a prendersi cura di lui quando cadrà, punito per l'uccisione di Baldr il magnifico.

Si narra infatti che Baldr ebbe un presagio della sua morte e, informata la madre Frigg e gli altri Asi, la prima chiese e ottenne la promessa da ogni roccia, metallo, umano, animale o pianta e qualsiasi elemento che non avrebbero mai ferito il figlio, rendendolo a tutti gli effetti invulnerabile a qualsiasi ferita o veleno.

Per testare questi suoi nuovi e strabilianti poteri gli dei presero a scagliare addosso al dio ogni tipo di oggetto. Tutti tranne il fratello Hjodr, il dio cieco che non potendo vedere non partecipava. Loki, ingelosito da questo trattamento speciale si tramutò da ancella e si informò con Frigg su ciò che stava avvenendo e ottenne di sapere che la madre non si era premurata di chiedere a tutte le forme di vita di non ferire Baldr. Aveva tralasciato il vischio, in quanto era debole e giovane. Loki trovò un ramo di questa pianta, armò la mano del dio Hjodr, guidò il suo braccio e colpì Baldr in pieno petto, uccidendolo sul colpo. Dopo il primo sgomento iniziale Frigg implorò che un impavido andasse da Hel a chiederle di intercedere affinché Baldr tornasse alla vita. Si offrì quindi Hermodhr che con il cavallo di Odino raggiunse il regno degli inferi dove incontrò la dea che ivi regnava e che accettò di far tornare in vita Baldr solo se le fosse stato dimostrato che tutti lo adoravano e che lo piangevano.

Nel frattempo ad Asgard i funerali di Baldr ebbero luogo e fu preparata la nave con il corpo e la pira, dove fu bruciato anche il suo cavallo. La moglie del dio, Nanna, morì di dolore e fu posizionata a fianco del marito. Per spingere la nave nelle acque fu chiesto l'aiuto di una gigantessa e una volta lì, Thor consacrò la pira accendendola con un fulmine del suo martello.

Non appena Hermodhr tornò, fu inviato un messaggio a chiunque affinché tutti piangessero per Baldr, concedendogli così il ritorno alla vita. E così fu. Tutti piansero. Tutti tranne una. Solo una gigantessa non lo fece, e questo causò la definitiva morte del magnifico e più amato tra gli Asi. E con lui venne ucciso Hjodr, anche se innocente della morte del fratello. Si sospettò che la gigantessa che non mostrò emozioni fosse ancora lo stesso dio delle malefatte, geloso di Baldr che, come era stato predetto da Hel, avrebbe preso il posto di Odino.

Non appena Loki venne scoperto, si nascose al meglio delle sue possibilità, con montagne che gli si facevano intorno. Ma Odino, che vede tutto, lo scovò. Loki si tramutò in un salmone e fu proprio Thor ad afferrarlo. Fu così punito legato ad una pietra con un serpente sopra il capo che gli gocciolerà veleno sul volto fino alla fine del tempo, ossia il Ragnarok. Per salvarlo dal tormento Sigyn si premurò di usare una ciotola per raccogliere il veleno ma, non appena si allontana per svuotarlo, il dolore del veleno che gli cade sulla faccia lo fa urlare e dibattere, causando così terremoti.

Una visione del tutto simile a quella di Loki ci giunge da Seth, il dio del caos per gli egizi. Anche lui venne identificato come il male, ma fu solamente una concezione facile. Fratello di Osiride, Iside e Nefti e figlio di Geb e Nuit, per gelosia organizzò l'uccisione del fratello, dio arboreo, come ci narra Plutarco. Per farlo ideò un piano machiavellico. Invitò molte persone ad un banchetto e fece preparare un sarcofago sulle misure esatte di Osiride, promettendo di regalarlo a chiunque si fosse adagiato perfettamente al suo interno. Ad uno ad uno gli invitati provarono ad entrare e quando toccò ad Osiride i seguaci di Seth si prodigarono a chiudere il coperchio e a sigillarlo, dopodiché il dio lo abbandonò sul Nilo dove andò ad incagliarsi in un canneto nei pressi di Biblo e dove un albero di acacia, crescendo magicamente, lo inglobò nel suo tronco. Il re della città, vedendo l'albero, lo fece tagliare perché divenisse una colonna del suo palazzo.

Iside, impazzita di dolore, cercò il marito in lungo e in largo e quando lo trovò, trasformata in una rondine, volò continuamente nei pressi della colonna lanciando grida strazianti, non attirando però l'attenzione degli abitanti del palazzo. Tramutandosi in nutrice per il piccolo principe riuscì a farsi dare il sarcofago contenuto nella colonna, ma solo dopo essersi rivelata alla regina come Iside. La donna immediatamente si inchinò al suo cospetto e si prodigò a renderle la salma del marito. Nonostante la sua incredibile magia non riuscì a riportare la vita ad Osiride; alitando la vita nel corpo del fratello con le ali del falco in cui si era tramutata fu però ingravidata. La salma del marito venne portata in una palude nei pressi di Buto, ma Seth, mentre era a caccia, la scovò, la scoperchiò e smembrò in quattordici pezzi il corpo di Osiride spargendoli nell'Alto e Basso Egitto. Iside, con l'aiuto di Anubi trovò le parti del corpo del marito tranne il fallo, che era stato ingoiato dall'ossirinco, un pesce che abitava il Nilo e che è proprio l'animale misterioso che rappresenta Seth. In ognuno dei luoghi dove veniva scovata una delle tredici parti di Osiride venne costruito un tempio in suo onore. Osiride venne avvolto nelle bende da Anubi ma rimase legato al mondo dei morti, pertanto non poté più regnare sulla terra, divenendo così il giudice dei defunti.

Nel deserto Iside partorì Horus, crescendolo con l'intento di vendicare il padre. Il bambino rischiò di morire nei primi mesi ma infine si fece forte e quando divenne adulto sfidò Seth che gli cavò un occhio, ma infine lo sconfisse in una battaglia tenutasi nei pressi di Eliopolis e, una volta vinto, Horus lo evirò. A quel punto intervenne Thot che pacificò i due e curò loro le ferite mentre Iside intercesse per la vita del fratello e Horus salì al trono al posto del padre.

Qui però stiamo entrando nel campo dei figli, che tratteremo in un secondo momento. Il punto interessante è quello che accomuna questo mito con altri miti legati alla Grecia, vedasi la ricerca di Iside che diventa nutrice che somiglia moltissimo al mito di Demetra alla ricerca della figlia perduta e del dio che torna alla vita ma rimane legato alla morte, come accade appunto con Persefone. Secondo Diodoro Siculo: "Orfeo portò indietro dagli Egizi la maggior parte delle iniziazioni mistiche, i riti segreti intorno alle sue proprie peregrinazioni e l'invenzione dei miti riguardante l'Ade. Infatti il rito di iniziazione di Osiride è lo stesso di quello di Dioniso, mentre quello di Iside risulta quasi identico a quello di Demetra, e soltanto i nomi sono scambiati. Egli introdusse poi le punizioni degli empi nell'Ade, le praterie per gli uomini pii e la produzione di immagini in presenza delle moltitudine, imitando ciò che accadeva intorno ai luoghi di sepoltura in Egitto".

Il concetto di Seth quindi non è strettamente malvagio. Rappresenta invece semplicemente il ruolo scomodo che qualcuno deve avere per far sì che le cose funzionino e che la luce abbia il suo spazio nel cuore degli uomini. Non per niente il culto osirideo, prima di essere arboreo, era legato alle esondazioni del Nilo. La sua morte per annegamento nel sarcofago di Seth è stata quindi utile ai fini della fertilità dei campi, come anche la sua morte per smembramento riporta al principio di Re Sacro ucciso, fatto e pezzi e sparso per la terra come fertilità. Un concetto che si ritrova ovunque in qualsiasi religione, anche se in modi diversi.