The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

YULE

 

Yule - La Ruota Solare

L'Origine di Yule

Nel nostro giro lungo i raggi che compongono la ruota dell'anno, la seconda festività che incontriamo è Yule, la prima delle quattro feste che seguono l'andamento del sole nel cielo e che coincide con il solstizio invernale.
Il termine stesso che usiamo per riferirci a questa festività, "Yule", ha un'etimologia di origine anglosassone e secondo Beda il Venerabile, deriverebbe dal lemma J
ōl, originario germanico che, secondo i glottologi attuali, potrebbe risalire a radici linguistiche proto-indoeuropee. Dalle ricerche incrociate che ho fatto è collegato al norreno Hjòl che significa "ruota" e che trova anche una relazione con la runa Jera che, come osserva ddrwydd nel suo articolo sull’etimologia delle rune: (..) già, nell'antica lingua proto-indoeuropea da cui si pensa abbiano avuto origine la maggior parte dei dialetti e lingue occidentali ha il significato di "ciclo annuale" o "stagione". Troviamo analoghe forme foniche in tutte le le lingue ed in ogni epoca, in cui la radice originaria *yer-/*yor- si diffuse mantenendo comunque il valore di "anno", o "stagione", o "periodo determinato". Si va dall'Avestano yare all'inglese year, passando per il proto-Germanico *jæram-, al Gotico jer, e poi l'Antico Frisone ger, l'Olandese jaar e il Tedesco Jahr, sempre col medesimo significato di "anno". 
Il glifo di Jera, con il suo andamento quasi a spirale, è certamente attinente al suo contenuto simbolico di periodo annuale. Interrogato a riguardo ddrwydd mi ha esposto la sua teoria a conferma di questa associazione, sostenendo che la posizione nel Futhark antico germanico di Jera al dodicesimo posto e di Dagaz al ventiquattresimo crea una similitudine tra i due solstizi. Yule è l'inizio di un nuovo ciclo solare, quindi Jera lo simboleggia alla perfezione. Su un sito segnalatomi dallo stesso ddrwydd leggiamo che Jera è la runa legata all'ora 23.30-00.30 e della quindicina che va dal 13 dicembre al 28 dicembre. Questa runa è associata agli dei nordici Baldur, Hudur e Loki e ha il duplice significato di gioia e celebrazione. Jera rimette quindi in circolo le energie, mentre Dagaz le trasforma come nei campi le piante si trasformano e donano frutti in estate.
Questo termine può significare anche semplicemente "Equilibrio” ma Jul è utilizzato nei paesi scandinavi per riferirsi al Natale e le feste invernali in genere: infatti il folletto natalizio in Danimarca è noto come Julenisse e Santa Claus (alias Babbo Natale) è Julemand. In Germania Yule è nota anche come Mothernacht, ossia: "Notte della Madre", ma per i germani, cui si fa risalire l’etimologia originale, la festa durava dodici giorni ed era nota proprio come geōl. Sono questi dodici giorni che andrebbero a richiamare il periodo natalizio attuale che va dal 25 al 6 di gennaio.

Non è anomalo trovare un altro nome legato a Yule e al solstizio: Farlas. Quello che ad un primo momento potrebbe apparire un altro modo di chiamare la stessa cosa invece è legato agli angeli, figure un po' dubbie per il paganesimo. Nella tavola delle corrispondenze del Liber 777 di Aleister Crowley troviamo che l'angelo legato all'inverno avesse appunto nome Farlas. I nomi citati nel Liber sono stati conformati all'Heptameron, l'opera di Pietro d'Abano del tredicesimo secolo utile ad evocare gli spiriti planetari per ottenere beni materiali a seconda di quali siano i diversi poteri degli stessi. Gli altri sarebbero Taloi per la Primavera (equinozio), Casmaran per l'estate (solstizio) e Adarael per l'autunno (equinozio). Quattro stagioni, quattro arcangeli, quattro evangelisti e quattro elementi. L'arcangelo, legato nella tradizione Cabalistica alla festa invernale è Raffaele, l'arcangelo della guarigione, legato all'elemento aria.
Nella sua origine celtica Yule è stata definita nel neodruidismo come una delle quattro feste della luce, o i quattro Alban. È infatti chiamata Alban Arthan, che in gaelico significa "Luce dell'Inverno". A Yule si festeggia la nascita del figlio divino, Mabon. Al contrario di altre festività prettamente celtiche (come i sabba maggiori), questa ricorrenza è diffusa in tutto il mondo e onora il momento in cui il Sole torna a nascere. Al contrario del solstizio d'estate, nella notte del solstizio d'inverno l'oscurità è alla sua massima estensione e la luce nella sua minima durata. In quanto festa di tipo prettamente astronomico la data rimane fissa intorno al 20, 21 di dicembre nell'emisfero boreale della Terra, quindi in Europa, e a giugno nell'emisfero australe.
Nell'epoca in cui viviamo attualmente, dato che conosciamo la struttura del nostro sistema solare e il movimento degli astri nel cielo, ci è chiaro come l'effetto che abbiamo di vicinanza del Sole sia relativo alla posizione del suo moto apparente lungo l'eclittica e all'inclinazione dell'asse terrestre rispetto alla stessa. Per un popolo che non aveva ben chiaro questo movimento però non era assolutamente assodato che il Sole sarebbe "tornato": perciò festeggiavano il momento in cui rinasceva, portando con sé la luce, il calore e la vita che scacciava l'oscurità dell'inverno con il suo bagaglio di insicurezza e morte.
Il Solstizio, come dicevamo, era festeggiato in qualsiasi parte del mondo. Nel tardo Impero Romano era noto come Deus Sol Invictus, ossia il Dio Sole Invincibile, e ci si riferiva in questo modo a tre diverse divinità solari: Sol, Mitra e Gabal. L'origine però pare essere più antica ancora e risalire agli etruschi. La sua introduzione nel culto dell'Impero Romano avvenne ad opera dell'imperatore Aureliano, il quale, sconfitto il Regno nemico di Palmira nel 272 grazie all'ausilio della città stato di Emesa, convinse i suoi sottoposti di aver avuto una visione del dio Sole che era accorso in aiuto delle truppe in battaglia e trasferì così in suo onore il culto solare della città a Roma, ponendolo anche come un forte motivo di coesione politica e ufficializzò il dies natalis solis invictis, ossia il giorno in cui nasce il sole invincibile.
Il culto Solare, specialmente mitraico, giungeva invece dall'oriente ed era diffuso ovunque. Il culto romano di Mitra, che alcuni imperatori vollero infine come religione ufficiale, aveva tuttavia di persiano o iraniano solo il nome, quando in realtà aveva ben poco in comune con quello originale mediorientale. Secondo Ipparco da Nicea, che scoprì la precessione degli equinozi, Mitra era il dio che ne causava il fenomeno. Interessante è il fatto che nel periodo in cui questo culto era diffuso il Toro, il Cane e lo Scorpione fossero le costellazioni che si trovavano sull'equatore celeste e il culto di Mitra imponesse l'uccisione del toro sacrificale, nota come tauroctonia. In una raffigurazione in bassorilievo dello stesso Dio che sgozza il toro viene anche rappresentato il cane che beve il sangue sgorgante dalla ferita al collo e lo scorpione che ne attacca con le chele i testicoli.
Il Mitra vedico nasce durante il solstizio d'inverno dentro una grotta, partorito dalla materia primordiale, la prima madre, la materia vergine, e porta con sé la luce del Sole. Quando durante il concilio di Nicea venne discussa la data della nascita di Gesù Cristo, Ippolito di Roma propose di sovrapporre il culto dei Saturnalia romani a quello dei natali del figlio di Dio nella religione cristiana, facendo combaciare molto del mito mitraico e romanico con questa nuova religione in via di consolidamento. Negli unici due vangeli di cui si narra la nascita di Gesù Cristo, (Luca e Matteo) è possibile trovare un solo punto di riferimento utile a stabilire quale fosse la data effettiva dei natali: (Luca 2,6-8) 2:6 Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire; 2:7 ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto. 2:8 In quella stessa regione c'erano anche dei pastori. Essi passavano la notte all'aperto per fare la guardia al loro gregge. 
Questo passo, che parla di pascoli, ci fa capire che il periodo della nascita di Gesù è tra aprile e marzo, ossia primavera, non inverno inoltrato: la scelta di far coincidere la nascita di Gesù con il Solstizio d'Inverno è di conseguenza prettamente politica.
Un ulteriore fatto interessante è che di tutti santi martiri che vengono ricordati nel calendario Giuliano, le uniche due date di cui non viene commemorata una morte bensì una nascita sono il 24 dicembre e il 24 giugno, rispettivamente S.S. Natale e S. Giovanni. Ricordiamo infatti che Giovanni Battista era colui che aveva battezzato nel Giordano lo stesso Gesù Cristo e che, per un certo periodo, godeva di una notorietà quasi paritaria al nazareno. Come leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni (3, 25-30): "25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo la purificazione. 26Andarono perciò da Giovanni e gli dissero: "Rabbì, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai reso testimonianza, ecco sta battezzando e tutti accorrono a lui". 27Giovanni rispose: "Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. 29Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. 30Egli deve crescere e io invece diminuire."
Questa è una curiosa similitudine con il solstizio. Paragonando Giovanni e Cristo come due diversi Soli (in linea teorica e mitica), verso la fine del regno di Giovanni "Egli deve crescere e io invece diminuire". Questa stessa similitudine la troviamo nella tradizione del Re Quercia e del Re Agrifoglio, fratelli ed ognuno patrono di una metà dell'anno. Ad ogni solstizio i due re si affrontano e uno uccide simbolicamente l'altro, che si reca nel regno sotterraneo dove riprende le forze per uccidere il fratello al solstizio seguente. A Yule il Re Quercia viene incoronato, uccide il Re Agrifoglio e regna per sei mesi sul trono della luce, essendo il patrono della metà luminosa dell'anno, attendendo di essere privato del regno e della corona dal fratello che lo ucciderà al solstizio d'estate.
James Frazer nel suo Il Ramo D'Oro crea un legame ulteriore tra il solstizio e la nascita di Gesù Cristo avvicinando quest'ultimo al Dio Grano, il Signore del Raccolto. Sosteneva infatti che egli fosse una trasposizione di Tammuz, il dio babilonese che muore e si rigenera per favorire la fertilità della terra, sposo di Inannà, la quale discende negli inferi quando lui nasce. Vi è un parallelismo anche con lo stesso Dumuzi mesopotamico e l'assiro Adonis, marito di Ishtar e poi in seguito il greco Adone; tutti dèi del sacrificio e del raccolto; aspetti che anche Gesù avrebbe preso, in quanto divinità solare. A confermare questa teoria c'è il rito della comunione e transustanziazione del pane in corpo divino che viene sacrificato per nutrire il popolo e lo stesso nome della città dove sarebbe nato: Betlemme, che significa "casa del pane".
Nel culto celtico l’attuale neodruidico Alban Arthan è legato al culto dell'Orso, Arthios, quindi ad Artù, il mitico condottiero che unì i popoli grazie all'ausilio della spada Excalibur. Qui torniamo al mito del Re-Dio che si sacrifica per la fertilità della terra, su cui Margaret Murray ha basato i suoi studi utili alla stesura del libro Il Dio delle Streghe. Artù simbolizza il Sole che nasce e muore, e proprio come l'orso, secondo il mito arturiano, egli attende in una grotta, dormendo nella montagna finché il suo popolo non lo chiamerà ancora in aiuto.
Il culto di Yule è anche legato al simbolismo dell'immortalità del Sole, che per i popoli germanici era rappresentato con l'abete. Questo albero, essendo un sempreverde, non ha un ciclo di "morte e rinascita", bensì non smette mai di vivere. Non per niente è uno dei nove legni sacri della tradizione druidica. È stata questa stessa visione e questo legame con il culto solare che ha permesso di legare a doppio filo l'abete di Yule all'albero di Natale che ancora adesso si trova in quasi tutte le case e che ha quindi un chiarissimo legame con il paganesimo. Le luci che vengono usate per addobbare l'abete ricordano simbolicamente il preciso momento in cui il Sole nasce nei luoghi freddi e impervi del nord del mondo a riportare la luce che scaccia l'oscurità e si alza all'orizzonte a nord-est, passa tra i rami degli abeti colmi di neve facendo splendere i ghiaccioli come se fossero imperlati di diamanti; quando poi si alza sopra la punta di questi abeti ecco la stella che rappresentava la nascita del Sole sulla cima estrema: un simbolo solare che ancora oggi è usato in modo simbolico.
Un ulteriore simbolismo lo troviamo nelle porte solstiziali alle quali stava di guardia Giano Bifronte, il dio patrono degli ingressi e degli archi. Come vedremo anche nell'articolo sul Solstizio d'Estate, nel tredicesimo canto dell'Odissea Omero parla di una grotta sull'isola di Itaca all'interno della quale si potevano trovare due porte, una rivolta a Nord, Borea, e una a Sud, Noto. Queste due posizioni erano legate ai solstizi e queste stesse porte erano riservate agli uomini (quella a Nord, quando il Sole si trova a settentrione dell'equatore celeste) e agli dei (quella a sud, quando invece il Sole si trova a meridione dell'equatore celeste): "Come spuntò il lucentissimo astro che più di ogni altro annuncia col suo arrivo la luce aurorale dell’alba, all’isola allora approdò la nave che valica i mari. Un porto vi è dedicato a Forco, il vecchio del mare, nel territorio d’Itaca, due promontori sporgenti in esso vi sono, scoscesi, che incombono proprio sul porto: chiudono i grandi flutti gonfiati da venti impetuosi all’esterno; ma dentro senza gomena stanno le navi dai solidi banchi, arrivate al posto d’ormeggio. In testa al porto un olivo c’è dalle lunghe foglie e un antro vicino ad esso amabile per la frescura, consacrato alle ninfe che Naiadi sono chiamate. Dentro vi sono crateri e anfore a manico doppio, fatti di pietra, e lì costruiscono i favi le api. Ci sono telai di pietra altissimi dove le ninfe tessono manti di porpora, meravigliosi a vedersi: e vi sono acque perenni. Vi sono anche due porte, l’una è posta a Borea, che è accessibile agli uomini, l’altra a Noto, agli dèi riservata: né affatto per questa entrano gli uomini, ma dei numi immortali è l’accesso"
Questo stesso richiamo alle porte ci arriva anche nella posizione dei festeggiamenti legati ai due santi patroni cristiani, i due Giovanni, il battista e l'evangelista. Come abbiamo visto poco sopra il Battista era legato al Cristo in modo particolare e come si riteneva che il messia dovesse "crescere", lui dovesse invece "diminuire". Ma c'è un altro Giovanni che è legato in questo caso al Solstizio d'Inverno: l'evangelista. Nel suo caso il dies natalis non è posizionato in coincidenza con il Solstizio in quanto in quella data a Roma si venerava già il Sol Invictus, la nascita di Mitra e quindi in seguito anche la natalità di Gesù Cristo, ma è stata posizionata due giorni dopo, il 27 di dicembre. Nonostante questo è interessante notare, come ci racconta Alfredo Cattabiani, l'assonanza tra la matrice etimologica del nome Giovanni con quella di Giano (Johannes e Janus) il guardiano delle porte solstiziali. È quindi possibile presumere, come fa René Guenon nel suo Simboli della Scienza Sacra, che le due metà dell'anno legate al crescere e al decrescere del potere e del calore solare fossero legate a due aspetti divini come due facce della stessa medaglia (Giano Bifronte appunto) e che la metà crescente (da Solstizio d'Inverno a quello Estivo) fosse determinatamente "felice" mentre quella decrescente (dal Solstizio d'Estate a quello Invernale) fosse invece "triste". Da qui nascerebbe anche il modo di apostrofare i due Santi legati ai solstizi, battista ed evangelista, rispettivamente come il "Giovanni che Piange" e il "Giovanni che Ride".
A questo punto possiamo giungere ad una visione relativa di un asse solstiziale che va da nord (Borea, porta degli dei, solstizio d'inverno) a sud (Noto, porta degli uomini, solstizio d'estate) che incrocia quella equinoziale che va da est (Equinozio di primavera) a ovest (equinozio d'autunno) e che si rapporta ad una corrispondenza stessa di un'asse polare, dove, come ci fa notare Guenon, "secondo la corrispondenza del simbolismo temporale con il simbolismo spaziale dei punti cardinali, il solstizio d'inverno è in certo modo il polo nord dell'anno, e il solstizio d'estate il polo sud, mentre i due equinozi di primavera e d'autunno corrispondono rispettivamente all'est e all'ovest. Tuttavia, nel simbolismo vedico, la porta del deva-loka è situata a nord-est, e quella del pitri-loka a sud-ovest; ma ciò deve essere considerato solo un'indicazione più esplicita del senso secondo cui si effettua il cammino del ciclo annuale. Infatti conformemente alla corrispondenza appena menzionata, il periodo "ascendente" si svolge andando da nord a est, e poi da est a sud; allo stesso modo, il periodo "discendente" si svolge andando da sud a ovest e poi da ovest a nord; si potrebbe quindi dire, con precisione ancora maggiore, che la "porta degli dei" è situata a nord ma rivolta verso est, lato che è sempre ritenuto quello della luce e della vita, e la "porta degli uomini" è situata a sud e rivolta verso ovest, lato similmente ritenuto dell'ombra e della morte; e così sono esattamente determinate "le due vie permanenti, una chiara, l'altra oscura, del mondo manifestato; per una non c'è ritorno (dal non-manifestato al manifestato); per l'altra si torna indietro (nella manifestazione).”
Resta comunque ancora da risolvere un'apparente contraddizione: il nord è designato come il punto più alto (uttara), e verso questo punto è diretto il cammino ascendente del Sole, mentre il suo cammino discendente è diretto verso sud, il quale appare così il punto più basso; ma, d'altra parte, il solstizio d'inverno, che corrisponde nell'anno al nord, segna l'inizio del movimento ascendente, è il punto più basso, e il solstizio d'estate, che corrisponde al sud, e dove il termine il movimento ascendente, è - sotto lo stesso profilo - il punto più alto, a partire dal quale comincerà quindi il movimento discendente, che terminerà al solstizio d'inverno. La soluzione di questa difficoltà risiede nella distinzione che è il caso di fare tra l'ordine "celeste", a cui appartiene il cammino del sole, e l'ordine "terrestre", a cui appartiene invece la successione delle stagioni: secondo la legge generale dell'analogia, questi due ordini devono, nella loro stessa correlazione, essere inversi l'uno dell'altro, di modo che quel che è più alto nell'uno divenga più basso nell'altro, e viceversa. È così che, secondo l'espressione ermetica della Tabula Smaragdina, "ciò che è in alto (nell'ordine celeste) è come quello che è in basso (nell'ordine terrestre)" o ancora, secondo il detto evangelico "i primi (nell'ordine principale) sono gli ultimi (nell'ordine manifesto)".
È altrettanto vero che, per quel che concerne le "influenze" connesse a questi punti, è sempre il nord a rimanere "benefico", che lo si consideri il punto verso cui si dirige il cammino ascendente del sole nel cielo o, in rapporto al mondo terrestre, l'entrata del deva-loka; e, allo stesso modo, il sud rimane sempre "malefico", che lo si consideri il punto verso cui si dirige il cammino discendente del sole nel cielo o, in rapporto al mondo terrestre, l'entrata del pitri-loka. Bisogna aggiungere che il mondo terrestre può essere ritenuto qui rappresentare, per trasposizione, tutto l'insieme del "cosmo", e che il cielo allora rappresenterebbe, secondo la stessa trasposizione, la sfera "extra-cosmica": da questo punto di vista dovrà applicarsi all'ordine "spirituale", inteso nella sua accezione più elevata, la considerazione del "senso inverso" in rapporto non solo all'ordine sensibile, ma all'intero ordine cosmico
".

Come era calcolata la data di Yule
In quanto Solstizio d'Inverno, la data di Yule veniva computata grazie al moto apparente del Sole nel cielo. Il solstizio infatti è stato definito l'inizio dell'inverno per una questione climatica, quando invece è il suo estremo culmine, il suo cuore. Non per niente si dice che il solstizio sia "mezz'inverno": questa stagione infatti comincia a Samhain, il 31 ottobre. Il motivo per cui il freddo estremo nelle regioni continentali viene percepito principalmente tra gennaio e febbraio è dovuto agli oceani, che tendono a raffreddarsi e riscaldarsi con un tempo più lungo, mantenendo la temperatura più calda e più fredda ancora per un mese e mezzo grazie al movimento delle correnti oceaniche transcontinentali, dando così l'impressione di essere "in ritardo" sul freddo. Come si può vedere anche nel film The Day After Tomorrow, sono questi stessi moti che se dovessero per un qualsiasi motivo rallentare, fermarsi o addirittura invertirsi causerebbero una nuova glaciazione del nostro continente.
Il calcolo dei solstizi tra le popolazioni preistoriche era svolto grazie all'osservazione degli astri. Per quanto all’epoca non fossero in possesso degli strumenti di cui beneficiamo oggi, moltissime popolazioni europee, mesopotamiche, asiatiche e anche africane possedevano grandissime nozioni di astronomia e matematica che permisero loro di calcolare con un'esattezza sorprendente il moto celeste (anche perché potevano vantare di un inquinamento luminoso pressoché nullo). Questa conoscenza, in Europa, portò all'erezione e all'uso di siti monolitici che possono essere ancora trovati sparsi un po' ovunque. Come troviamo scritto in questa perfetta descrizione presa dal sito http://www.druidry.org: "Quello che Stonehenge è per Alban Herfin, Newgrange lo è per Alban Arthan. Newgrange (Brú na Bhoinne) è un'immensa tomba di origine neolitica e una struttura di culto nella valle del fiume Boyne, in Irlanda. Pare che sia stata eretta approssimativamente 5200 anni fa, quindi è più vecchia ancora delle Piramidi di Giza e della stessa Stonehenge. Newgrance è allineata con il sorgere del sole nel solstizio di inverno. Quando il Sole raggiunge un certo angolo, la luce passa attraverso una speciale finestra (la famosa roof box) attraverso un passaggio lungo intorno ai 17 metri alla fine del quale illumina un'immensa pietra che presenta l'incisione di una tripla spirale. Questo evento dura circa quindici minuti, durante i quali la luce si infiltra lungo il pavimento del corridoio fino alla pietra, come se volesse raccontare una storia.
Questo allineamento è stato interpretato esotericamente come la penetrazione da parte del raggio di luce del Dio Sole nel ventre della Madre Terra per portare la fecondazione e la creazione della nuova vita.
Altri monumenti allineati al solstizio d'inverno sono stati trovati a Knowth e Loughcrew (sempre nella valle del Boybe, in Irlanda), Maes How (a Orkney, in Scozia) e anche in quello che è noto come il Seven-Mile-Cursus nel Dorset, in Inghilterra. Il solstizio di inverno può anche essere osservato attraverso delle specifiche formazioni rocciose a Stonehenge, anche se questo non è il principale motivo per cui quel monumento è stato eretto.
"
Cos'è quindi il Solstizio d'Inverno? Come abbiamo visto il termine "solstizio" deriva dal latino sol stat e significa "sole immobile", da sol e sistere. Si tratta del momento dell'anno tropico in cui la durata delle ore effettive di luce, in calata dal solstizio d'estate, comincia nuovamente ad aumentare. In termini astronomici è esattamente il momento in cui il Sole, in rapporto con la Terra, raggiunge il punto di minima declinazione. Si diceva solstitium proprio per riferirsi al curioso fenomeno secondo il quale nell'emisfero boreale terrestre nei due giorni tra il 22 e il 24 dicembre l'astro pare rimanere immobile nel cielo perché comincia ad invertire l'apparente moto di declinazione che ha raggiunto sul piano equatoriale. Questo effetto è ovviamente apparente in quanto il solstizio cade il 21 di dicembre e il calore del Sole è debole e la sua forza non mantiene "viva" la terra e gli alberi, privati del suo calore, lasciano cadere le foglie: muoiono insomma. Questo evento dà quindi la sensazione che il mondo stia precipitando nella progressiva oscurità dal quale esce proprio quando è al suo massimo picco discendente. Il Sole quindi "nasce" di nuovo tre/quattro giorni dopo il solstizio invernale esatto: il 25 dicembre. Come abbiamo visto, la vigilia delle festività è quasi sempre più importante della festività stessa, in quanto è nell'oscurità che tutto ha inizio. Pertanto è la notte del 24 dicembre che il Sole nasce. Esattamente sei mesi dopo che è morto: il 24 giugno. Ma che curiosa coincidenza...

Come si festeggiava YuleCome le altre feste invernali, Yule era un momento di chiusura e di speranza. La neve si stendeva come un sudario su tutta la natura, la morte ululava fuori dalla porta, le malattie dovute al freddo mietevano vittime. I corpi stessi dei morti che non potevano essere sepolti per via del terreno ghiacciato, erano lasciati fuori dalla casa, poggiati su assi in punti elevati dal terreno, vicino al tetto: il freddo e il ghiaccio li avrebbero conservati impedendo la decomposizione e la posizione soprelevata li avrebbe preservati dall'attacco e dallo smembramento da parte di animali feroci in cerca di cibo.
Il palo che veniva usato per le danze di Beltaine, in genere un ontano, un maggiociondolo o qualche altro legno a lunga combustione, a Yule era tagliato e bruciato ritualmente nel camino e tenuto vivo per 12 giorni. Le popolazioni teutoniche festeggiavano per dodici notti come dodici erano i giorni in cui i punti eliaci di levata e tramonto parevano rimanere immobili all'estremità meridionale della linea dell'orizzonte. Una volta bruciato, il simbolismo del tronco tagliato (ancora il dio arboreo sacrificato) trovava la sua epifania nello spargimento delle ceneri sui campi per assicurarsi la fertilità. Questo stesso dio era l'eroe Robin Hood che veniva sconfitto da Bran, il Signore del Malgoverno preposto ai festeggiamenti che guidava le burle e che ci riporta al mito di Baldr (l'eroe) ucciso da Loki (l'ingannatore). Ritualmente si accendeva quindi una candela che doveva bruciare tutto il giorno senza spegnersi in modo da richiamare il potere del Sole, al suo massimo picco discendente, nell'attesa che la fredda morsa dell'inverno cedesse il passo alla primavera, al disgelo e alla vita. Se per disgrazia la fiamma si fosse estinta sarebbe stato un presagio di sventura. La cera stessa, così come le ceneri del ceppo, avevano proprietà fertilizzanti e apotropaiche ed erano sepolte sotto gli alberi da frutto o sparse sul bestiame. Il ceppo non doveva bruciare completamente perché conservasse i suoi divini poteri protettivi da fulmini e malattie.
Una delle peculiarità di Yule era l'offerta dei doni che poi è stata trasformata nella tradizione di Babbo Natale, Santa Claus, S. Nicola, S. Lucia, la Befana e Gesù Bambino. Il simbolismo stesso di Babbo Natale e della Befana riporta a Crono ed Ecate. Chronos in greco significa "Tempo", ed era proprio lui l'antico signore che veniva onorato a Roma nel periodo di Yule con i Saturnalia, riprendendo il suo nome romano: Saturno. La statua nel suo tempio per tutto l’anno era tenuta legata e proprio in concomitanza con questa festa le corde erano tagliate ed egli poteva essere liberato dai suoi gioghi. Nell’Impero questa festività, che durava circa una settimana e terminava proprio il 23 dicembre, era caratterizzata da un ordine sociale completamente ribaltato: chi era ridotto in schiavitù aveva la possibilità di comportarsi come uomo libero e niente di ciò che capitava durante questi giorni "fuori dal tempo" era ritenuto provocatorio o comunque condannabile; era fatto tutto a memoria dell'Età dell'Oro, quando non esistevano leggi e ogni uomo era uguale per diritto ad ogni altro. A sorte si selezionava tra i popolani un princeps, che era investito di un temporaneo potere nobiliare, vestito ritualmente con una maschera e con un abito rosso e gli venivano offerti doni per preservare e propiziare i raccolti. Deriva da questo antico culto saturnino l'usanza di credere che una persona anziana portino doni. Durante questo periodo ci si scambiavano auguri e regali, noti come strenne (dal latino strēna che significa "regalo di buon augurio"). Questi buoni auspici erano noti così anche per via della Dea Strenia, la signora sabina della buona fortuna, e consistevano in rametti di fico, pianta nota anche come arbor felix, albero felice o anche in candele e lumi volti a richiamare simbolicamente il potere della luce del solstizio. Come abbiamo visto anche per Samhain, i romani ritenevano che in questo periodo oscuro in cui il Sole era al minimo potere, le divinità e i poteri ctoni ed inferi vagassero sulla terra. Offrire loro doni li avrebbero soddisfatti o placati nel loro vagare, in modo che potessero ritornare nei regni inferiori dove avrebbero propiziato e protetto il raccolto futuro. Il saturnalicus princeps rappresentava proprio le divinità ctonie; questo Rex Saturnaliorum diventava il capro espiatorio dei mali del mondo: finita la festa, infatti, veniva ucciso o si toglieva la vita sgozzandosi sull’altare di Saturno.

È inoltre curiosa l'analogia con Babbo Natale vestito di rosso, in quanto a Roma il rosso era ritenuto un colore divino e regale per via della rarità del colorante, ottenuto dalle cocciniglie o dalle radici di robbia Rubia tinctorum. La versione moderna del vecchio sovrappeso vestito di rosso è opera di Thomas Nast, un illustratore americano vissuto durante la guerra civile, ma questa iconografia risale allo stesso Odino, il quale, secondo la mitologia norrena durante il solstizio di ogni anno, insieme agli altri Æsir e ai guerrieri valorosi che risiedevano nel Valhalla si cimentava in una battuta di caccia celeste a cavallo di Sleipnir. Era tradizione che i bambini posizionassero degli stivali nei pressi del camino delle loro abitazioni riempiendoli di fieno, carote e dolci affinché la cavalcatura del padre degli dei potesse sfamarsi durante la sua traversata. Fu proprio questa tradizione nordica, portata nel nostro paese, a ricondurci all’usanza italiana di apporre calzini appesi al camino la notte dell’epifania e con essa anche l’albero di natale cosparso di dolci appeso ai suoi rami, dove vengono appese anche le luci e le palline che, per la loro forma sferica e costituite di metallo o vetro brillantato e riflettente ricordano il Sole. È tuttora viva anche l’usanza di appendere desideri in forma di bigliettini all'abete di Yule o ad un’altra conifera affinché gli spiriti possano prenderli con loro e realizzarli.

Il solstizio stesso è proprio il momento di passaggio tra la morte e la vita, il momento di Mitra e di Cronos, il Dio bambino e il Dio anziano, il portatore dell’agrifoglio. Nel corso del tempo, questa divinità è stata demonizzata. Il Re che nel pantheon norreno regnava nella parte calante dell'anno: Woden, Thor, venne identificata come il signore del male, delle tenebre in arrivo, e al solstizio d'inverno, coincidente ai natali del dio cristiano risorto, venivano suonate le campane per avvisare il diavolo che la sua ora era vicina perché il salvatore era giunto.
In realtà la lotta eterna tra Agrifoglio e Quercia è ben incarnata nei due solstizi e ci viene rappresentata dalla pianta parassita e sempreverde del Vischio, Viscum album, che cresce in genere sulle querce. Quest'erba, per i popoli che veneravano questi alberi come potere divino e ctonio di transizione tra i due mondi, rappresentava la promessa di fertilità e di rinascita. Quando infatti la quercia che ospita il vischio rimane totalmente spoglia, il vischio appare come un cespuglio verde tra i rami morti. Era facile ritenere che fosse l'anticipazione o il ricordo della vita. Non per niente il vischio fruttifica proprio al Solstizio d'Inverno e le sue bacche, schiacciate, secernono una sostanza biancastra e gelatinosa del tutto simile e riconducibile allo sperma umano. Questa fertilità che portava il simbolismo del vischio non si è perduta nemmeno nel cristianesimo: quando si avvicina Natale sono infatti venduti rametti dorati di questa pianta con funzioni apotropaiche. Il vischio è infatti proprio quella stessa pianta che appare nel più noto poema virgiliano, l'Eneide. Nel sesto libro troviamo come l'eroe troiano si debba recare nell'Averno su consiglio onirico di Anchise, inviato dallo stesso Zeus. Giunto nei pressi del tempio di Cuma dedicato al dio Apollo si confronta con una Sibilla la quale, su richiesta stessa dell'eroe, lo accompagnerà nella sua catabasi. Prima di discendere, la Sibilla Deifobe gli ordina di prendere un ramo d'oro come pegno per placare gli spiriti inferi che dovranno affrontare nell'Averno. Si tratta di un ramo di vischio che sarà la chiave di accesso per gli inferi: solo mostrandolo ad un reticente Caronte questo accettò di traghettarli.

Il vischio trova un simbolismo forte anche nella morte e resurrezione dell'eroe nordico Baldr il magnifico. Questi aveva ricevuto in dono, su richiesta della madre Frigga, una promessa da tutte le pietre, le malattie, gli alberi, il fuoco, il vento, l'acqua, i metalli e gli animali affinché nulla potesse ferirlo. Dalla lista venne escluso solo il vischio, che Frigga aveva considerato debole e morbido. Mentre gli dei si divertivano a scagliar addosso a Baldr armi, frecce ed ogni genere di oggetto, Loki, il signore delle malefatte e del caos, ottenuta con uno stratagemma l'informazione dell'unica vulnerabilità del figlio armò e guidò la mano del dio cieco Hǫðr con un ramo di vischio, il quale lo scagliò contro Baldr trafiggendolo e uccidendolo. Dopo l'iniziale generale silenzio attonito, il dio venne onorato come un grande guerriero e portato a spalle su uno scudo fino ad un Drakkar, dove fu preparata una pira. Insieme con le sue spoglie bruciarono vive anche le sue concubine e tutti i suoi oggetti, così come era antica consuetudine per i popoli nordici. Dalle lacrime della madre Frigga nacquero le bacche del vischio e da quel momento la pianta divenne sacra. Come tutte le piante sempreverdi (quindi anche l'abete) anche questa è una pianta legata all'immortalità e alla rinascita, il simbolismo tipico di Yule e del solstizio.

Il potere che l'inverno, il freddo e l'oscurità esercitano sulle persone è immenso, basti osservare ancora adesso le luminarie che sono disseminate ovunque appena l'approssimarsi del solstizio comincia a farsi sentire. Si tratta chiaramente di un modo per richiamare il potere della luce quando si è nella massima profondità dell'oscurità. Per noi che viviamo in una società urbanizzata e globalizzata è difficile comprendere realmente il punto di vista delle antiche popolazioni agresti. Il nostro calore, la nostra luce, il cibo per il nostro sostentamento vengono determinati da fattori che non sono direttamente connessi alla nostra capacità oggettiva e reale di guadagnarceli e mantenerli. Esiste un passaggio intermedio di tipo simbolico e artificiale: qualcuno li procura per noi, come se fossimo dei bambini e noi li scambiamo con dei soldi. Pagando tramite un corrispettivo valore simbolico possiamo contare su un riscaldamento gestito in modo autonomo o centralizzato ma comunque non dipendente dalla nostra capacità di raccogliere legna e accumularla. Ammesso che il nostro riscaldamento sia gestito da una caldaia a legna, comunque non viviamo il bisogno di doverci inoltrare nel buio di un bosco, correndo il rischio di fare incontri pericolosi, per procurarci quella legna che ci aiuterà a scaldarci. Pagando abbiamo del cibo che proviene da non si sa nemmeno con precisione dove, che sia di origine animale o vegetale. La nostra necessità di mangiare non è più determinata dalla nostra capacità di dissodare il terreno, ararlo, seminare, provvedere ad irrigarlo, attendere il momento giusto per raccoglierne i frutti o andare a caccia, rischiando di non tornare. Queste nostre facoltà umane, dai più mai apprese, non determinano più la nostra sopravvivenza, pertanto tendiamo a discostarci dal significato intrinseco di quella che è la celebrazione di eventi astronomici e tendiamo a tenerle come questioni secondarie. Preoccupati come siamo ad occuparci del superfluo non tendiamo più a tornare ai principi stessi dei nostri bisogni primari.
L'uomo del neolitico, invece, questi aspetti era costretto ad osservarli eccome. Si scontrava contro realtà come queste ogni singolo giorno. Più noi tendiamo a sentirci diversi, staccati o in qualche modo arrogantemente superiori a questi aspetti archetipici della nostra stessa essenza, riprogrammando il termine stesso di "umanità" e "civiltà" a nostro morale uso e consumo, disconoscendo il nostro naturale essere parte di un ciclo, più saremo, come dice Franco Battiato nella canzone "Fisiognomica", dei miseri ruscelli senza Fonte.
Se riflettiamo sul solstizio e sul culto agreste che è ad esso associato, ci troviamo di fronte ad un aspetto di religione diverso da quello architettato e monolitico che abbiamo oggi, circondato da un impero di castelli di impenetrabile dogma: un aspetto più ad personam naturam. Si tratta in effetti dell'essenza stessa del paganesimo e della celebrazione dei cicli naturali: una religione che permette ad un suo seguace di entrare in contatto con il proprio ciclo vitale, il proprio bioritmo, la propria ruota, e non sentirlo come qualcosa di distaccato cui bisogna rivolgersi solo in momenti di bisogno. Quello stesso bioritmo e ciclo è parte dell’onore delle festività, quindi del divino e del sacro, scandito proprio da queste feste agresti, posizionate su otto punti: quattro sabba maggiori e quattro minori. I minori segnano il moto apparente del Sole nel cielo, due solstizi e due equinozi, che fungono come tappe intermedie per calcolare i maggiori, in realtà i momenti legati strettamente al raccolto: il maggese, la semina, la mietitura, il dissodamento. Il loro essere classificate come festività è dovuto proprio al fatto che erano ricorrenze che le popolazioni proto-europee osservavano per essere certe di avere abbondanza di cibo per tutti. Un solo errore nel calcolo di queste date poteva significare carestia e di conseguenza morte: qualcosa che noi consideriamo solo in linea più teorica, preoccupati come siamo di poter avere i soldi per pagarci le vacanze, la tv via cavo, la connessione ad internet per vedere film in streaming, gli aperitivi con gli amici.
Rapportando le divinità agli aspetti della vita e riproduzione del ciclo naturale agreste, tutti gli otto sabba prendono le sembianze delle diverse fasi della vita ciclica che si sviluppa in nascita, maturazione, riproduzione e morte di uno spirito (dio) arboreo del frumento (che è poi il cereale la cui coltivazione ha cambiato radicalmente il concetto di crescita sociale e religiosa dell'intera umanità). Si tratta di un principio divino che secondo approfonditi studi di antropologia, mitologia, teologia, teosofia, filosofia e storia stessa delle religioni, nel mondo è riconosciuto anche nello stesso cristianesimo, anche se questo va a rappresentare tutto ciò che i sostenitori di questa religione aborriscono e da cui vorrebbero distaccarsi.

Tutte le religioni di origine più antica, indipendentemente dalla dottrina che predicano, si basano sul ciclo naturale arboreo. Sostanzialmente è pressoché inevitabile che sia così, dal momento che lo scopo per cui nascono e si diffondono è eziologico. Ponendo gli dei in relazione a questo ciclo, il divino solare maschile cresce e decresce da nord a sud attraverso i solstizi (Borea e Noto - per citare ancora le caverne di Itaca nell'Odissea di Omero ove si aprivano le porte solstiziali sotto il dominio di Gianus Bifrons, il guardiano degli ingressi) e degli equinozi est – ovest come tappe intermedie. Il Sole Invitto quindi nasce al solstizio d'inverno, in qualità di come Mitra, ossia quando le giornate dal profondo buio cominciano ad allungarsi. A seguire decade al solstizio d'estate, quando le giornate si accorciano. Si tratta di una croce nei cui spazi intermedi si posizionano le levate eliache delle stelle di Antares (Alpha Scorpii), Capella (Alpha Auriga), Aldebaran (Alpha Tauri) e Sirio (Alfa Canis Majoris) che segnavano (nell'età del bronzo) le quattro feste agresti e che erano fondamentali alla loro determinazione.
Queste feste si festeggiano con una celebrazione in onore della natura e del percorso spirituale e iniziatico legato ai misteri (piccoli e grandi nonostante esoterici) legati al ciclo naturale di morte e rinascita. A Samhain (31 ottobre) si celebra la morte e la rinascita, a Yule (21 dicembre) il ritorno della luce, a Imbolc (2 febbraio) la purificazione, a Oestara (21 marzo) la semina e la prima festa ierogamica, a Beltaine (30 Aprile) la seconda festa ierogamica per eccellenza e l'accoppiamento, la fecondazione, a Litha (21 giugno) la terza festa ierogamica e la fruttificazione, la maturazione, a Lughnasadh (31 luglio), la festa del raccolto e la trasformazione mediante il sacrificio del dio arboreo perché ci sia il pane (eucarestia), a Mabon (21 settembre) il riequilibrio di sé stessi per affrontare la morte di Samhain che segna l'inizio di un nuovo ciclo nella discesa. Dopotutto è dall'oscurità che tutto ha inizio.
A livello personale ciò che mi farebbe sentire "abbandonato" in questo mondo è la stessa cosa che farebbe sentire "abbandonato" un seguace del cristianesimo: l'assenza di Dio (a sentire un cristiano è ciò che succederebbe nel loro inferno: sentirsi per l'eternità privati dell'amore divino). Tuttavia se un cristiano, in linea con il dogma cattolico, ha imparato a vedere Dio come un'entità creatrice al di sopra della natura che ci pone innanzi ad una scelta (vera o fasulla che possa essere ritenuta in base al bisogno di aderire o meno ad una logica religiosa trascendente), un neopagano come me la percepisce come facente parte della natura stessa, sotto ogni sua forma, quindi panteista. Per sentirmi abbandonato dovrei sentirmi al di fuori del ciclo naturale, qualcosa che, nella mia visione della divinità, non sarà mai, nemmeno con la morte, in quanto essa stessa parte di questo ciclo.
Ecco dove quindi trova spazio la celebrazione dei sabba: ci serve per ricordarci in ogni istante che il mondo che gira, il tempo che scorre inesorabile, il Sole che si alza e scende. Ci ricorda che la Luna che cambia fase, le maree che si alzano e si abbassano, gli alberi che lasciano cadere le foglie e le fanno ricrescere, gli animali che cadono in un sonno letargico, la morte che corre urlando a privare e la vita che giunge sorridendo ad elargire ci volteggiano intorno scorrendo e ruotando sul loro asse celeste ed universale. Tutto questo da nord est a sud ovest, toccandoci solo per una nostra mancanza di astuzia. In realtà questo nostro apparente sentirci immobili, inchiodati in ciò che siamo, osserviamo e comprendiamo è una mera illusione creata da noi stessi per giustificare il nostro ruolo e per sentirci in qualche modo capaci di essere invincibili e superiormente divini. Si tratta di un'illusione in cui siamo giunti a credere così fermamente e così radicalmente da dimenticare che quando la Terra rivoluziona su sé stessa intorno al Sole e il tempo scorre come sabbia nella clessidra, noi giriamo con lei e scorriamo con lui. Granello dopo granello.

Yule come Natale e Capodanno nell'età e nel costume moderno
Ad oggi quello che un tempo era festeggiato come Yule, la ruota, il solstizio di inverno, il momento più buio dell'anno che dava però il via alla risalita verso la metà luminosa e che poi portava al momento della nascita di un dio bambino portatore di luce, è stato mescolato alla più recente tradizione cristiana.
Del paganesimo è rimasto un grosso bagaglio simbolico: l'albero della luce e dell'immortalità, il tronco di Yule cosparso di luci e dolci e con la stella sulla cima e (in Italia) la Befana, la strega crona che porta i dolci ai bambini. È inoltre rimasto lo spirito di rimanere vicini alla propria famiglia, le luci che illuminano la notte buia come stelle. Yule infatti spesso coincide con la luna del lupo, un periodo dell'anno in cui in antichità i lupi affamati si avvicinavano alle case in cerca di cibo e si rendevano pericolosi per i villaggi: un motivo in più per rimanere chiusi al sicuro e passare del tempo con i famigliari. I rigori invernali portavano le persone a stringersi intorno ai propri cari per contare uno sull'altro nelle difficoltà: quello che fa un branco. Questo ha portato alla tradizione della cena natalizia a ricordare il banchetto rituale in onore della nascita del Sole.
Del paganesimo ci è rimasto il simbolismo del vischio, una pianta sacra di fertilità e ritenuta panacea di tutti i mali in quanto parassita che cresce prettamente sulle querce e sugli ippocastani succhiando la linfa vitale e che germina senza mai mettere radici a terra; ci è rimasto l'agrifoglio, simbolo del Re che sta morendo (ma nella visione cristiana pianta legata alla forza del bene che sconfigge il male, essendo una pianta dura e resistente con le bacche rosse come il sangue) e anche il biancospino, uno dei nove legni sacri che germoglia proprio durante il solstizio di inverno e che fiorisce all'equinozio di primavera, coincidendo spesso con la Pasqua, la resurrezione.
Quello che è oggi l'Albero di Natale ha comunque origini simili in altri popoli antichi, come gli egizi, che ritenevano che fosse l'albero sacro sotto cui nacque il dio Biblos, quindi simbolo di nascita. L'albero rimase una tradizione pagana per molto tempo, fino a quando venne introdotta da Martin Lutero, che riteneva che l'abete addobbato con candele accese significasse la luce divina di Gesù Cristo che veniva al mondo. C'è però una leggenda apocrifa che lega l'albero di Natale in quanto abete ai popoli germanici. Alla vigilia del solstizio un capotribù di una popolazione germanica, che desiderava onorare il dio Woden con un sacrificio di un infante al di sotto della quercia a lui sacra, venne fermato dall'intervento di S. Bonifacio che colpì con un'ascia l'immenso albero, il quale cadde al suolo immediatamente sradicato da un violentissimo vento che instillò quindi un terrore reverenziale nelle tribù che venne cristianizzata. Bonifacio ordinò di prendere un abete, sacro al Dio bambino salvatore e di celebrare in casa il suo simbolo di amore e speranza.
Interessante è il parallelismo che emerge paragonando il regime patriarcale, monoteista, quindi eliocentrico a quello matriarcale, politeista e geocentrico. Osservando il cielo infatti si può notare come il Sole compia un moto apparente nel corso dell'anno che ora sappiamo essere dovuto all'inclinazione e all'eclittica. All'epoca delle prime osservazioni celesti però non era risaputo che si trattasse di una stella ferma e che fosse la Terra ad essere un pianeta che aveva un moto ellittico intorno ad essa. Il Sole compariva e scompariva, quindi di fatto girava intorno alla Terra. Questo ha messo la Madre Terra al centro dell'universo (passiva) e in accoglimento di un Sole (attivo) che andava e tornava. Il ribaltamento delle conoscenze avvenne a partire dal primo ideale di sistema eliocentrico pitagorico affermato da Eraclide Pontico e in seguito da Hipatia di Alessandria. Dal momento che l'astronoma fu uccisa dalla setta estremista dei Parabolani con conchiglie acuminate prima che potesse portare al mondo la luce della conoscenza che aveva acquisito fu necessario attendere Copernico nel sedicesimo secolo affinché queste osservazioni potessero essere portate alla luce e fossero smentiti i sistemi geocentrici. Questa teoria, infatti, nonostante fosse centralizzante, era comunque contraria al dogma cristiano confermato da Tolomeo perché non in linea con le Sacre Scritture, quindi per secoli venne ritenuta inaccettabile.
Nella fetta "cristiana" del Natale troviamo comunque ulteriori spunti pagani. Una delle usanze è quella di fare il presepio (termine che arriva dal latino praesaepe, che significa recinto, mangiatoria): ossia una rappresentazione della natalità e del viaggio effettuato dai tre Re Magi che, seguendo una stella cometa che avrebbe annunciato la nascita del messia, li condusse fino a Betlemme dove Gesù Cristo era venuto al mondo da una madre che non aveva conosciuto alcun uomo. La tradizione è medievale (circa tredicesimo secolo) e risale a S. Francesco d'Assisi. I simbolismi del presepio stesso però non sono quasi per nulla presenti nei vangeli (gli unici due evangelisti che trattano la natalità sono Luca e Matteo). Ad esempio i due animali, bue e asino, la grotta stessa e anche i tre Re Magi arrivano da vangeli apocrifi come il Vangelo Armeno dell'Infanzia e il Vangelo di Giacomo. Nelle scritture non sono presenti citazioni che riguardano grotte o stalle, nonostante ciò una strega del mio cerchio mi ha confermato che in Palestina, durante un viaggio per lavoro, ha avuto modo di visitare quella che si ritiene essere il luogo dove Gesù Cristo è venuto al mondo e intorno a cui è stata eretta la Basilica della Natività. Tuttavia è interessante notare che c’è un’Mitra nacque da una pietra dentro una grotta la notte del 24 dicembre. Si tratta di un mito persiano, quindi vicino al culto pre-iranico. Questa divinità era infatti molto diffusa nell'Impero Romano d'Occidente. Il suo nome è Mitra.
Nonostante Luca nel suo vangelo parli di pastori e di mangiatoia è chiaro che il ruolo delle centinaia di statuette più svariate che vengono posizionate sul presepio non hanno una vera e propria origine cristiana. In effetti hanno ancora una volta è pagana: servono per ricordare gli spiriti dei morti che proteggono la casa e la famiglia, quelli che nella cultura latina ed etrusca erano noti come larii o lares familiares. I defunti erano appunto rappresentati con effigi di diversi materiali approntate in apposite nicchie e onorate con incensi e fiammelle di candele. La coincidenza sta nel fatto che proprio durante il solstizio d'inverno si svolgeva la festa nota come Sigillaria, dal termine usato per chiamare queste statuette commemorative: sigillum che arriva da signum che significa "immagine". Durante questa festività tra i diversi appartenenti alla famiglia vigeva l'usanza di regalarsi questo tipo di dono come ricordo dei familiari morti nell'anno trascorso. Proprio prima della festa i bambini dovevano lucidare e sistemare tutte queste effigi in un recinto - un praesaepe - e la famiglia riunita avrebbe onorato i defunti alla vigilia del solstizio chiedendo protezione e donando offerte in ciotole e coppe. Al posto dei recipienti colmi di offerte, al risveglio i bambini avrebbero trovato dei dolci o dei giochi. Questa usanza richiama lo spirito del "dono" lasciato nei calzini appesi vicino al camino e portato misteriosamente da Crono e Crona (ossia il tempo passato) e ritrovati al mattino in cambio di offerte (latte, caramelle). Questa ritualità serviva a richiamare la protezione degli spiriti degli avi, un bisogno che mantiene vivo un contesto di famiglia che sopravvive attraverso le generazioni. Durante le feste natalizie non è infatti anomalo ancora adesso onorare i defunti ricordando eventi, abitudini e circostanze che possano instillare allegria e buon umore.
Possiamo trovare un’interessante analogia tra la festività legata al Natale e il solstizio grazie all’assonanza con il Capodanno. Quello che molti magari non sanno è che anticamente per molte popolazioni il capodanno era legato ad una festa di tipo astronomico, in genere proprio il solstizio d'inverno. Nonostante sia abitudine della maggior parte delle persone che seguono un calendario per costume sociale non porsi troppi quesiti sul perché alcune festività siano disposte in un certo modo, per la fortuna di chi, come me, va alla ricerca delle radici e delle origini del nostro passato, c'è chi invece ha fatto studi a riguardo avendo accesso a informazioni molto più dettagliate e globali e pubblicandole. Theodor Gaster, che commentò il Ramo D'Oro di James Frazer è una di queste persone e lo fa nel libro New Year, its History, Customs and Superstitions. È interessante, come ci fa notare lui, che non esista alcuna popolazione, antica o moderna, civilizzata o meno che sia, che non celebri od osservi in qualche modo la festa di inizio anno. Nonostante ciò, sopra ogni altro tipo di festività, non ne esiste un'altra, pur comune a tutti i popoli del mondo, che venga onorata in modo così apparentemente distante l'uno dall'altro. Si tratta però solo di un'apparenza. Ad un esame più attento è possibile riscontrare invece delle radici comuni: quelle legate alle celebrazioni solstiziali, ossia un giorno in cui si riteneva che il mondo giungesse alla fine e ricominciasse da capo (qualcosa che, nell’anno in cui scrivo milioni di persone vedono nel calendario Maya e proprio legata al solstizio invernale del 2012, fine e inizio di uno dei cicli di ere millenarie che si susseguono). Non esclusi però dal legame personale che sentivano con la natura e il cosmo, i popoli antichi sentivano il bisogno di contribuire attivamente a questo processo di "rinnovamento" con i rituali legati alla fine e all'inizio dell'anno. Quattro, secondo Gaster, erano le fasi rituali che segnavano questo periodo: mortificazione, purificazione, rinvigorimento, e giubilo. Per permettere che il nuovo anno arrivasse, che il Sole rinascesse fulgido e forte, si sospendeva l'ordine del tempo e si incarnava in un famoso "capro espiatorio" di tutti i mali del mondo e dell'anno passato, sacrificandolo per permettere che il nuovo anno non portasse con sé i dolori e le disgrazie del precedente. A volte questo aspetto era rivisto in un re temporaneo, un famoso "Signore del Malgoverno" che restava in carica per cinque i giorni di questi riti. Nel secondo rito, la purificazione, si procedeva con l'accensione dei fuochi apotropaici e purificatori e lo smaltimento degli oggetti rituali. Questa è una cosa che ancora si vede in tradizioni italiane: a capodanno nel sud, ancora molto legato alle tradizioni, si gettano fuori dalla finestra piatti e bicchieri vecchi per far spazio al nuovo. Nel terzo rito, il rinvigorimento, si procedeva spesso con riti sfrenati, sempre legati ad un periodo privo di leggi, dove il servo mangiava al tavolo del padrone e si ubriacava come lui, come nei Saturnalia romani in onore di Saturno, il signore del tempo. In ultimo giungeva il momento di prevalsa della vita sulla morte, composto da banchetti in onore della forza dell'anno che arriva e il ripristino delle regole precedenti al momento di inversione delle leggi universali.
Per le popolazioni che usavano calendari lunari o lunisolari il capodanno non solstiziale, ma le popolazioni che sovvertivano il tempo nei cinque giorni legati a questo momento astronomico si appoggiavano invece su un calendario solare. In Europa fin nel medioevo l'anno cominciava il 25 dicembre, proprio in coincidenza con la nascita del Cristo posta da Costantino. Fino a quasi la metà del 1500, quindi dopo la fine del periodo oscuro, era anzi l'equinozio di primavera ad essere la porta, come nel calendario romano, che cominciava con il mese di Aprilia. Appunto nell'Impero l'inizio anno venne spostato nel mese dedicato a Giano (Gennaio) solo dall'istituzione del calendario repubblicano ideato da Numa Pompilio e attribuito a Caio Giulio Cesare nel 46 a.C. Questo cambiamento avvenne perché l'inizio dell'anno era stato spostato dal Solstizio invernale di quasi una stagione, dal momento che i calendari in uso erano di tipo lunare. In questo modo Cesare decise di aggiungere novanta giorni all'anno in corso affinché il capodanno capitasse sette giorni dopo il Solstizio, che cadeva il 25 dicembre. Purtroppo, come sappiamo, il Calendario Giuliano non era preciso e nel 1582, quando Papa Gregorio decise di attuare la sua riforma che mise in atto il calendario che tuttora è in uso, il solstizio nell'emisfero nord era scivolato al 21 dicembre, come è ancora adesso. Il punto cui è necessario soffermarci è che tendiamo a computare il tempo in modo fisso, ciclico, quando invece è solo una maschera applicata ad un moto celeste che ignora bellamente i nostri bisogni di misurazione. Il Solstizio cade solo quando la Terra e il Sole sono nella posizione esatta, non quando il calendario segna il giorno. È il calendario quindi che corre dietro al moto celeste, non il contrario: per questo motivo le quattro date delle festività astronomiche non sono mai fisse.
La vicinanza tra Capodanno, Natale e Befana è legata sempre al culto di Crona e Rhea e Cronos e Saturno. Si tratta del dio che regnava nell'ormai mitizzata Età dell'Oro dell'umanità, l’epoca precedente alla scoperta dell'agricoltura in cui l'essere umano viveva in perfetta armonia con la natura, senza avere nessun tipo di condizione mentale portata dalla "proprietà privata", dalla classe sociale, dove tutti erano veramente uguali. È per questo motivo che i Saturnalia ricostruivano un mondo senza leggi istituite: era ciò che c'era prima della loro invenzione dalla quale ora non riusciamo più a staccarci. Leggi che ora sono così incastrate e intrecciate alla nostra vita al punto che hanno contribuito ad una tale stratificazione da non permettere più un reale vivere libero. Per tradizione l'elezione del Rex Saturnaliorum era svolta a sorte. Una volta decretato avrebbe sovrinteso a tutti i festeggiamenti finendo per assorbire tutti i mali della società e immolandosi, alla fine della festa, sull'altare di Saturno.

La chiara assonanza che troviamo nel culto solare legata al Cristianesimo è assodata, per quanto ancora si riesca a sentir dire in giro che non è così. Anticamente l'Impero Romano era esteso a perdita d'occhio, composto da centinaia di province, in cui la frammentazione era un'ombra scura e minacciosa. L'unica cosa che poteva tenere unito un impero così grande era una vicinanza religiosa. La prima mossa politica di questo tipo avvenne prima della presunta nascita di Cristo e riguardava il culto solare etrusco, soppiantato ufficialmente nelle cerimonie ufficiali da quello di Apollo che in seguito, grazie all'espansione orientale si scontrò con l'adozione e la diffusione di un altro culto eliocentrico, il culto persiano di Mitra. Questo dio trovò grande adesione soprattutto tra i legionari, i quali vedevano nei suoi misteri di morte e rinascita una vita al di là della vita.

Inizialmente, per dare potere giuridico e religioso assoluto all'Imperatore Romano c'era l'usanza, similare a quella adottata dall'Egitto, di ritenere il monarca una divinità solare incarnata. Era difficile però da credere per il popolo che un dio potesse mostrare una crudeltà pari ad alcuni degli imperatori che si erano succeduti e così si pensò di istituire un dogma religioso di stato: il famoso Sol Invictus, che nel 274 d.C. fu fatto coincidere con la fine del periodo dei Saturnalia: il 25 dicembre.
Come abbiamo visto, il culto di Mitra, diffusissimo tra i legionari romani (e ai cui riti erano ammessi solo uomini) trova moltissime assonanze con quello del Cristo: era identificato come un inviato del Supremo Dio della Luce, giunto sulla terra con il solo ed unico scopo di uccidere il Toro cosmico nelle vene del quale scorreva un sangue portatore di fertilità. L’animale era rappresentato nel momento in cui, sgozzato dal dio, dalla ferita crescevano spighe di grano. Mitra nacque in una grotta e ai suoi natali assistettero dei pastori; aveva dei discepoli con i quali, alla fine della sua vita terrena, consumò un pasto commemorativo con pane e vino. Si riteneva inoltre che non fosse mai morto, ma che fosse assunto al cielo in attesa di tornare quando i defunti si sarebbero levati dalle loro tombe per essere giudicati. I rituali mitraici erano incentrati infatti sulla purificazione per riportare allo stato precedente alla nascita. Dal momento che il giorno del dio era legato al giorno del Sole, Aureliano, accortosi della moltitudine di legionari romani che seguivano il culto mitraico, pensò bene di fondere il Sol Invictus con il giorno dedicato a Mitra. Tuttavia questo è solo l'antefatto: come ben sappiamo verso il quarto secolo in tutto l'Impero si diffuse una setta radicale di ebrei che seguivano gli insegnamenti di un predicatore e martire palestinese e si definivano Cristiani. Non erano benvoluti da nessuno e creavano moltissimi problemi alle autorità. L'Impero Romano era sempre più frammentato e prossimo alla caduta e Costantino, l'imperatore pagano che regnava a quell'epoca, capì che era il momento di prendere una decisione politica per evitare la guerra civile: rese il cristianesimo la religione di stato dell'Impero Romano e si pose come capo giuridico e religioso. Questa mossa ovviamente poneva ai cristiani alcune condizioni che accettarono di buon grado: il giorno dedicato al loro dio fu spostato da sabato (giorno di shabbat - in onore a Saturno) a domenica (domine - giorno dedicato al Sole) e la festa della natività di Cristo fu posizionata in coincidenza con il Sol Invictus, la nascita di Mitra. A loro andava bene dato che Gesù secondo le scritture era stato crocifisso il giorno dopo la Pasqua Ebraica e nessuno degli evangelisti specificava quando nacque. Bastarono vent’anni perché questa mossa politica fosse dimenticata e la metamorfosi che portò fosse assorbita come dogma: era nata la religione più controversa della storia dell’umanità.
Nella festa commerciale che è Natale oggi troviamo lo stesso spunto, per quanto deviato, che spingeva i romani a festeggiare i Saturnalia: non si lavora, si festeggia, si banchetta e si fa girare l'economia imparando il concetto dello scorrere della ricchezza che ci riporta all'ultimo aspetto di Natale che ancora ci manca di affrontare: Babbo Natale.
Questo anziano signore, come abbiamo visto, rappresenta Cronos, il Signore dell'Età dell'Oro che i greci ritenevano proprio vivesse al Polo Nord. Questa figura era stata chiamata Santa Claus dal nome del probo vescovo di Myra, benefattore del quarto secolo che, pare, era molto amato dai ragazzi, al punto da essere poi promosso a loro "protettore". Santus Nicolaus (nel nome latinizzato dal greco Anghios Nikolaos che ha portato alla contrazione Santa Claus) era protettore dei marinai ed era ritenuto il santo che portava i doni. Il suo nome venne così nascosto per compiacere i protestanti olandesi che non desideravano celebrare i santi, come del resto anche i luterani del sedicesimo secolo, che seguivano gli insegnamenti di Martin Lutero. La sua figura però non prese un'immagine determinata finché lo scrittore statunitense Washington Irving non rimaneggiò nel 1812 una satira di tre anni prima, Storia di New York, dell'autore Diedrich Knickerbocker, il quale esagerava la presenza di S. Nicola nella vita pubblica in quanto patrono olandese. Irving inserì nella storia elementi leggendari: Santa Claus la vigilia di Natale era giunto in porto su una nave chiamata Buona Dama, che aveva una polena di legno magica e che nottetempo volava lasciando scivolare dolci e giocattoli destinati ai bambini nei camini delle case. Fu però lo scrittore newyorkese Clement Mark Moore dieci anni dopo a dare un tutto tondo alla figura odierna di Babbo Natale in una fiaba-poesia che raccontò dopo il cenone di quell'anno ai suoi bambini e che fu pubblicata e diffusa: conteneva renne, slitta, polo nord e il vestito di pelliccia. Sotto svariate forme, Crono il benefattore porta con sé il simbolismo del sacco, della gerla che mai si svuota e che ci riporta alla cornucopia dell'abbondanza, colma di frutti e dei doni della terra, eterno simbolo di fertilità: il corno spezzato di capra con cui Amaltea nutriva il fanciullo divino Zeus.

Nella mitologia russa, al posto di Babbo Natale e Santa Claus troviamo invece la figura di Dez Moroz, che significa Nonno Gelo, e che deriva a sua volta da un antico demone che alitava venti ghiacciati: Morozko. Questa figura, rappresentata come un anziano con barba color neve e vestito blu ghiaccio, la notte del 31 dicembre passa a portare dei regali ai bambini assieme alla figlia/nipote Sneguročka, rappresentata dalla brina. La figura di Dez Moroz è positiva e legata a quella della sua compagna Vesna dalla quale è nata Sneguročka.

Yule nella tradizione gastronomica
In quanto festa solstiziale e invernale a Yule e a Natale come è palese è costume mangiare cibi calorici, come carne e dolci; l'unica frutta tipica e consumata sono alcuni tipi di agrumi, la frutta candita e la frutta secca. Questa scelta è dovuta alla carenza di frutta fresca in regimi invernali e alle condizioni termiche basse che richiedono l'assunzione di proteine e zuccheri da bruciare. Era infatti tradizione tra le popolazioni nordiche uccidere un maiale ad inizio festa in quanto la carne suina, essendo grassa e altamente calorica, favoriva la termoregolazione corporea. Questo stesso motivo è anche quello che ha poi portato alla proibizione per i mussulmani di mangiare carne di questo animale.

È proprio il maiale a caratterizzare questa festa con lo zampone e il cotechino: grassi insaccati di carne macinata che vengono in genere consumati con lenticchie, che secondo la tradizione propiziano il fluire del denaro nelle tasche. Questo legume infatti richiama alla mente le monete ma cela al suo interno ancora le proteine vegetali che servono all'organismo.

Ci sono alcuni dolci tipici di Yule qui in Italia. Uno di questi è il Pandoro, noto con questo nome per via della pasta color giallo oro di cui è costituito, priva di frutta candita. L’origine è veneta (ma si suppone che derivi da un dolce viennese) ha una forma conica con una base stellare ad otto punte che ricorda un abete. Tradizionalmente è rivestito con un leggero strato di zucchero a velo a rappresentare simbolicamente la neve sull'albero. Un altro dolce tipico italiano relativo a questo periodo è il Panettone, di origine milanese. Si tratta di un impasto lievitato di farina e uova a forma cilindrica con uvetta e frutta candita (scorza d’arancia e cedro). Tra gli altri alimenti immancabili delle feste natalizie possiamo enumerare il torrone. Si tratta di un impasto costituito di albume d’uovo, miele e zucchero cui sono aggiunte mandorle, noci, nocciole e arachidi tostate, ricoperto in genere da due strati d’ostia. Le sue origini possono essere fatte risalire fino all’antica Roma, dal momento che ne parla anche Tito Livio e il suo nome deriva dal latino torrēre, il cui significato è “abbrustolire”. Ancora adesso a Forlì vige l'usanza di regalare alle ragazze il torrone nel giorno di S. Lucia, il 13 dicembre, sempre secondo il calendario in uso adesso dato che, secondo il calendario Giuliano, cadeva nei pressi del solstizio (da qui il detto: "Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia").

È interessante come sia stata legata ad una festa della luce una santa che porta il nome di Lucia, ossia "Luminosa". In Sicilia, in concomitanza con la festa di dedicata a questa santa si consuma la cuccìa, un piatto che si può preparare sia dolce che salato e che è composto da grano ammorbidito tenuto a bagno per tre giorni e poi bollito in acqua salata o latte a seconda di come la si desidera. Nel caso del piatto salato viene condita con un semplice filo d'olio d'oliva e accompagnata da legumi, mentre nel caso del piatto dolce viene arricchita con frutta candita e sciroppata, cioccolato o scorza di limone: tutti alimenti tipici di Yule. Questa ricetta tradizionale è legata al culto di S. Lucia: la sua storia è articolata ed è stata riportata nelle Memorie della santa, tenute da Giuseppe Capodieci. Nel 1763 si verificò una grave carestia sull'isola e durante un discorso tenuto da un predicatore si affermò che S. Lucia potesse provvedere al suo popolo inviando dei bastimenti carichi di frumento. Proprio il giorno dopo, il 13 dicembre, fece ancora nel porto di Siracusa una nave proveniente dall'Oriente che portava con sé un carico di frumento. Più tardi giunse un bastimento noleggiato dal Senato e a seguire altri quattro vascelli ragusei che portavano un'abbondanza di grano. Questi eventi apparvero miracolosi agli abitanti salassati e indeboliti. La popolazione, assediata dalla fame, assaltò immediatamente il carico e non perse tempo a macinare e a cuocere il grano facendone del pane, ma ammorbiditolo lo bollì e lo mangiò (anche perché non c'erano altri ingredienti con cui condirlo). Per commemorare il dono che S. Lucia aveva portato alla popolazione salvandola dalla carestia, da quel giorno ogni 13 dicembre la popolazione siciliana non consuma derivati del frumento, ma solo cuccìa e legumi.
La tradizione è però decisamente più antica della carestia del 1763 e può derivare dalla somiglianza che questo piatto ha con il cibo rituale greco che viene usato come offerta ai presenti alla messa di glorificazione dei defunti, che è composto da grano bollito, chicchi di melograno, uva passa, farina e zucchero: la kóllyva, la quale è vicina anche alla kutjà, di origine russa, composta sempre da cereali come grano, miglio, orzo o riso bolliti. È da notare come ci sia anche un'assonanza per quanto riguarda il nome. Secondo la tradizione sicula, la cuccìa non va solo consumata ma anche regalata ad amici, parenti e vicini e gli avanzi devono essere lasciati come mangime per gli uccelli, riportando qui il simbolismo della condivisione e del ritorno alla natura come benedizione, propiziazione e fertilizzazione.
Un'altra usanza tipica di Yule è quella di mettere le scorze di arancia e limone a scaldare sulla stufa affinché rilascino il profumo della loro essenza. L'arancia e il limone, oltre ad essere agrumi, quindi diffusi nel periodo natalizio, sono simboli solari in quanto tondi e del colore del sole; anche la frutta secca come l'uvetta e le scorze di cedro e arancia candite sono tipiche di Yule perché sono cibi che si possono mantenere più a lungo ed erano, inoltre, un cibo povero.
Il tronchetto di Natale è un'usanza molto antica ed è un dolce ancora abbastanza diffuso. Ha origini pagane, ovviamente e deriva da quello stesso ceppo d'albero che ospitava lo spirito del dio arboreo che veniva tagliato in sacrificio affinché portasse calore e benedizione, oltre che protezione e che poi assunse il simbolismo del legno che scaldava Gesù bambino. Dato che la tradizione voleva che bruciasse per almeno una settimana, quindi fino a Capodanno, generalmente veniva estratto da alberi che potevano assicurare una combustione molto lenta, come il castagno. Questa tradizione voleva appunto che servisse a propiziare la fertilità degli alberi da frutto. Il tronchetto è un dolce francese, noto come Bûche de Noël, ed è composto da pan di spagna arrotolato su sé stesso e farcito con il cioccolato, oltre che rivestito per simbolizzare la corteccia.

Yule nella spiritualità Wiccan e Neopagana
Nella spiritualià wiccan e neopagana Yule è uno degli otto sabba minori, si festeggia tra il 20 e il 24 dicembre ed è un momento di gioia e di rinascita. Durante questa festa si onorano prettamente due cose: la prima è la nascita del Sole bambino, portatore di luce e la seconda è una delle due battaglie tra il Re Quercia e il Re Agrifoglio che, in questo caso, vede vittorioso il Re Quercia, il cui dominio incontrastato sulla metà luminosa dell'anno durerà fino al solstizio d'estate, giorno in cui il fratello Agrifoglio lo ucciderà per regnare al suo posto per l'altra metà dell'anno, fino a quando comincerà un nuovo giro.
Yule, in quanto momento più buio giorno in cui la notte ha una durata più lunga, segna l'ultimo istante in cui l'oscurità tiene il mondo nella sua morsa. Il gelo dell'inverno, nel suo cuore, ha sepolto qualsiasi cosa sotto uno strato di neve, ma è proprio quando il buio è più fitto che la luce riesce a farsi strada. Nel nostro cammino spirituale naturale iniziato a Samhain, Yule segna il momento in cui il seme si libera del suo involucro e cade in un sonno letargico.
Essendo un sabba della luce, Yule è il momento dei chiarimenti, della verità. Le cose che sono rimaste celate nel periodo oscuro dell'anno vengono finalmente allo scoperto perché il Sole Invincibile è rinato, figlio di sé stesso e della propria consorte. Lo spogliarsi delle cose che non servono più prende un significato più profondo: ossia l'interrogarsi sui propri bisogni, sulle scelte fatte, sul proprio cammino; questo ci è utile per capire se realmente si tratta delle scelte giuste per noi stessi. La morte, vista come aspetto rigenerativo ed equilibrante, ha un forte impatto sul mondo naturale, pertanto spiritualmente legato al culto pagano: a Yule la terra dorme e solo i più forti sopravvivono; solo facendo leva sui nostri capisaldi, sulle nostre forze interiori e potendo contare realmente su ciò che abbiamo vicino a noi possiamo superare questo momento di profonda oscurità e accogliere dentro noi la luce della rinascita, il dio (solare) bambino che emerge dal ventre oscuro della Grande Madre (terrestre) nel suo aspetto infero.
La luce che giunge con Yule ci permette di chiarire gli aspetti oscuri che con Samhain abbiamo scovato e trascinato fuori da noi: li mette allo scoperto nella loro crudezza, nella loro realtà. Si tratta di un processo di indispensabile guarigione e purificazione interiore senza il quale non potremmo aspettarci che la pianta il cui seme attende sotto la neve possa germogliare sana a Imbolc, fiorire a Oestara, essere fecondata a Bel e fruttificare a Litha, proseguendo così il suo corso lungo la metà discendente dell'anno per cominciare un nuovo giro, quando noi coglieremo quel frutto a Lammas e ne useremo i semi per piantare una nuova vita a Mabon.
Le divinità di Yule ci corrono in aiuto con il loro splendore crescente da piccola luce lontana che vediamo baluginare nell'oscurità più profonda. Queste divinità sono Horus, Osiride, Mitra, Baldr, Apollo, Sol, Adone, Tammuz, Adonis negli aspetti maschili, i signori della luce e del Sole. Nell'aspetto femminile abbiamo invece il potere del gelo e del freddo, della morte e degli inferi. La Mater Horribilis che stende il suo vento gelido e mortale sul mondo, riportando l'equilibrio che non può mancare mai, ma anche le signore del fuoco come Brigit, la Grande Madre della Morte e della terra come Gaia, Persefone, Ecate ma anche Cerridwen, la strega, o Freya ed Hel, o la stessa Nerthus per i nordici.
Come abbiamo visto, il Sole mostra un moto apparente nel cielo; a Yule la scomparsa del Dio solare nelle oscure profondità del mondo infero ha termine e ritrova la via verso la superficie. Con esso ci porta l'accettazione della morte come parte dell'aspetto del ciclo vitale, sia come sacrificio (la pianta, l'animale che muore per nutrire, quindi il Re Cervo - o il Signore del Grano), sia come in realtà specchio dell'accettazione del lato oscuro. È un momento spiritualmente cardine, catartico, epifanico che rappresenta il passaggio dalla morte alla vita e dalla vita alla morte. Si tratta di un aspetto che è la Dea stessa che partorisce e che diventa la procreatrice nella morte. Prende inoltre le sembianze simboliche della fenice che muore tra le fiamme del suo nido solare incendiato sulla palma sacra, e che lascia tra le ceneri l'unico uovo che depone ogni cinquecento anni, da cui rinascerà, rappresentando così l'aleph, il ritorno infinito del ciclo vitale/solare che va e che viene e che non si ferma mai.
Quando affrontiamo la visione di una vita che segue un tale equilibrio, ci riferiamo apparentemente ad un'epoca assai lontana e ora teoricamente illuminante e fiabesca. Per questo motivo appare quasi irraggiungibile, come fosse un’era in cui il mondo spirituale era parte integrante del mondo materiale, privo quindi di quella dicotomia netta che oggi sentiamo così forte. Viviamo in un mondo dove per festeggiare ciò che ci è sacro siamo costretti a fare i conti con l'incalzare del materiale, della vita "di tutti i giorni" e dove siamo costretti a ritagliarci dei momenti per ciò che è il nostro sentire. Questo vivere in equilibrio ci è quasi disconosciuto o solo mentalmente accettabile, ma è questo il simbolo di Yule: accettare il nesso tra la vita e la morte come l'aspetto di Hel stessa, figlia di Loki, sorella di Fenrir il lupo incatenato e di Jormungand, il grande e mostruoso serpente marino. La Dea nordica viene rappresentata con il volto diviso a metà, mezzo cadaverico e decomposto e mezzo vivo e gelido e richiama il duplice e speculare aspetto della morte, come equilibratrice e come distruttrice o, se vogliamo, trasformatrice perché, come dice il canto dedicato a Kore scritto da Starhawk: "lei cambia tutto ciò che tocca e tutto ciò che tocca cambia".
L'aspetto archetipico del Sole che nasce e ritorna è un tema ricorrente anche nel fuoco che viene acceso con il ceppo sacrificale di Yule. Ne La Dea Bianca Robert Graves fa notare l'assonanza che ha l'aspetto di Robin Goodfellow (nome medievale per riferirsi al diavolo) o Robin Hood con l'aspetto del Re Agrifoglio. Il termine "Hood" infatti significa "Rosso" e lo stesso "Robin" è il termine usato per riferirsi al fallo. Robin Hood è quindi anche il termine per riferirsi al "Campione Rosso", ossia il Difensore dal piede fesso, dato che questo era il titolo con cui veniva chiamato anche il Dio delle Streghe, il Signore Cornuto del Sabba. Rappresenterebbe quindi il Dio Cornuto, il signore fecondatore e il Grande Consolatore. "Hood" oltre che rosso può significare "Hod" o "Hud" che significa "tronco", lo stesso che viene poi bruciato nel camino; ulteriore aspetto del Dio Arboreo sacrificale che nasce e muore per assicurare la fertilità e la vita.
Nelle tradizioni della ritualità di Yule c'è inoltre l'accensione del fuoco nel mezzo dell'oscurità e l'addobbo dell'abete con bigliettini di augurio e di richieste per gli dei che vengono appese ad un albero eterno. In questo modo si richiede alle energie gelide del cuore dell'inverno di portare un dono sepolto nel ghiaccio e di svelare con il calore in arrivo ciò che è rimasto sepolto: il seme gettato da noi stessi.
Questo aspetto del "dono" è anche l'accettazione del fattore "tempo" di Cronos, che come abbiamo visto è il precursore di Babbo Natale, Santa Claus, Santa Lucia (dal nome stesso che significa "luminosa") e che ci ricorda che l'opera che abbiamo cominciato richiede proprio questo: una modellazione, una spinta di creazione della stessa energia, ma anche la pazienza del bisogno che questa trasformazione richiede. Il dono arriva solo se sei capace di trasformare questa energia, utilizzarla per purificarti, per diventare diverso da ciò che eri prima. L'estrema luce porta quindi all'annerimento, la nigredo, la mutazione. È infatti il tuo stesso "Io" che, potenza istintuale non domata ma direzionata, esce rinato come il Sol Invictus, figlio di sé stesso, libero di portare luce nella tua stessa vita. Siamo di fronte ad un aspetto alchemico, figlio di un tempo in cui la saggezza aveva il giusto peso perché era un derivato dell'accumulare degli anni sugli anni e non un bisogno di ottenere il materiale ora e subito.
Come ci insegna Morgan Eagle Bear, maestro sciamanico Hopi di Peter Orzechowski, autore del libro La Via Sciamanica dei Quattro Sacri Elementi, con l'avvento delle religioni monoteiste abbiamo lasciato che il dogma distruggesse il dubbio e con il dubbio il punto di vista sciamanico-naturale dell'ascoltare.
Nell'aspetto solare maschile questo "non ascoltare il cuore" è interpretabile come la ragione che ha schiacciato la passione, l'elemento aria che ha affievolito, col troppo soffiare, il fuoco della passionalità. Yule ci permette di mettere a confronto la ragionevolezza con la ragione: non lasciare quindi che la razionalità del materiale ci faccia perdere di vista la concezione dello spirituale, sia nelle nostre scelte che nei nostri desideri. La luce non deve scacciare l'oscurità, ma deve essere guida per uscire dal tunnel che percorriamo nel nostro camminare lungo la ruota dell'anno spirituale; ci serve per non dimenticare che la luce produce ombra e che finché esisterà la luce esisterà il suo opposto. Come ci fa notare Woland in quel capolavoro che è Il Maestro e Margherita di Michail Afanas'evič Bulgakov: "Eppure dovrai metterti l’animo in pace, – replicò Woland, e un sorriso beffardo storse la sua bocca. – Non hai fatto in tempo ad apparire sul tetto che hai già detto una sciocchezza, e ti dirò io in che cosa consiste: nel tuo tono. Hai pronunciato le tue parole come se tu non riconoscessi l’esistenza delle ombre, e neppure del male. Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Le ombre provengono dagli uomini e dalle cose. Ecco l’ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quanto c’è di vivo per il tuo capriccio di goderti la luce nuda? Sei sciocco."
Una volta accettata l'oscurità e la luce come due gemelli, si riconoscerà che è proprio dall'inconscio che nasce l'idea; quella stessa idea che contiene, nel suo piccolo germe, tutto ciò che serve per evolvere e cambiare il mondo. L'inconscio non è razionale, l'inconscio non è intelletto luminoso, bensì ombra. È lì, nell'ombra che nasce la luce che schiarisce l'idea e che accende la vita della stessa. Senza entrambi non ci sarebbe vita.