The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

RITI DI PASSAGGIO

 

 

RITI DI PASSAGGIO

 

Il Rito di passaggio è un fenomeno individuato nello studio antropologico più antico. In effetti non trova un riscontro discinto e solamente cultuale e religioso, ma proprio di origine e forza culturale e intrinseco nell'umanità stessa; radicato nelle profondità delle diverse nazioni, delle genti e delle popolazioni. Con il termine "rito di passaggio" si intende un momento rituale di transizione tra uno status sociale ed un altro che viene celebrato come una tappa, un'iniziazione, uno scambio e talvolta una sorta di "staffetta". Alcuni di questi rituali hanno perso, nel passare dei secoli, parte del lato esoterico che contenevano; altri addirittura hanno cambiato aspetto culturale e sono divenuti un peso e una scomodità. Per lo più il rituale di passaggio è legato alla biologia del corpo stesso, allo scorrere del tempo e alle sue metamorfosi, ma alcuni di questi conservano il simbolismo fortemente esoterico che avevano all'inizio.
Il primo rituale di passaggio personale è la nascita. L'introduzione al mondo e quindi il ritorno. Infatti l'iniziazione rituale ripercorre la "rinascita" e la donazione del nome. Essendo però un rituale che, chi nasce non sente come suo in quanto non ha modo, per ovvi motivi, di rendersene conto, il primo rituale che la persona sente come tale è riconducibile quindi al menarca, ossia il momento di prima ovulazione ed espulsione di corpo luteo con flusso mestruale che una ragazza, nei casi estremi di dieci e diciotto anni (ma nella media intorno ai tredici) affronta. Un tempo, prima dell'avvento del patriarcato, quindi nel periodo precristiano, questo evento aveva un grande significato, in quanto una bambina era in grado, da quel momento, di produrre la vita, passando quindi allo stadio di "donna". Ancora adesso, nonostante tutto, soprattutto in alcuni luoghi del nostro paese, c'è l'abitudine a festeggiare il menarca o di coinvolgere tutta la famiglia in questo evento, celebrandolo (anche se in modo contenuto).
Il Cristianesimo, nella sua opera di distruzione dell'iconografia e del simbolismo pagano, non ha risparmiato di certo la donna dalla sua furia, relegandola ad essere un mero strumento di procreazione e incolpandola, per secoli, di essere la causa stessa del male sulla terra, in quanto prima peccatrice.
Miranda Gray, nel suo libro "Luna Rossa", ci insegna come il simbolismo del Rito di Passaggio del menarca non sia esente nemmeno dal vecchio testamento. Infatti, come vediamo, il frutto colto dall'albero della conoscenza, su suggerimento del serpente (da sempre simbolo di saggezza e trasformazione) è, nell'iconografia più diffusa, proprio una mela (anche se la Genesi non nomina in realtà quale sia il frutto effettivo e alcuni ipotizzano sia un melograno o un fico - tutti comunque frutti mestruali al pari del pomo). La mela è un chiaro simbolo femminile. Se tagliate una mela a metà di traverso, vedrete come al suo interno ricordi facilmente una vagina, proprio nelle piccole alcove dove è contenuto il seme, al suo centro. Il seme che, se lasciato nella terra, permetterà la nascita di una nuova pianta. Eva quindi, cogliendo il pomo, ha violato le regole imposte da Dio nel giardino nell'Eden perché, come il serpente le ha spiegato, ha così discinto il bene dal male. In quel momento il suo rito di passaggio era compiuto. Aveva colto il frutto mestruale, la mela. Aveva smesso di essere quindi una donna sterile, da sola con il suo compagno, ed era diventata invece una donna fertile, mestruata e pronta a mettere al mondo dei figli.
"L'albero della vita (il cui ritmico spogliarsi a rinascere ogni anno faceva eco al simbolismo del serpente) della luna e delle donne, era un'immagine di morte seguita dalla rinascita. La storia di Adamo ed Eva parla di due alberi, l'albero della vita e l'albero della conoscenza, separando il concetto della consapevolezza, da parte dell'individuo, del ciclo della vita e della rinascita dal ciclo della natura. Eva, tuttavia, unisce queste idee cogliendo il frutto. Prendendolo, ella assume la natura ciclica e si unisce ai ritmi della natura e dell'universo diventando conscia, a livello personale, della connessione di questi ritmi con i cicli della vita.
"Questo dono, che avrebbe dovuto essere interpretato come apportatore di conoscenza della vita, della morte e della rinascita attraverso il ciclo della donna, fu invece percepito come simbolo di tradimento da parte della donna che portava il male e la morte nel mondo. Le mestruazioni di Eva e la susseguente espulsione dal giardino dell'Eden, divennero causa di morte in questo mondo, vista come fine piuttosto che come parte di un ciclo continuo. Il dono venne ulteriormente frainteso e così la sessualità e la fertilità che derivavano dal ciclo femminile vennero visti come peccaminosi; tutti gli esseri umani, quindi, nascendo da un utero femminile, ereditavano il male insito in esso: il peccato originale. Il dono delle donne divenne così, una maledizione."

In alcune culture africane la donna mestruata è addirittura considerata "malata"; viene isolata in una capanna da sola per l'intero periodo del ciclo, le viene impedito di toccare il cibo o l'acqua per il terrore che li possa avvelenare. In alcuni luoghi viene messa in una gabbia e tenuta sollevata dal terreno. Anche il cristianesimo vede la donna come "macchiata" a causa delle mestruazioni e non ne riconosce in realtà il grande potere magico-esoterico in esse eclissato. O forse, meglio, lo riconosce eccome, ma non lo accetta come tale e tenta di condannarlo, quando, secondo la logica, anche le sante erano mestruate e anche Maria, pur (seguendo il mito) fecondata per immacolata concezione, era una donna come le altre e in quanto tale, in età da figli, doveva avere il mestruo.
In un ciclo vitale come quello delle femmine umane, abbiamo l'aspetto lunare dei tre riti di passaggio, legati tutti alla sessualità: il menarca, la gravidanza e la menopausa. Due di questi vengono affrontati da tutte le donne indistintamente. Il secondo è un rito che implica il coinvolgimento di un maschio umano che abbia già passato il suo primo rito di passaggio: la polluzione, quindi non sempre avviene che una donna lo affronti.
Il rituale di passaggio quindi è noto con questo nome perché rappresenta una tappa nella vita biologica di una persona; conoscerle ci permette di conoscere indicativamente l'andamento della nostra vita dalla nascita alla morte e di vivere questo scorrere in modo più sereno.
Questo tipo di rito è stato riconosciuto per la prima volta dall'etnologo Arnold Van Gennep nel 1909 e descritto da lui stesso anche come una prova da superare per entrare a far parte di un gruppo, una vera e propria iniziazione. Considerando quanto, nel mondo in cui viviamo, si possa percepire la netta distinzione tra quello che è considerato il "mondo sacro" e il "mondo profano", ci pare quasi logico che, il percepirli ancora come qualcosa di similare ad un unico modus vivendi sia lontano dalla concezione generale. Le chiese, come luoghi di culto più noti e diffusi, hanno mura e portoni e chiudono il divino separandolo dalla vita, i cimiteri sono cintati e hanno guardiani notturni, le stesse tombe sono sigillate in un modo quasi apostata considerando la stessa visione avuta da Paolo nell'Apocalisse, secondo la quale i morti torneranno in vita per subire il giudizio universale.
Un tempo, forse non così lontano, la distinzione tra i due mondi non era così netta. Tutto ciò che capitava agli esseri umani, dalla nascita alla morte, era legato al lato "sacro", in quanto si era legati ad un ciclo naturale che ci permetteva di evolverci come individui e come clan, o comunità in modo similare e non distaccato. Arnold Van Gennep, come abbiamo visto, professore di Etnologia vissuto a cavallo del secolo scorso, sostenne una tesi secondo cui la vita stessa di chi fa parte di una comunità consiste nel passaggio da un'età ad un'altra e da una mansione ad una seguente. Nel momento in cui questi passaggi si tengono tra gruppi separati è necessario che questa fase transitoria venga condotta da "atti peculiari", così li chiama Van Gennep. Questi "atti", sono gli stessi riti di passaggio che permettono ad una società di salvaguardare se stessa da vari tipi di disagi. Nelle culture primitive e tribali i riti di passaggio sono ancora attivi e la vita dell'individuo, suddivisa in diversi stadi, permette una crescita e una consapevolezza più sana e facile. Gennep prevede sette stadi iniziatici per il singolo individuo: la nascita, la pubertà sociale, il matrimonio, la paternità/maternità, la progressione di classe, la specializzazione di occupazione ed infine la morte. Ad ognuna di queste tappe corrisponde una cerimonia; tutte con un unico semplice fine: permettere ad un invididuo appartenente ad una società inserita in una data cultura di transitare da una determinata situazione sociale ad un'altra. Per quanto il fine sia identico, i mezzi per ottenerlo cambieranno a seconda delle diverse tipologie rituali. Avranno delle analogie, in quanto spesso la tappa superiore conterrà dentro sé le esperienze di quelle che l'hanno preceduta.
Ogni rito di passaggio quindi, ha dentro di sé una simbologia di tipo iniziatico oltre che religioso e quindi magico. In questo caso tra i vari riti di passaggio, si nota una certa "sequenza cerimoniale", ossia un percorso, un sentiero iniziatico che raggruppa al suo interno "riti perliminari", "riti liminari" e "postliminari", ossia di separazione, di margine e di aggregazione.
Nella cultura moderna, i riti di passaggio che hanno lasciato il loro segno ancora percepibile nel passare del tempo sono appunto: la nascita, il menarca/la polluzione, la maggiore età, (il diploma di maturità - la laurea), il matrimonio (con annesso un rito preparatorio - addio al celibato/nubilato), la maternità/paternità e la morte. Per quanto all'apparenza il termine "rituale" magari non ci appaia come adeguato per riferirsi a questi eventi, basta solo uno scorcio per renderci conto quanto in realtà rechino con loro un grande simbolismo.
Oltre la nascita, che combacia con il rito della maternità/paternità e che riconduce, per gli ebrei alla circoncisione, il menarca o la polluzione recano con loro la prima scoperta della sessualità, la condivisione della metamorfosi del proprio corpo dall'infanzia all'età adolescenziale. Nelle culture primitive, che ancora legano il "mondo sacro" al "mondo profano" senza fare distinzioni, troviamo come sia significativo il rituale di "ingresso" nel mondo degli adulti, spesso mediante una prova da superare. Alcune tribù dell'Africa nera prevedono un rituale di fustigazione pubblica di giovani, sia ragazzi che ragazze, in modi e luoghi diversi. Il comun denominatore è che nessuno deve emettere un suono. Questo li rende appetibili all'altro sesso che li seglieranno come mariti/mogli. Anche l'infibulazione, uno dei rituali più atroci e disumani mai ideati, ossia la mutilazione in modo "artigianale" di alcune parti dell'organo genitale femminile (clitoride, piccole labbra e parte delle grandi labbra) con conseguente cauterizzazione e sutura della vulva stessa, prevede che sia svolta senza che la donna infibulata possa emettere un solo gemito. Questa pratica, tuttora diffusissima in Africa, soprattutto Somalia, nella penisola arabica e nel sud-est asiatico, ha un riscontro ancora nell'antico Egitto e ha il preciso scopo di conservare la verginità della sposa e di impedire alla donna di provare piacere durante i rapporti sessuali. Meno macabre o sanguinarie sono le tradizioni di popolazioni africane come quella degli etiopi Hamer. Dal sito Ethiopia.it: "Le donne, quando si sposano, si chiudono attorno al collo un pesante collana di pelle e metallo. Le ragazze nubili invece hanno un disco metallico infilato fra i cappelli.
Il rito di iniziazione tra gli Hamer si chiama "salto del toro". Il ragazzo destinato a crescere deve saltare, correndo sulla loro schiena e senza cadere, una decina di buoi affiancati per quattro volte. È una cerimonia lunga e complessa. Il ragazzo viene incoraggiato a aiutato nelle preparazioni al rito dai suoi amici "maz" che hanno già saltato il toro. Le giovani parenti invece dovranno farsi frustare dai maz per dimostrare il loro affetto. Le cicatrici sono un orgoglio per le giovani donne. Il ragazzo percorre il sentiero verso la radura dove salterà portando in mano un bastone a forma di fallo che viene baciato tre volte da ogni giovane donna in segno di benedizione.
Se il ragazzo non riuscirà nel salto (è permessa una caduta) sarà preso in giro per tutta la vita e non avrà futuro. Se la corsa avrà successo il ragazzo diventerà maz e comincerà il suo lungo cammino nella struttura sociale della sua etnia."
Spesso le favole stesse recano con loro un forte significato esoterico riguardante i riti di passaggio. Per lo più anche perché queste favole fanno perdere le loro radici nelle antiche tradizioni folkloristiche delle popolazioni originarie che le hanno create per passare informazioni in modo più diretto a bambini e adolescenti. Alcune di queste favole, come Biancaneve, la Bella Addormentata nel Bosco e la Sirenetta hanno dentro loro una chiara connotazione di "rito di passaggio" e metamorfosi iniziatica. Le prime due mediante l'uso di simbolismi lunari e mestruali, quali la mela, il sanguinamento, il fuso, la strega, la morte (apparente), il risveglio e ovviamente il dolore. L'altra invece, la Sirenetta, ha una connotazione meno simbolica ma più vicina in realtà al messaggio. Nel fondale marino il Regno era gestito in modo matriarcale, nonostante ci fosse un Re del Mare. La regina madre infatti portava su di sé il segno del comando sotto la forma di dodici ostriche attaccate alla coda squamosa. Alle sirene, figlie del Re, era consentito andare in superficie solamente all'età di quindici anni, indicativamente nel periodo del menarca. Quando toccò alla protagonista (solo nel film porta nome di Ariel) la nonna le adornò il capo con una corona di perle e la coda con otto ostriche, nonostante ai nobili fosse concesso portarne solo sei: "Finalmente compì quindici anni. «Adesso sei grande anche tu!» disse la nonna, la vecchia regina vedova. «Vieni! Lascia che ti adorni, come le tue sorelle» e le mise una coroncina di gigli bianchi sui capelli, ma ogni petalo di fiore era formato da mezza perla; poi la vecchia fissò sulla coda della principessa otto grosse ostriche, per mostrare il suo alto casato. «Ma fa male!» disse la sirenetta. «Bisogna pur soffrire un po' per essere belli!» rispose la vecchia. Oh! Come avrebbe voluto togliersi di dosso tutti quegli ornamenti e quella pesante corona! I fiori rossi della sua aiuola la avrebbero adornata molto meglio, ma non osò cambiare le cose. «Addio!» esclamò, e salì leggera come una bolla d'aria attraverso l'acqua."
Vediamo come qui viene riconosciuto un momento preciso, secondo il quale viene concesso l'accesso ad un mondo di superficie e che prevede una "sofferenza" e una "vestizione": i gigli e le conchiglie che fanno male quando applicate. In questo caso, il rito di passaggio è chiaro.
Ma troviamo qualcosa di simile in una delle saghe più note e più intrise di esoterismo degli ultimi tempi: "Harry Potter", dell'autrice inglese Joanne Kathleen Rowling. Il simbolismo dell'intera saga è molto forte, ma mi dedicherò solo ad un ultimo passaggio. Nel sesto libro della saga: "Harry Potter e il Principe Mezzosangue", il protagonista è in una fase particolare: l'adolescenza. Contemporaneamente il suo destino si sta delineando e il suo prevedibile scontro mortale con il Signore Oscuro si avvicina. Insieme con il preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts e amico Albus Dumbledore (Silente nella versione italiana) Harry si reca nella caverna sulla scogliera dove il grande mago riteneva si trovasse uno degli Horcrux di Voldemort (oggetti magici di grande valore e legati alla vita del mago oscuro). Dopo aver versato del sangue come pegno, i due si ritrovano sulle rive di un lago oscuro che devono attraversare con una barca per raggiungere un isolotto situato al suo centro. L'attraversamento dell'acqua richiama il viaggio iniziatico negli inferi (Dante, Eracle, Perseo, Teseo, Ulisse, Orfeo) e l'innalzamento ad uno stadio superiore. Infatti se all'andata era il Grande Mago bianco a guidare Harry, al ritorno era quest'ultimo che sosteneva il preside e lo riportava indietro. "Non ho paura, perché sono qui con te", dice Dumbledore all'uscita della caverna. Ecco che Harry qui inverte il suo ruolo con l'insegnante e diviene lui il salvatore, ossia colui che detiene la torcia dell'illuminazione che li guida fuori dalle tenebre e poi verso casa. Un chiaro messaggio questo, del rito di passaggio che lo introduce alla vita di "insegnante" e "mago". Infatti, nella scena seguente, Albus Dumbledore si sacrifica facendosi uccidere sulla cima del castello, completando il suo ciclo e permettendo così ad Harry di passare allo stadio superiore.
Nei culti tribali abbiamo riti di passaggio iniziatici molto forti, soprattutto per quanto riguarda la maggiore età. In Congo, nell'Africa nera, risiede la tribù degli Anyoto che ha al suo interno una vera e propria setta, chiamata "Uomini Leopardo". Nel secolo scorso, nel Congo-Belga, la setta svolgeva un rito cruento e sanguinario che prevedeva l'antropofagia e l'omicidio rituale di un parente stretto (in genere il fratello) come rituale iniziatico. L'omicidio prevedeva la vestizione con una pelle dei leopardo e l'uso di artigli in legno simili nella forma e nell'uso a quelli del felino, con i quali venivano smembrate le vittime. Questo rito iniziatico annesso all'omicidio rituale non si svolge più ma è ancora attivo il rito magico e cerimoniale della vestizione e quello iniziatico dei giovani uomini, i quali vengono lasciati nella giungla dove lo spirito totemico del leopardo li verrà a trovare. Ciò che accade e ciò che vedono nella giungla non può essere rivelato pena l'uccisione.
Molte tribù di nativi americani praticavano invece la "Danza del Sole" o "O-Kee-Pa". Si trattava di un rito iniziatico e una prova di virilità che durava quattro giorni in privazione di cibo. Durante il primo camminavano intorno alla capanna seguendo così il movimento solare; il secondo giorno invece suonavano un fischietto d'osso che imitava così il richiamo del signore delle piogge, un uccello noto come "uccello del tuono" o Wakinyan. Questo uccello veniva anche rappresentato sui totem e veniva raffigurato con denti nel becco ricurvo e ali dal piumaggio colorato. Il quarto e quinto giorno i giovani americani si favano impiantare sottopelle degli artigli di aquila o dei pezzi di legno grazie ai quali si facevano poi appendere ad un albero di pioppo cottonwood dove rimanevano a soffrire dolorosamente in onore al sole, in quanto sacrificio di sangue e carne, finché la pelle non si lacerava. Per sopportare l'indicibile sofferenza, i giovani virtuosi cadevano in uno stato di trance.
Anche questo tipo di rito di passagio è stato in seguito abolito con la cristianizzazione degli States da parte degli europei, ma secondo alcuni fu una mossa più politica che evangelica, come ci fa notare Marco Massignan nel suo libro: "La Danza del Sole dei Lakota": "Nel 1881, nove anni prima del massacro di Wounded Knee, il governo federale statunitense aveva emanato una legge che proibiva l'esecuzione della Danza del Sole. Nell'estate 1882 l'agente governativo del B.I.A. (Ufficio degli Affari indiani) di Standing Rock, James McLaughlin, si disse convinto di aver cancellato per sempre la Danza del Sole Lakota dalla storia. [...] Nel 1904 fu emessa una legge che proibiva specificatamente tale cerimonia. La Circolare n. 1655, datata 26 aprile 1921 e depositata presso i National Archives di Washington, D.C., tratta delle danze indiane e contiene la seguente affermazione: «La danza del sole e tutte le danze similari e cosiddette cerimonie religiose sono da considerarsi "Crimini Indiani" secondo le leggi vigenti. Vengono stabilite a seconda del caso punizioni correttive». Uno dei pochi funzionari americani che possedesse una certa obiettività, John Collier, ammise in seguito che «dal 1870, lo scopo principale degli Stati Uniti fu quello di disperdere le comunità di indiani delle praterie distruggendone la religione. Forse nessun'altra persecuzione religiosa fu mai altrettanto implacabile o condotta con altrettanta varietà di espedienti»."
Un rituale di passaggio tuttora in voga e che richiama una forte risposta da parte di tutto il mondo è la mattanza di cetacei che si tiene in Danimarca, esattamente nelle isole Far Oer. Questa tradizione iniziatica ci riporta indietro di 1200 anni. In quelle isole si uccidevano cetacei per ottenere olio, cordame, galleggianti e carne. Ad adesso questa rimane solamente una barbara dimostrazione di inciviltà che con i riti iniziatici e di passaggio ha poco da spartire. Infatti il rituale è stato sospeso fino al 1709 quando è stato reintrodotto. Ogni anno avviene infatti questa "festa" nazionale. Quando i delfini pilota, un tipo di cetaceo che migra in questo periodo, passa in branchi da quelle parti, viene attirato con delle barche nelle baie, causando così gravi problemi di orientamento e sostentamento, oltre che di riproduzione. Una volta bloccati e spiaggiati, ecco che avviene un vero e proprio massacro che tinge l'acqua del colore del sangue. Giovani che si affacciano sulla via adulta arpionano con uncini le balene, le trascinano a riva e poi le massacrano senza alcuna pietà a colpi di accetta e coltello, spesso violando le leggi sull'uccisione di questi animali (previa pesca) che prevedono il taglio netto della spina dorsale e dell'arteria in modo che muoiano in dieci secondi circa.
I riti di passaggio, come abbiamo visto, sono tuttora attivi, vivi e vegeti nelle culture di ogni parte del globo sotto la forma di iniziazione pseudomisterica ad un nuovo stadio della vita umana. A volte questa iniziazione ha stampo religioso, a volte solo culturale. Ma in ogni caso fa parte del retaggio che, come esseri umani, ci portiamo dentro dal principio dei tempi